Sempre
nella stessa taverna a mezz'ora di autobus dall'università, mi sono
avvicinato ai giochi da tavolo. All'inizio in un angolo, ho scoperto
che quella scusa per rivedersi non stonatava affatto come piano
alternativo. Posso dirlo, sì, ma sottovoce: quel mondo – etichettatio come intrattenimento per nerd, né più né
meno – mi piace. Probabilmente sarei finito lo
stesso per recuperare Game
Night,
ma conoscere di persona quei meccanismi, quelle strategie, me l'ha
fatto vedere con uno spirito diverso. Sarà per questo che non
ha conquistato uno che appassionato lo sta diventando? Bateman e la
McAdams aprono le porte di casa agli amici per una serata a
tema. Una cena con
delitto organizzata da un fratello al centro di loschi traffici, però, diventa una caccia al tesoro, anzi al rapito, in cui persone
medie si troveranno a fare i conti con un gioco che sfugge di mano.
Lo spunto del film si esaurisce presto. Game
Night lascia
di lato le sue pedine e, tra buoni sentimenti e stiracchiati colpi di
scena, inseguimenti e sparatorie all'americana, preferisce i muscoli
al ragionamento. I protagonisti avrebbero potuto essere
indifferentemente membri del club del libro o rappresentanti
Tupperware. Mancano loro, purtroppo, le strategie dei giocatori
incalliti, i piani studiati nel dettaglio, un regolamento ferreo. Non
all'altezza delle premesse, la commedia degli autori di Come
ammazzare il capo è
arrivata giusto in tempo per la stagione, scorrevole e ben diretta
com'è – inaspettati il livello di splatter e la cura dei piani
sequenza a effetto. Peccato non sia uno Sleuth in
cerca di leggerezza, peccato tradisca non troppo originalmente il
giallo per l'azione. Diventando, dopo Notte
folle a Manhattan e Crazy
Night, l'ennesimo
ibrido con persone qualunque, serate qualunque, piani criminosi
qualunque: barando. (6,5)
Altri amici
nostagici, altri giochi per adulti. Non per una notte e basta, questa volta,
ma per tutto un mese: un maggio consacrato a un acchiapparello senza
confini e senza regole. Ci si insegue perciò negli anni, fra le
nascite, i matrimoni e i drammi personali. Una buona scusa per darsi sui nervi
a vicenda, per riavvicinarsi. Forse per l'ultima volta, se
l'imbattibile Jeremy Renner convola a nozze, e il matrimonio è
l'occasione perfetta per metterlo con le spalle al muro? Helms, Hamm
e Johnson, con al seguito un'adorabile Fisher e una Wallis in cerca
di scoop, tornano a casa come i Perdenti di It. Si ride, in
Prendimi!, e si finisce con un po' di affanno grazie a quel
cast perennemente in moto e a una regia che non si fa mancare neppure
gli uomini incappucciati del thriller. Sono ammessi i tiri mancini, i
siparietti ingannevoli, colpi bassi non sempre metaforici: il gioco
sporco, pur di aggrapparsi pateticamente al tempo perduto. Rischieranno di rovinare
proprietà private, relazioni e ricordi. Restano gli zigomi che
tirano, lo stupore per una vicenda così assurda da essere vera, il
pensiero sinceramente preoccupato per quello che faranno di lì a un
anno. Cosa hanno vinto, infatti? Cosa hanno perso? Per fortuna la
ruota della fortuna gira, il gioco tiene giovani e in forma e, a
volte, il vero trionfo sta nel dichiarare bandiera bianca in nome di
un abbraccio da prendere, e poi subito da restituire. (7)
Quattro amiche
dalla pelle fieramente nera cercano di riallacciare i contatti, con
la scusa di un festival nella scatenata New Orleans. La scrittrice
Regina Hall, legata alla star di Nick Cage per convenienza,
accetta i tradimenti per mantenere la propria indipendenza; Queen
Latifah, giornalista passata alla cronaca rosa, gestisce un blog di
gossip che non la rispecchia; Jada Pinkett Smith, infermiera
repressa, quando non accudisce i suoi pazienti bada alla sua
bisognosa nidiata; Tiffany Haddish – sboccata rivelazione che per
questo ruolo ha collezionato perfino qualche nomination – è un'impiegata troppo impulsiva
per lasciarsi comandare. Come recuperare il tempo perso, se non
scambiandosi i segreti di amanti superdodati e trucchi per il sesso
orale; prendere parte a sfide di ballo sotto allucinogeni che
sfociano presto in rissa; spruzzare fiotti di urina su spettatori
che non sanno bene se dirsi disgustati o divertiti fino alle lacrime?
