lunedì 18 settembre 2023

Recensione: Il gattopardo, di Giuseppe Tomasi di Lampedusa

 
 | Il Gattopardo, di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, € 13, pp. 304 |

L'ho portato con me in Sicilia. Mancavo da vent'anni. Come il Gattopardo, sono sempre stato un nostalgico. Il Principe Fabrizio è una bestia mansueta. Incombe placidamente su uomini, donne e feudi. Su di lui, in salotti splendidi ma già polverosi, ci sono volte affrescate con pappagalli e bertucce, angeli e dei. Fuori dal suo palazzo, invece, si estendono giardini dai profumi stordenti: la dolcezza dei fiori di pesco, tuttavia, non nascondere il tanfo di putrefazione che sale intanto dal corpo di un soldato, morto proprio sotto le fronde di casa Salina. Ambientato tra l'arrivo dei garibaldini e il primissimo Novecento, il capolavoro di Tomasi di Lampedusa è una saga familiare sulla fine di un'era e l'inizio di un'altra; lo spaccato di un ceto, quello nobiliare, sprovvisto di qualsiasi sapere pratico e ottusamente chiuso al progresso; il gioco strategico di un grande pater familias, che riversa le sue ultime ambizioni nel nipote Tancredi pur di non conoscere l'oblio. Anche a costo di spezzare il cuore alla figlia Concetta.

Ma Lei sa meglio di me, principe, che anche le stelle fisse veramente fisse non sono.

Ogni capitolo ci apre per circa un giorno le porte della residenza di Donnafugata. È una scenetta dal gusto teatrale, in una commedia in costume e di costume. Amarissima, ma pur sempre una commedia. Qui, un narratore dalla sensibilità contemporanea fa gustosamente il verso alla fiorita prosa ottocentesca, ma delinea con mal celata ironia l'opulenta mollezza del palazzo. Perfino la bellissima Angelica, figlia di un parvenu da spennare, è sorpresa nell'atto di togliersi del cibo tra i denti con la forchetta. E il budino al rum prediletto dal padrone di casa? Diventa un fortino minacciato dalle forchette dei commensali, simbolo della disfatta in agguato. Tra tedio e intrighi matrimoniali, si spettegola delle prime femministe che protestano per il diritto al voto e della smania di collezionismo di taluni. Irresistibile e chirurgico, Tomasi di Lampedusa ci rende partecipi di una rivoluzione politica e familiare; di un risveglio dei sensi, a cui seguirà poi un timido risveglio delle coscienze.

Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi.

La Sicilia, troppo avvezza agli invasori per temere grandi cambiamenti, sonnecchia nella furia del solleone. Gli anziani rosolano al sole, il basilico contrassegna la casa delle prostitute, le suore custodiscono le ricette dei mandorlati. Laggiù, a differenza che sulla terraferma, ci si racconta che niente cambierà. Circondato dal suo affezionato e polveroso ciarpame rococò, non si farà illusioni il Gattopardo: un protagonista indimenticabile, con il difetto di avere una mente troppo veloce in un paese che troppo lentamente, invece, imbocca la strada del progresso. In un momento chiave del romanzo, il principe ricercherà l'aria aperta e le epifanie che garantisce. Di ritorno dal valzer, reso leggendario dal film di Visconti, rinuncerà alla carrozza e tornerà a piedi. Lui incombe su tutti, ma su di lui incombe a sua volta il cielo. Il principe ha provato spesso a venire a capo dei misteri del firmamento. Ma l'ha colto in contropiede la verità delle stelle fisse, che a ben vedere davvero fisse non sono. La limitatezza di un nobiluomo che accetta finalmente l'illimitatezza celeste si intrecciano così alla bellezza allo squallore, allo sfarzo e alla miseria, in un ballo degli opposti che celebra gli ultimi sospiri di un mondo in fin di vita. E brevemente ma per sempre, su carta, ne arresta così l'estinzione.

Il mio voto: ★★★★★
Il mio consiglio musicale: Giuseppe Verdi - Va', pensiero 

lunedì 11 settembre 2023

Recensione: The Other Black Girl - L'altra ragazza nera, di Zakiya Dalila Harris


| The Other Black Girl – L’altra ragazza nera. Mondadori, € 19, pp. 408 |

Cosa significa, oggi, essere una donna nera negli Stati Uniti? Com'è lavorare in un ambiente di soli bianchi? Quanta paura, al mattino, nello scorrere Twitter in cerca dell'ennesima immotivata mattanza? Da maschio bianco italiano, mi sono affidato alle riflessioni dell'esordiente Zakiya Dalila Harris. Mai didascalica, sceglie i toni della commedia grottesca e pieghe surreali per raccontare l'odissea di un'assistente editor afroamericana. Il risultato è un romanzo intrigante e leggerissimo, ma sorprendentemente scomodo nel messaggio: l'appartenenza a un gruppo, a qualsiasi gruppo, richiede il lasciapassare della compiacenza. Nella lavora al tredicesimo piano di un ufficio di Manhattan. Giovane, capace e ambiziosa, ha sempre saputo che per affermarsi si sarebbe dovuta mostrare due volte più brava degli altri. Quando arriva la magnetica Hazel, la seconda ragazza nera dell'ufficio, Nella si scopre presto ossessionata da lei. È un'amica o un'usurpatrice? Alla Wagner Books c'è posto per una sola di loro? Mentre Hazel vanta una rigogliosa cascata di dread e nonni attivisti in quel di Harlem, la più borghese Nella ha un fidanzato caucasico e un passato di capelli stirati. Nera fuori, bianca dentro, è un Oreo. In ufficio spicca perché cromaticamente diversa, ma nella comunità afro è vista con scetticismo. Una donna nera, oggi, deve infatti essere attivista, politicamente impegnata e orgogliosa dei suoi ricci al naturale. È libertà, questa?

