domenica 31 dicembre 2023

Le mie Top 2023: il cinema e le serie TV

10. Nimona

Una fiaba per grandi e piccini che omaggia il genere e lo rivoluziona. A metà tra il ciclo bretone e lo steampunk, non ha bisogno di forzature per risultare inclusiva, femminista, nuova.

9. Beau ha paura

Come non averne, di paura, davanti a un film così lungo, ostico, sperimentale? Impavido, Aster divide con un'esperienza cinematografica impareggiabile. Freud sarebbe andato a nozze con l'odissea di questo stralunato Phoenix in fuga dalla madre.

8. Pearl

Apparso nel circuito festivaliero l'anno passato, è arrivato in Italia esclusivamente in homevideo. L'assassina seriale di West è un personaggio di rara complessità emotiva e Mia Goth le rende giustizia in un monologo lungo dieci minuti. Il resto è un incubo in technicolor che fa ben sperare per il terzo capitolo della serie.

7. The Whale

Aronofksy torna a parlare di corpi. E insieme a lui torna Fraser, a lungo assente dalle scene. La loro collaborazione, claustrofobica e provante in un salotto già affollato di disturbi – non solo alimentari –, non è per tutti, ma regala un'interpretazione dalla potenza annichilente.

6. La chimera

Gli stranieri ce la invidiano, ma noi abbiamo avuto occhi troppo distratti per riconoscere il talento di Alice. Spirituale, tragica, immaginifica, questa volta raduna un cast internazionale e ci regala il film più vitale dell'anno, pur parlando di morte.

5. Close

Corrono per i campi fioriti e non hanno pensiero alcuno. L'adolescenza porrà fine a quegli andirivieni e getterà lo spettatore in una valle di lacrime. Dopo Girl, dal Belgio un'altra storia di repressione e identità. Perché comportarsi da uomini, quando semplicemente bambini?

4. Anatomia di una caduta

Il vincitore all'ultimo Festival di Cannes è un'analisi del rapporto uomo-donna, un giallo, una foto di nozze. Sorretto dall'interpretazione di Huller, scivola dal francese all'inglese, così come scivola la verità stessa: sdrucciolevole, non renderà libera una famiglia infelice a modo suo.

3. Babylon

Stroncato in patria, è stato un flop. Perfino io l'ho saltato in sala e l'ho recuperato tardi, in una visione domestica non all'altezza di cotanto splendore. Perdonami, Chazelle, per aver dubitato: sei memorabile tanto nei musical quanto nei baccanali.

2. C'è ancora domani

Al botteghino, una casalinga ha sorpassato Barbie e Oppenheimer. Oltre allo straordinario successo di pubblico c'è di più. Cortellesi firma un esordio lieve e impegnato, il cui finale ci lascerà per anni a bocca aperta – con buona pace di Silvestri, che canta A bocca chiusa.

1. Aftersun

L'ho visto a gennaio, ma se chiudo gli occhi sono ancora lì, fra le luci di una discoteca. E cerco invano di carpire i segreti di un padre malinconico, di una figlia precoce, di un dramma sull'elaborazione mai realmente elaborato. In sottofondo, i Queen.

5. The Good Mothers

Nell'anno in cui l'Italia si è chiusa in un silenzio scioccato davanti all'ennesimo femminicidio, non poteva mancare la coproduzione internazionale candidata ai Critics' Choice Award. Un manifesto di resistenza femminile, in cui giganteggia una Bellè all'altezza delle star hollywoodiane.

4. Lezioni di chimica

Se Barbie ha sbancato i botteghini ma non ha conquistato il vostro favore, andate a conoscere Elizabeth Zott: intraprendente e biondissima, puntava al mestiere di chimico. Le toccherà passare prima dai fornelli, in una miniserie in cui Larson segue la scia della Fantastica signora Maisel (di cui non ho visto la stagione conclusiva).

3. Tore

La chicca dell'anno arriva dalla Svezia. Agrodolce, queer e stilosissima, è la storia di un Piccolo Principe in cerca della propria autonomia. Una colonna sonora irresistibile e comprimari a cui voler bene renderanno un lungo piacere questi soli sei episodi.