Le parolacce non sono una prerogativa maschile. Non sono una
prerogativa dei bianchi. Volgarissimo ma da record al
botteghino, Il viaggio delle ragazze è all black e,
soprattutto, retto da un cast di sole donne: binomio vincente, in
questo periodo di commedie giuste nel momento sbagliato, tra razzismo
che purtroppo ritorna e #metoo. L'emancipazione, infatti, sembra passare anche dalla grassa risata. E Malcolm D. Lee, cugino del ben più impegnato
Spike, ti reinventa così la parità e il femminismo, lontano dagli
impegni del politicamente corretto. (7)
Le
Barden Bellas sono tornate. Dopo un secondo
capitolo che non aveva né il piglio ironico né la colonna
sonora del primo. Dopo la fine degli studi, che le ha sorprese confuse,
lontane e non sempre realizzate – qualcuna fa i conti con la
maternità, qualcun'altra con un lavoro sottopagato. Rimettersi in
gioco allietando le truppe in un viaggio per l'Europa, con un tour fa tappa
ora dalla Spagna, ora dalla Costa Azzurra. E scoprire che c'è chi
gioca sporco, tra gruppi a cappella che ammettono strumenti e padri
redivivi, coinvolti in situazioni di dubbia legalità. Pitch
Perfect 3, uscito da noi in
sordina e in ritardo, è una piacevole via di mezzo a cui non si osava chiedere nulla di più, nulla di
meno. Questa volta, esplorando nuove sottotrame, la commedia musicale si tinge di sfumature criminose, e una regia da action finisce per dare
spazio più alle gag comiche di una Rebel Wilson bad-ass che alle
canzoni. Misto colorato di canto, umorismo grossolano e
femminismo militante, non ne sentirò la mancanza ma da
vecchio orfano di Glee, da spettatore che se si tratta di commedie
demenziali non va affatto per il sottile, aspetto in fondo l'arrivo
di un altro ibrido sul pentagramma; di un'altra scusa per tornare,
tra me e me, a canticchiare. (5,5)
Un
bambino da sottrarre alla custodia di un padre fanfarone e una strana
coppia pronta ad accoglierlo in famiglia. Lo spunto di A Modern Family,
vecchio come il mondo, è aggiornato per l'occasione al tempo
delle unioni civili e di quelle famiglie monogenitoriali che fanno
discutere. Scorretto per finta, è abbastanza innocuo e tenero, in verità, da non
scandalizzare troppo neanche il nostro Ministro della famiglia.
Tenere l'orfano o non tenerlo: cos'è giusto e cosa sbagliato? Un
bravissimo Coogan e il compagno Paul Rudd, particolarmente bello con
la barba da hipster, non si pongono il problema: credono di stare
meglio da soli e, dopo dieci anni di convivenza, giurano che il loro
amore sia ormai cosa finita. Quel bambino di cui non ricorderanno mai il
nome li tiene insieme, li spinge a ripensare alle loro
priorità e a mettere il prossimo al centro. La variazione sul tema di Tre scapoli e un bebè,
questa volta con una coppia gay e un anonimo teppistello in cerca
d'affetto per protagonisti, risulta mediamente divertente e trasmette
quel po' di dolce progressismo che basta. Ma la lezione, già
familiare agli americani, non rivoluzionerà di certo i nostri
cinema, il nostro pensare. In una stagione in cui le commedie leggere
leggere sono le bene accette, sì, ma i messaggi importanti, gli
insegnamenti di civiltà, avrebbero avuto bisogno di maggiore eco per
aprire gli occhi. (6)
Tre
adolescenti pronte a spiccare il volo e i
loro rispettivi nonché preoccupatissimi genitori. Leslie Mann, mamma single
che teme la solitudine; un inedito John Cena, papà piagnucoloso
di una futura campionessa di calcio; Ike Barinholtz, alias il
fac-simile di Mark Walberg, che divorziando ha perso la moglie, ma
non quella primogenita che tentenna all'idea dell'outing. Se in una
commedia assai alla buona, lo spunto ironico ma affatto
iconico è presto servito. Il ballo è alle porte, la partenza
altrettanto: perchè non perdere la verginità all'unisono, si
domandano così le tre amiche, inconsapevoli dei piani di sabotaggio
dei parenti. Uniti per cospirare contro i capricci delle ragazze e, si spera almeno, per farci
ridere. Giù le mani dalle nostre figlie,
a rischio di confusione con il francese Non
sposate le mie figlie!, ha difetti grandi e
piccoli: Cena non possiede un po' della verve del collega The Rock e Barinholtz avrà diritto sì alla storyline più toccante, ma alla deliziosa Mann
tocca riconoscere a mani basse i tempi comici migliori. Quello davvero imperdonabile, di difetto, è come spesso succede un altro: il trailer. Lo stesso che ti svela
le gag più spassose, tra gare alcoliche per via rettale e tanga
prelevati dal cassetto sbagliato. Lo stesso che ti ruba l'ilarità delle
situazioni, in una sera prima degli esami a cui, già di tuo, chiedevi le scarse pretese di un'altra stupida commedia americana. (5,5)