L'isola
ai confini della realtà di The Wicker Man, la
comunità ortodossa di The Village,
la superstizione a confine con il paranormale di The Witch.
Apostle, punto
d'approdo dopo un lungo e turbolento viaggio della fede, racconta
l'inquietudine di uno Stevens dallo sguardo allucinato – e il
passato tragico del personaggio, simile per dubbi e vissuto al
Garfield dell'ultimo Scorsese, poco giustifica gli occhi, i vezzi e i
sussurri di un interprete che, ancora una volta, trovo l'anello
debole di una produzione altrimenti interessantissima –, in
missione per salvare la sorella minore: prigioniera di una setta
legata a una misteriosa entità femminile e con a capo Michael Sheen, non
così al sicuro sul suo scranno di profeta. L'isola sta morendo, un
po' per un colpo di stato già nell'aria, un po' perché l'aridità
minaccia di consumare i campi e i cuori dei fedeli. Se in un horror
esoterico, con una morale ecologista piuttosto vicina a quella di
Aronofsky, non mancheranno i sacrifici umani per placare un'anziana
dea – agghiaccianti e rare le sue apparizioni, fra rovi
d'improvviso fioriti –, sacrificando sull'altare della
superstizione compaesani ribelli, fanciulle vittime di amori proibiti
e ultimi arrivati. Ecco, allora, le teste trapanate e le mani monche,
i laghi di melma che portano verso direzioni sconosciute, le streghe
oscure e affascinanti di una mitologia quasi argentiana. Per fortuna,
benché sia il nostro primo incontro ufficiale, a dirigere c'è il
regista cult Gareth Evans: il gore del survival si tempra così con
l'angoscia claustrofobica dei thriller psicologici, il lerciume dei
contenuti si raffina grazie all'indiscutibile bellezza della regia, i risvolti fantastici parlano
in realtà tra le righe dei mali della colonizzazione e di
un proselitismo militante che miete vittime innocenti. In nome di un
Dio, in definitiva, schiavo degli uomini. E di una fede cieca che,
insieme, unisce e divide. Il risultato: una delle produzioni di
genere più dense di quest'anno e, accanto ad
Annientamento, a oggi,
probabilmente il miglior film Netflix. La parabola oscura, eppure non
senza speranza finale, non senza purificazione, di un autore con un
disegno registico che non avrà del divino, no, eppure tanto basta.
Per mietere, da qui in avanti, nuovi proseliti. (7,5)
Si
apre con una dedica al genio di Lovecraft l'ultimo film del francese
Laugier. Il regista dell'acclamato
Martyrs, da me invece
apprezzato giusta in teoria, torna con stile grazie a un
horror che attinge impunemente dal genere – all'appello, maniaci, burattini,
spettri e streghe, cannibalismo – e non si può dire che questa
volta vada tanto per il sottile. Sconcertante per chiasso,
efferatezza e sovrabbondanza, Ghostland è
un campionario di luoghi comuni rozzo e disordinato, urlante e sempre
in fuga. La storia: quella di due sorelle prigioniere di una coppia
di psicopatici. Non sarà facile dimenticare, soprattutto quando una
delle due – la Crysal
Reed di Teen
Wolf, diventata scrittrice dopo
l'accaduto – torna a casa per sostenere la problematica Taylor
Hickson, gravemente sfregiata proprio durante le riprese. Le
protagoniste, ragazzine amanti delle storie dell'orrore, diventano loro malgrado parte di una di esse. In un'ora e trenta si sgolano,
vengono picchiate e inseguite, si divincolano: infine, ricominciano
da capo. Altre giovani donne prigioniere, dunque; altre martiri di un
autore che si diverte a tormentarle, a tormentarci, con un film
fragile ma efficace. Kitsch, zeppo di eccessi e cianfrusaglie come lo
è, d'altronde, la casa del titolo italiano, questo baraccone di
sevizie, cliché e salti in poltrona paura non ne fa, ma affascina.
Grazie ai toni fiabeschi e al colpo di scena a metà, per quanto
intuibile, che celebra il potere immaginifico della scrittura – e,
insieme, del cinema – contro l'impedimento di qualsiasi gabbia. (7)
Un
meccanico e sua moglie vengono aggrediti in un quartiere malfamato:
la donna muore e lui, ridotto a un vegetale, vive per vendicarsi.