2. La caduta della casa degli Usher

Succession (che, per la cronaca, non ho seguito) ma in chiave horror. L'ultimo capolavoro di Mike Flanagan è in realtà un bignami del miglior Poe. Una bambola russa di storie dentro storie, con morti da manuale e un cast in stato di grazia.

1. Beef – Lo scontro

Può una zuffa tra automobilisti trasformarsi in una faida, in un'indagine socio-culturale, in una storia d'amore? Sì, se produce A24 e il cast è il regalo più prezioso del melting-pot. Dopo i fasti di Everything Everywhere All at Once, questi asiatici indie e sfrontati conquistano anche il blog.

sabato 30 dicembre 2023

La mia Top 10: le migliori letture del 2023

10. Polveri sottili

La distanza geografica, i non detti, l'immaturità. Com'è amarsi oggi? Ce l'ha insegnato Sally Rooney. Lo ribadisce Gianluca Nativo, in un romanzo al maschile puntuale e dolente, generazionale.

9. Un amore senza fine

Finito nel novero dei classici contemporanei, il cult di Scott Spencer è tornato in libreria nella traduzione di Pincio. Qualcuno lo ama, qualcuno lo odia: ossessivo, cupissimo. Ma come dimenticare una notte di passione sezionata in sessanta pagine?

8. Tomorror Tomorrow Tomorrow

La scorsa primavera è stata la lettura più fotografata sui social. A dispetto dell'aria instagrammabile, però, quella di Gabrielle Zevin è una storia d'amicizia – e videogiochi – più forte del tempo. Non sarebbe bello ritrovarsi nuovamente e partire dal check-point?

7. La bella estate

Sarà per il fascino sospeso della mia Torino, sarà per la sorprendente freschezza dell'omonimo film di Laura Luchetti, ma questo Pavese – a ben vedere, poco più che un racconto lungo – non smette di stupire per modernità e joie de vivre. Essere giovani, donne e bisessuali, a cavallo tra le due guerre.

6. Un giorno di festa

Una mamma single, un bambino vittima della sindrome d'abbandono, un fuggitivo che li prende in ostaggio. E lentamente, con grazia e perseveranza, ne fa una famiglia. Una favola romantica che scalda al cuore, immersa nelle atmosfere sonnacchiose del Midwest di Joyce Maynard.

5. Il Gattopardo

Un'isola ostinata, una Italia impreparata al cambiamento, un'aristocrazia aggrappata con le unghie e con i denti a un mondo che non c'è più. E, forse, non c'è mai stato. Un classico senza tempo, a tratti insospettabilmente divertente, con un vecchio principe che ancora ruggisce.

4. Sul lato selvaggio

Il rapporto indissolubile fra due sorelle. Sullo sfondo, l'epidemia di oppiacei che mise in ginocchio l'America. È una tragedia dai risvolti crudeli. Ma scrive Tiffany McDaniel e ogni abuso, ogni delitto, si fa poesia.

3. Dove nascono le ombre

Lavinia Petti è una delle autrici più talentuose della sua generazione. Molti, però, non l'hanno ancora scoperto. È l'ora di conoscerla con un amarcord a tinte gialle che riempie gli occhi di lacrime, a metà tra King e Ferrante.

2. Cleopatra e Frankenstein

Il genere, sdoganato dalla solita Rooney, è il sad hot girl. Eppure quello di Coco Mellors è un esordio che non ispira tristezza. Davanti a questi dialoghi cinematografici, davanti a queste coppie umane e contraddittorie, non si può che essere felicissimi.

1. Le schegge

Bret Easton Ellis, l'icona della generazione X, torna a sedurre anche gli adolescenti di Euphoria. La sua falsa autobiografia è un tuffo negli anni Ottanta. Le tinte forti, i ritmi ossessivi e il sesso spinto garantiscono 700 pagine da leggere con le luci accese e un'eccitazione incontenibile nelle mutande.