Da una maggiore consapevolezza della sensibilità culturale derivano grandi responsabilità. Se non stiamo attenti, la “diversità” potrebbe diventare un elemento che le persone iniziano a spuntare da un elenco e niente più: una cosa superficiale e oscura con una sola dimensione.

L'occasione per farsi notare potrebbe essere bacchettare l'autore di punta della casa editrice, artefice di un personaggio afroamericano stereotipatissimo. Ma come le prenderebbero i suoi capi? Meglio tacere, tradendo così il Black Lives Matter, o parlare? Energico, originale e graffiante nei dialoghi, The Other Black Girl ha il contro di mettere tante carne al fuoco. Troppe sottotrame, troppe voci narranti, troppi piani temporali per storie destinate a ripetersi. Ma nella sua irresistibile caoticità, per altro tipica del cinema satirico di Jordan Peele, racconta un lacerante conflitto interiore e un mondo claustrofobico, quello editoriale, che, tra le pagine, già in passato fece misteriosamente sparire un'editor ribelle. L'ombra di Kendra Rae riecheggia tra i cubicoli, come quella di Rebecca, la prima moglie. E qui e lì, aguzzando l'udito, si sente bisbigliare di minacce in Comic Sans, microaggressioni, covi segreti in barberie sfitte, rituali magici... Esiste una formula per il successo? Harris tormenta la sua protagonista, divisa tra conformismo e alterità, e le fa fare incetta di caffè. I capelli prudono per il nervosismo, il cuore batte a mille per la tachicardia. È complotto. È mobbing.

Il mio voto: ★★★★
Il mio consiglio musicale: Nina Simone - I Put a Spell on You

lunedì 4 settembre 2023

Recensione: Cleopatra e Frankenstein, di Coco Mellors


 | Cleopatra e Frankenstein, di Coco Mellors. Einaudi, € 19, pp. 488 |

Si conoscono in ascensore a Capodanno. Lei sta per lasciare la festa di amici di amici, lui per andare a comprare il ghiaccio. Scherzano per un po' dell'età di lui, pubblicitario sulla quarantina, e dell'accento inglese di lei, artista aspirante con il permesso studio in scadenza. Flirtano parlando fittamente di sesso, ruoli di potere, antidepressivi. New York, tutt'intorno, è una città dal passo veloce. Loro si adeguano e si sposano sei mesi dopo, con un venditore di hot dog come testimone e una vestaglia vintage per abito nuziale. Come il genere comanda, frequentano vernissage e open bar, bevono fiumi di champagne, fanno le vacanze a Cannes, detengono illegalmente petauri dello zucchero e li rinominano Gesù. Tutto è bello, tutti sono belli. Tutto è brillante, tutti sono brilli. 

Quando la parte più oscura di te incontra la parte più oscura di me, si crea la luce.

L'esordiente Coco Mellors, con una scrittura cinematografica ma intimista, non indugia sulla soglia. Ma ci fa entrare a gamba tesa nel loro mondo artificioso, a tratti soffocante come una serra tropicale. Cleo, ossessionata dal suicidio materno, reclama l'aria aperta; Frank, affetto da esibizionismo molesto, annega nei superalcolici. L'autrice seziona le liti e le nevrosi di due amanti pieni di mancanze, che insieme pretendono illusoriamente di completarsi. Sempre con l'argento vivo addosso, sempre fasulli, scivolano a passo di tip tap tra allegria febbrile e solitudine divorante. Accanto a loro ci sono: un cuoco a dieta, una sorella in bolletta, un dongiovanni danese, un amico nel vortice dei gay bar e, soprattutto, la caustica e disincantata Eleanor, che adotta la prima persona per raccontare la malattia del padre e le occhiate innamorate al suo irraggiungibile capo. Non vogliono altro che la confortante normalità. Qualcuno che li ami quotidianamente, ferocemente, come i loro cuori affamati pretendono. O che, quando la solitudine incalza, scendano spontaneamente nel “pozzo” con loro. 

Non capisco questa ossessione per la felicità. E’ come l’insegna di Hollywood: enorme, irraggiungibile; e se poi riesci ad arrivarci, cosa ti resta da fare se non scendere?

Basta poco per amarli oppure odiarli. Perché Cleo, Frank e gli altri non sono personaggi, ma persone: di quelle caustiche, sopra le righe, oneste fino alla brutalità, che vivono la vita alla stregua di un gioco dissacrante e godono nel mettere sottilmente a disagio gli interlocutori. È lecito che non piacciano. Ma io li ho amati dalla prima pagina, ancora prima di conoscerne gli eccessi e i tradimenti. Era merito delle loro voci, talmente vive e irresistibili che durante la lettura ho creduto di poterle perfino sentire nelle orecchie. Come si smette di ricercare i morsi degli aspidi e fabbricare mostri? Come si impara a vivere felici? Lo insegnano le coppie di Craigslist. Le famiglie numerose ai check-in in aeroporto. Gli stormi simmetrici nei cieli romani del bellissimo finale.

Il mio voto: ★★★★★
Il mio consiglio musicale: Billie Eilish - What Was I Made For?