Messa così, nulla di nuovo sotto il sole. Ma Upgrade,
che a sorpresa in rete colleziona medie esagerate e spettatori già
fan, ha dalla sua le ambientazioni: non siamo negli anni Settanta del
Giustiziere della notte,
ma in un futuro distopico alla Black Mirror in
cui la tecnologia ci ha superati e i miracoli della medicina hanno un
nuovo volto. Quello di giovani scienziati che al vedovo propongono una soluzione prodigiosa: un microchip per
dargli finalmente mobilità. Guidato da un'intelligenza artificiale,
il protagonista e il suo sistema operativo si danno a una canonica
caccia al colpevole. Le luci al neon sono le stesse di Refn, i
commenti ironici quelli degli ibridi più tamarri, le mosse –
scontate, in un finale pieno di tentati colpi di scena – quelle di
un giallo già visto. Non è nemmeno l'originalità degli sfondi,
dunque, a giustificare la popolarità del fanta-thriller a tinte
splatter con Logan Marshall Green: non troppo a suo agio, a onor del
vero, con un personaggio sarcastico e manesco in stile Bruce Willis.
Perché allora tanti plausi per l'ennesima riscrittura del mito di
Frankenstein, che qui attinge da RoboCop
a Ex Machina divertendo
nel mentre, sì, ma senza innovazione? Vendicarsi, nel futuro, sarà
infatti più semplice ma non meno letale. Per un upgrade
del revenge movie – qualcuno ha fatto il nome della Fargeat? –, meglio tuttavia cercare altrove. (6,5)
Era
stata la visione di Veronica e Marrowbone a ispirarmi
in tempi recenti una piccola ode all'horror d'importazione iberica.
In un panorama a corto di idee che ormai poco ha da offrire, quando
il mistero e la paura parlano spagnolo le sorprese sono spesso
garantite. Avrebbe forse fatto eccezione il veterano Balaguerò?
La critica, insoddisfatta,
scriveva amaramente di sì: La settima musa
non piaceva ai più. Come accade in questi casi, l'ho visto allora
per amore di completezza: le aspettative ridimensionate per forza di
cose. È bastata la lettura di Alighieri in apertura per lasciarmi
affascinare da una storia che di letteratura parla, e che dunque non
poteva non piacere a uno studente di Lettere che crede nel potere
delle parole, nella bellezza di una Irlanda battuta da pioggia e
vento, nella purezza di un filone che sa stupire senza inganni sulla
scia di dame velate, case buie e manicomi abbandonati. Cosa conduce
un professore in lutto e una mamma stripper sulla scena di un
omicidio rituale? Quale entità animava la penna di Shakespeare? Cosa speravano di ottenere prima di andare
incontro a morte certa i membri del Cerchio Bianco, lettori con il
pallino dell'esoterismo? Le incarnazioni delle mitiche muse si
muovono in mezzo a noi. Ingannano, ammaliano, uccidono. Due
personaggi dall'ambiguo ruolo chiave si fanno strada così in un horror
punta-e-clicca, che prende in prestito qualche immagine dalla
triologia di Argento e, grazie alle atmosfere natualmente lugubri e a
colpi di scena indovinati in un epilogo agrodolce, fa dimenticare i
difetti di uno spunto destinato presto a essere semplificato, assieme
alla recitazione incerta del cast seminoto – in ruoli di supporto,
citiamo la Potente e Lloyd. I segreti stanno, al solito, nei buoni
sentimenti, nella presenza di bambini da preservare, nello stupore un
po' infantile al cospetto di horror a cui mancherà senz'altro
qualcosa ma non, complice stavolta lo zampino delle figlie di Zeus e
Mnemosyne, l'ispirazione. (6,5)
Ho
varcato le porte della Blackwood leggendo il romanzo di un'autrice da
noi poco celebrata. Lois Duncan, eppure, ha una produzione di tutto
rispetto e pioniera del genere, maestra del guilty plesure, al cinema
ha regalato già un cult negli anni Novanta: chi non ricorda,
infatti, l'uomo uncinato e il cast di So cosa hai fatto?
Senza sorprese, Dark Hall –
atteso senza aspettative, nonostante la regia di un Cortés che dai
tempi di Buried insegue
invano un altro film vincente – non rischia di bissare il successo
del teen horror scorso ma, purtroppo o per fortuna, nemmeno di
avvicinarsi ai batticuori in salsa gotica di Stephanie Meyer.