mercoledì 27 dicembre 2023

Recensione: L'amore molesto, di Elena Ferrante

| L'amore molesto, di Elena Ferrante. E/O, pp. 176, € 11 |

Torno da Elena Ferrante, a Napoli, una volta all'anno. Sto centellinando gli andirivieni, però, per ammortizzare le fitte che avvertirò una volta terminata di leggerla. Questa volta è toccato al suo esordio: non una lettura agevole. Sordido, morboso e visionario, L'amore molesto è un thriller psicologico nero come il carbone ma irrisolto. Un tour de force fra i fantasmi del passato, in cui una scrittura vorticosa plasma immagini inattendibili, dove intravedere il profilo sfuggente di una madre amata-odiata. Chi era realmente Amalia, trovata annegata con addosso un reggiseno di pizzo e null'altro? Se lo domanda la figlia, Delia, da sempre vittima di una feroce sindrome d'abbandono. Rimasta sola, ricostruisce faticosamente un puzzle domestico in cui niente è al proprio posto: un padre padrone geloso, pittore di scarso talento; una madre bellissima, a cui era severamente vietato sorridere; infine il misterioso Caserta, l'orco delle favole, inseguito per tutto il romanzo come il Bianconiglio del classico di Lewis Carroll.

L'infanzia è una fabbrica di menzogne che durano all'imperfetto.

Come in un giallo, si parte cercando indizi nell'appartamento della morta: una casa di fantasmi in cui la porta non è stata chiusa a doppia mandata e dettagli fuori posto – la biancheria costosa, i trucchi appariscenti – rimandano a una vita segreta di cui Delia è all'oscuro. Si prosegue, poi, lungo le strade della città. Una Napoli rumorosa, tentacolare, squallida, affollata di corpi pesanti e voraci che provocano parimenti curiosità e stordimento. Abituati all'ampio respiro della tetralogia, si è scioccati dall'asfissia degli ascensori tremolanti, delle strade strozzate dal traffico, dei vagoni straripanti della funicolare, dei camerini i cui specchi restituiscono l'immagine di una donna sull'orlo di una crisi esistenziale. Imbrigliata in un vestito rosso che poco si confà ai giorni del lutto, con il trucco sciolto per la pioggia e le lacrime improvvise, Delia rivive una vicenda di scandali familiari, ribellioni tardive e vendette astratte. E in lei, come in una specie di possessione demoniaca, rivive in parte la madre, di cui la protagonista si fa medium e custode. Si può affrancare uno spettro dalle bugie della memoria?

Dire è incatenare tempi e spazi perduti.

Ci sono due uomini – un padre e un figlio – che ricordano quelli della famiglia Sarratore. C'è un tunnel fetido di urina a separare la città dal rione e un sottoscala in cui sono precipitate le speranze di una bambina lasciata sola in cortile. C'è, ancora, il tema del doppio: qui ci si scambia ruoli e vestiti; si compiono eterni ritorni. L'esordiente Ferrante aveva già in mente i temi dei successi futuri e nessuna paura di sporcarsi le mani. Fra le pagine abbondano i fluidi corporei, le sgradevolezze, i tabù. La narratrice fruga nei panni sporchi della morta. E li lava in pubblico, poco imbarazzata dalle smagliature sulle calze o dal fondo delle mutandine macchiate di sangue mestruale. Li lava con noi: in fondo, siamo già di famiglia.

Il mio voto: ★★★½
Il mio consiglio musicale: Angelina Mango – Fila indiana

lunedì 18 dicembre 2023

Italians Do It Better: C'è ancora domani | La chimera | Io capitano | Le otto montagne | La bella estate

Relegata a leggerissime commedie televisive, Paola Cortellesi prende finalmente parte al suo film migliore: lo dirige lei. Nazional-popolare, brutale e tenerissimo, sorprende per una scrittura in bilico fra la commedia e il dramma e per una cifra autoriale già matura. Si parla di femminismo e discriminazione di genere, di violenza domestica e conflitto generazionale. C'è ancora domani non è, però, l'ennesima storia di female empowerment. Delia è il tipico angelo del focolare. Sempre con il grembiule da cucina, sempre dimessa, sempre con qualcosa da fare. Corre continuamente, ma non va mai da nessuna parte. Il suo eroismo sta tutto nel sopportate a bocca chiusa gli abusi del tirannico Mastandrea. E, nell'impossibilità di denunciarlo, di trasformare i pestaggi in sequenze musical. La solidarietà femminile c'è, ma è nelle sporadiche confidenze in cortile; nell'amara consapevolezza di essere tutte prive di identità. A dar loro voce, ottant'anni dopo, è la comica romana. Che non urla messaggi progressisti, non forza la mano con gli anacronismi del politicamente corretto, ma ci fa sorridere delle sue “piccole donne” grazie alle battute di Fanelli o alle fantasticherie sulle note di Concato, Dalla, Silvestri. Cortellesi mette in scena una rivoluzione discreta e, in un epilogo indimenticabile, celebra un risveglio individuale che si fa anche collettivo. All'improvviso c'è una ragione per mettere il rossetto, la camicia nuova, stringere i pugni. C'è un luogo verso cui correre, con una lettera stretta al petto. Voi correte al cinema. Straordinario nella sua ordinarietà, è l'esordio più significativo degli ultimi anni. (8,5)

Alice Rohrwacher torna e incanta con una nuova fiaba bucolica in cui un tormentato Orfeo vive continue catabasi per riunirsi alla perduta Euridice. A unirli c'è un filo rosso, in una sceneggiatura in cui nessun simbolismo è lasciato al caso e al mito del poeta che commosse Proserpina si mescolano le suggestioni di quello di Arianna, salvezza di Teseo fuori dal labirinto. In una tragicommedia in cui la fotografia fuligginosa e la colonna sonora anni Ottanta riconfermano quanto prezioso sia il miscuglio di eccentricità e lirismo del cinema della nostra Rohrwacher, un ruolo chiave spetta al personaggio di Isabella Rossellini: qui irriconoscibile, è una nobildonna prigioniera della sua sedia a rotelle, dell'ossessione per la figlia scomparsa e di una magione che è un colabrodo. In cambio di qualche lezione di canto, l'anziana tiranneggia su una sua allieva che tratta come sguattera; all'apparenza servizievole, la giovane nasconde piccoli insospettabili segreti e seduce il fascinoso Josh O'Connor, tombarolo ospite di una baraccopoli dalle ore contate. Tutti aggrappati a mondi precari, destinati ora all'ospizio e ora alla galera, i personaggi rubano e vengono derubati, si illudono e vengono illusi, inseguendo ciascuno i propri sogni impossibili. Ma quanto è pericoloso preferire il vecchio al nuovo; i mausolei ammuffiti alle stazioni trasformate in centri d'accoglienza da manipoli di donne illuminate? Strambo e incantevole, forse troppo per un'Italia ostile all'audacia, La chimera è un apologo pieno di morte che, a sorpresa, si rivela uno dei film più vitali dell'anno; un tesoro che, come certi luoghi abbandonati, appartiene un po' a tutti e un po' a nessuno; un sogno agitato sui seggiolini scomodi di un regionale. Ma un sogno, finalmente, possibile. (8)

Un intrepido sedicenne con il sogno del rap e dell'Europa intraprende un estenuante viaggio della speranza dal cuore dell'Africa alle coste della Sicilia. Dirige Matteo Garrone, la cui bravura è ormai indiscussa da vent'anni a questa parte. Commuove l'esordiente Seydou Sarr, che nel primissimo piano finale, come già accaduto a Fonte in Dogman, entra a gamba tesa nell'olimpo del cinema italiano. Ma il problema di Io capitano è il seguente: visto il trailer, purtroppo, visto il film. Le tappe del viaggio del giovane sono tutte contenute in quei pochi minuti pubblicitari, tra dune e onde, prigioni e palazzi. L'esperienza umana, preziosa, si fa raramente anche esperienza cinematografica. E accade soprattutto negli sporadici momenti in cui il regista romano tralascia le tappe della sua canonica odissea per sconfinare nei territori visionari della fiaba. È allora che il film diventa qualcosa di più di un'edificante lezione di educazione civica, rivelandosi una riscrittura sorprendente del suo medesimo Pinocchio. Il nostro eroe dice bugie alla mamma, ha uno sfacciato Lucignolo come compagno di viaggio, viene derubato e sfruttato innumerevoli volte. Infine finisce in mare. All'orizzonte c'è la terraferma. O è forse la sagoma della famelica balena? Per fortuna, sappiamo in anticipo che diventerà un bambino vero. Anche se qualcuno al governo, oggi, lo negherebbe strenuamente proprio al sopraggiungere dei titoli di coda. (7)