Rispetto al romanzo, piccolo Young Adult degli anni Settanta
debitamente aggiornato, abbiamo una protagonista più problematica;
cinque e non quattro studentesse prodigio; una scuola meno
prestigiosa, alternativa giusto al carcere minorile, gestita con il
polso di ferro e l'accento francese da una carismatica Thurman. Il
soggiorno, all'insegna di una educazione fatale per qualcuna delle
protagoniste, regalerà paura e ispirazione. Mentre il romanzo non
calcava la mano sulla natura diabolica della Blackwood, il film
arricchisce, modifica e migliora quando serve: si andrà perciò di
frequente incontro a destini cruenti; non mancheranno gli sprazzi
horror, relegati però ai soli incubi; si amplia quell'epilogo
tutt'oggi poco all'altezza, ma senz'altro meno frettoloso, tra
flashback aggiunti e fiamme realizzate in una discutibile computer grafica. Buona la
regia, nonostante la modestia del progetto; bella la ex bambina
prodigio di Un ponte per Terabithia,
nelle vesti di una protagonista invischiata in un'indagine meno
macchinosa che su carta. Ma al cinema, pur aumentano i piccoli
brividi e la conta delle vittime, tocca fare i conti con un pubblico ormai smaliziato. Perfino davanti a una ghost story non così classica, non
così adolescenziale, ma dalle implicazioni ampiamente sorpassate.
(5,5)
Apostle mi ispira un sacco, e Stevens a me piace molto come attore sin dai tempi di Downton Abbey :D sarà una prossima visione, appena finisco la terza stagione di Daredevil :)
RispondiEliminaGli altri non li conoscevo, ma Musa mi ha intrigata, soprattutto per un finale che a quanto pare è così azzeccato da far scordare le pecche del film.
Qui, purtroppo, scimmiottare il personaggio di Legion, non quello di Downtown. E, così facendo, viene presto a noia.
EliminaLa settima musa niente di eclatante, ma quel finale all'insegna dell'amore, del sacrificio, nella sera giusta tocca il cuore.
Se avessi più tempo, mannaggia a me. Comunque Dark hall non posso perdermelo:se ho letto il libro devo vedere anche il film. È la regola. Ciao da Lea
RispondiEliminaE, tra pregi e difetti, romanzo e film questa volta stanno lì lì. Peccato che all'autrice, data l'età, perdonavamo tutti le incertezze...
EliminaDi questi ho visto solo Dark Hall, che mi è sembrato molto dark-karino nella prima parte e molto sprecato nella seconda. A quanto pare era però già colpa del romanzo. E poi pure del film, visto che degli effettati in computer grafica del genere ce li potevano anche risparmiare ahahah :)
RispondiEliminaApostle e Ghostland dai trailer mi ispiravano ben poco, però forse dovrei offrir loro una possibilità.
Upgrade invece dal trailer sembrava piuttosto divertente, ma finora sono stato frenato dalla presenza di Logan Marshall Green, che faccio fatica a sopportare e a quanto pare nemmeno troppo a torto. :)
E Musa non so se potrà mai diventare la mia nuova musa horror...
Apostle, visionario e denso, forse lo amerai, forse lo troverai noioso da morire: senza vie di mezzo.
EliminaGhostland, anche solo per l'avvenenza del cast femminile, centrerà il bersaglio Cannibale.
Sugli altri, specialmente sul fordiano Upgrade, puoi soprassedere. 😉
I primi tre ce li ho li che li vorrei vedere e tu qualche speranza me la dai.
RispondiEliminaLa settima Musa sono andato a vederlo al cinema ad Agosto e non mi piacque proprio per nulla. L'ho trovato al limite del televisivo e la trama veramente banale.
Al cinema, effettivamente, non sarei mai andato a vederlo. Ma a casa, gratis, in lingua... E chi si lamenta, soprattutto se accanito lettore? 😊
EliminaHorror dal sapore antico che non mi ispirano vuoi per la trama, vuoi per giudizi più tiepidi, e visto com'è andata con Apostle, a questo Halloween credo mi darò direttamente al crime senza passare per la finzione ;)
RispondiEliminaSpero farai tappa da Hill House, però!
EliminaIn questo periodo ho visto pochissimi film... di questi nessuno e mi ispirano tutti!
RispondiEliminaAnche io, ultimamente, mi sono dato ai telefilm. Speriamo di metterci in pari con le uscite a tema. 😉
EliminaCome Sara, temo di essere rimasta un po' indietro anch'io con i film, a favore delle serie tv (una volta finito "Hill House", sono passata direttamente a "Daredevil" e "Killing Eve")... ma recupererò, tant'è che questi che hai elencato mi ispirano tutti! E, a quanto pare, tranne "Dark Hall" meritano tutti la visione, per fortuna! *_____*
RispondiEliminaTutti, sì, chi più e chi meno. Io ti imiterò, invece, riprendendo Daredevil. 😉
EliminaTanto adorato Ghostland, cattivo e insostenibile, tanto non ho gradito La settima musa, ben confezionato ma privo di verve.
RispondiEliminaApostle devo vederlo, gli altri mi interessano non poco, pochissimo.
Eppure vorrei sapere la tua su Upgrade, così magari mi spieghi l'8 su Imdb...
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