Ogni amicizia è una storia d'amore. Non si può pensare che questo riflettendo sull'intensità che si annida nei “sovrumani silenzi” tra Pietro e Bruno; sulla persistenza di un sentimento viscerale, più che fraterno, costellato di lunghe attese e lunghi sguardi. Ispirandosi all'omonimo romanzo di Paolo Cognetti, un topo di città e un topo di campagna uniscono le loro forze – dopo quindici anni di distanza – per rendere omaggio alla memoria del padre che li ha formati un po' entrambi. I registi di Alabama Monroe, coppia tanto nell'arte quanto nella vita, ci portano ad alta quota e riportano sullo schermo un'altra coppia amatissima: Luca Marinelli e Alessandro Borghi, che questa volta giocano con gli accenti dell'estremo nord e recitano con tutta la potenza della loro fisicità. C'è chi va, c'è chi viene. E c'è chi si aspetta. La costruzione della loro amicizia, graduale e faticosa, spezza le vene delle mani. E graduale e faticoso, per qualcuno, potrebbe essere anche questo film: una scalata lunga due ore, da cui si esce però con le mani fredde e il cuore caldo. Le otto montagne è lungo, lento, morbidissimo. Come un abbraccio improvviso, che prima ti spezza le ossa e poi te le rinsalda insieme – o viceversa. (9)

Dal classico di Cesare Pavese, un film modernissimo nella sua fedeltà Proprio come il romanzo che l'ha ispirato, il lungometraggio dell'ottima Laura Luchetti è un inno alla gioia, alla confusione, al piacere femminile. All'importanza del perdersi, a volte, per ritrovarsi. Morbido, delicato e sottilmente erotico, mostra attraverso le espressioni fuggevoli di un'intensa Yile Vianello – anche musa di Alice Rohrwacher – i dilemmi di una giovane sarta scissa fra campagna e città, uomini e donne; le fa da contraltare l'esordiente Deva Cassel, sì acerba, ma perfetta nell'incarnazione dell'ambiguo e bellissimo oggetto del desiderio. La bella estate si prende tutto il tempo che serve. È di una lentezza che avvolge, proprio come l'abbraccio in balera fra le protagoniste; proprio come la regia, materna, che veste di silenzi e verità l'unica scena d'amore. La colonna sonora cresce, così come cresce il personaggio di Ginia. Le stagioni si avvicendano, ma Torino resta sempre magica sullo schermo. L'avvento del fascismo è una notizia da tagliare fuori: basta chiudere le imposte. Piccole magie di un piccolo film, pieno delle simmetrie gelide della mia città d'adozione e delle asimmetrie di un caldo corpo in fioritura. (7,5)

martedì 12 dicembre 2023

Recensione: Il nemico - Foe, di Iain Reid


| Il nemico, di Iain Reid. Rizzoli, € 18, pp. 256 |

Non sono un lettore che ama la fantascienza. Rifuggo le navicelle spaziali e le guerre intergalattiche, preferisco le atmosfere intime agli effetti speciali. C'è una fantascienza, però, che mi piace. Quella che parla non degli extraterrestri, ma di noi: alieni, spesso, gli uni per gli altri. Fa parte di questo filone, purtroppo meno nutrito di quanto spererei, anche il nuovo romanzo di Iain Reid. Dopo il cervellotico thriller psicologico che ha ispirato l'ultimo capolavoro di Charlie Kaufman, l'autore canadese torna in libreria e presto anche al cinema con la storia di un'invasione. Junior e Hen, sposati da sette anni, vivono immersi nelle campagne del Midwest quando un paio di fari verdi squarciano la notte. Alla loro porta bussa un burocrate vestito di tutto punto, Terrance, che comunica alla coppia l'esito di una misteriosa lotteria. Penseremmo subito a Shirley Jackson, se non fosse per la svolta avveniristica in agguato: il marito, infatti, è fra i fortunati prescelti per le colonizzazione di un nuovo pianeta: la moglie resterà a casa, in compagnia di un rimpiazzo robotico ancora da mettere a punto. Precipitiamo, a questo punto, in un episodio degno delle migliori stagioni di Black Mirror: perché a dispetto della narrazione pacata, delle atmosfere placide e sonnacchiose, l'inquietudine serpeggia sottopelle. E scricchiola, dietro le pareti di una casa improvvisamente violata.

Non riceviamo visite. Non qui.

Costretti a tenere il segreto, resi partecipi di uno stadio successivo dell'evoluzione umana, i protagonisti sono formiche sotto la lente di ingrandimento di Terrance. Logorati dall'invadenza dell'ospite, sono monitorati notte e giorno tramite interviste che lentamente diventano interrogatori. Han diventa sospettosa, distante. Junior, confuso, stringe i pugni per difendere la loro vecchia routine. Ma cos'è, in fondo, la normalità? Prima di Terrance erano davvero così felici? Con una prosa sommessa e senza fronzoli, vicina alla narrativa di frontiera, Reid scrive una storia ambigua sulla solitudine, sui rapporti di genere, sul terrore del cambiamento. Isola i suoi personaggi in un limbo snervante, fatto di campi di colza e pollai, e mette a punto un esperimento antropologico che pone tutto in discussione. Il colpo di scena c'è, vero, ma non sconvolge. A spiazzare è piuttosto il risveglio delle coscienze di uomini e donne guidati dal senso pratico, senza ricordi né desideri, che si affacciano angosciosamente sul futuro e per la prima volta si soffermano sul presente. Con la consapevolezza di essere, nonostante le tutto, incontrovertibilmente vivi. Serve allora un'altra lotteria, un'altra missione, per conquistare il proprio “spazio”?

Il mio voto: ★★★★
Il mio consiglio musicale: Baby, It's Cold Outside

venerdì 1 dicembre 2023

Per trenta minuti: Beef | Tore | The Lovers | Still Up | Heartstopper S02

Lei è artista e mamma: la classica moglie trofeo. Lui è nel ramo delle costruzioni, ma non riesce a costruire una casa per i genitori lontani: nel frattempo fa da padre al fratello minore. I protagonisti si incontrano e si scontrano nel parcheggio di un supermercato. Uno sgarbo da poco creerà una stori di vendetta lunga diversi anni e dieci episodi. Le premesse sembrano quelle di una commedia romantica. Il prosieguo, degno di un un purissimo dramma introspettivo, sfocia perfino nel thriller sparatutto. Beef è una commeda. È un crime. È tutto quello che c'è nel mezzo. È, a oggi, tra le serie dell'anno. Merito di un cast come Dio comanda, in cui Ali Wong e Steven Yeun fanno continuamente a gara di bravura; merito di una sceneggiatura che unisce il nichilismo di un Bojack Horseman a tutta la freschezza del cinema asiatico. Quando fa bene a Hollywood la carica sovversiva delle penne coreane? Un po' fuori posto in Occidente, ognuno alla ricerca del proprio spicchio di sogno americano, i personaggi sono il frutto bacato della società aggressiva dei self-made men. Ai due estremi del ring, benché curiosamente simili nei tormenti, si combattono a sangue. Ma si specchiano, nel frattempo, l'uno nell'altra. Può lo scontro frontale tra due solitudini non rivelarsi mortale? La risposta è in un finale tanto assurdo quanto memorabile, capace di regalare un sorriso commosso all'indomani di un'allucinazione alla Wertmuller. (8)

Tore ha ventisette anni, una sessualità ancora inesplorata, una libertà di cui non sa bene cosa fare. Improvvisamente orfano e indipendente, senza più l'amato padre a fargli da guida, si divide fra il lavoro in una ditta di pompe funebri e una vita sociale fatta di droghe e locali notturni. Cerca l'amore della vita. O, forse, semplicemente sé stesso. Sempre livido, ammaccato, sanguinante, s muove come il Piccolo Principe in una serie svedese brevissima ma folgorante che ha la disperazione tragicomica di Fleabag, la colonna sonora elettro-pop di Euphoria, le riflessioni esistenziali di After Life. Il protagonista conosceva realmente il defunto genitore, che progettava in segreto una nuova vita accanto alla compagna? Perderà la verginità col primo che passa, o aspetterà i comodi del romantico fioraio di turno? Lo faranno riflettere un'amica provata dalla maternità, una vecchina con frequenti istinti suicidi, una drag queen dalla voce struggente, un cane prima ceduto e poi preteso indietro. Protagonista di un racconto di formazione e deformazione, qualche volta si perderà per il gusto di ritrovarsi. Ma non perderà mai il suo incantevole candore, né il ritmo con cui vive questa bellissima giostra di prime volte. (7,5)

Che fine hanno fatto le commedie sentimentali? L'amore è forse passato di moda? Se questa deliziosa miniserie Sky Original fosse stata girata vent'anni fa, il protagonista sarebbe stato il solito Hugh Grant. Vanesio, ambizioso e superficiale, Seamus è un giornalista londinese ben inserito nello star system: la fidanzata è una bionda attrice da rotocalchi e il suo programma TV è stato occhieggiato, pare, da una famosa piattaforma statunitense. A Belfast per un servizio televisivo, fa i conti con le sue origini frastagliate e incontra Janet: lui è in fuga da una gang di teppisti, lei sta per suicidarsi. È l'inizio di un adulterio da nascondere ai tabloid. È il principio di una relazione? Divertente, un po' cinico e, soprattutto, molto romantico, The Lovers è una romcom meravigliosamente recitata dai bellissimi Flynn e Gallagher, in cui si parla di identità, differenze culturali e scheletri nell'armadio all'ombra dei famigerati “troubles” irlandesi. Per fortuna siamo in una commedia, di quelle che facevano una volta. L'unica guerra che conta è quella fra i sessi. L'importante è che finisca bene. (6,5)

Che fine hanno fatto le commedie sentimentali, ci si chiedeva poco fa? Eccone un'altra all'appello. La struttura la conoscete già, no? Lui, affetto da ansia sociale, non esce mai di casa. Qual è il trauma che l'ha segnato al punto da spingerlo a vivere come un recluso e a evitare tutto e tutti, vicini ficcanaso compresi? Lei, mamma piena di energia, ha un compagno premuroso che vorrebbe sposarla e sempre qualcosa da fare. Loro, migliori amici accomunati da un'insonnia che non vuol passare, nelle notti in bianco si fanno reciprocamente compagnia con lunghissime videochiamate. Com'è nata la loro storia? Come finirà? Disponibile su AppleTV, Still Up è una commedia in otto puntate: lieve, a tratti inaspettata, con i bravissimi Antonia Thomas (Misfits) e Craig Roberts (Submarine) a reggere il tutto e i soliti infallibili tempi comici delle serie britanniche a far la differenza. Il finale, sospeso nella friendzone, lascia ben sperare per una una seconda stagione. Danny e Lisa supereranno finalmente il confine fra amore e amicizia? Intanto, la si consiglia a scatola chiusa: è perfetta per scaldarsi il cuore con l'inverno fuori. (7)

Continua la storia d'amore tra Nick e Charlie. Questa volta sono in gita a Parigi e alle prese con una questione importante: come dire a tutti della loro relazione? Immancabile il sostegno di amici e confidente, tutti parte di una grande e colorata famiglia queer: insegnanti compresi. Più che un ritratto veritiero dell'adolescenza oggi, l'autrice e fumettista Alice Oseman continua a dipingere una landa fiabesca dai toni pastello che non c'è, ma che sarebbe bellissimo ci fosse. I suoi liceali non dicono parolacce, non bevono, non sembrano pensare al sesso. Si scambiano lunghi e casti abbracci e combattono il bullismo e i disturbi alimentari a suon di parole, ma senza mai correre realmente ai ripari. Nata come l'antitesi di Euphoria, la seconda stagione di Heartstopper si conferma luminosa, lieve, positiva, di una dolcezza che misteriosamente non viene a noia: anzi, a fine visione ne vorreste ancora, in barattoli, per affrontare il freddo  che ci aspetta. Vero: anche qui, come in Sex Education, tutti appartengono a qualche minoranza, i pochi personaggi etero sono tendenzialmente negativi e nutro seri dubbi sull'efficacia educativa del tutto. Ma mentirei se dicessi di non aver seguito gli episodi con gli occhi a cuore, sentendomi un decennio in meno sulle spalle. Sarebbe auspicabile, un mondo così. Sarebbero belli, quindi anni così. (7,5)