“E
io, oltre a portare la colpa di essere femmina, avevo un'aggravante:
ero nubile.”
Titolo:
I Gillespie
Autrice:
Jane Harris
Numero
di pagine: 508
Prezzo:
€ 9,00
Sinossi:
Nella
primavera del 1888, in seguito al decesso della zia da lei
amorevolmente accudita, Harriet Baxter decide di lasciare Londra e
viaggiare alla volta di Glasgow. Trentacinque anni, nubile, una
piccola rendita annua cui attingere, Harriet arriva nella seconda
città dell'Impero nell'anno dell'Esposizione Internazionale. Durante
una passeggiata in una giornata insolitamente calda, Harriet soccorre
una distinta signora di circa sessant'anni stramazzata al suolo per
un malore sconosciuto. Qualche giorno dopo si ritrova a onorare
l'invito, elargito in segno di riconoscenza per il suo bel gesto, a
casa dei Gillespie, la famiglia della donna soccorsa. Ci sono
Elspeth, l'esuberante madre del padrone di casa; Mabel, la figlia di
Elspeth inacidita per essere stata abbandonata sull'altare; Kenneth,
il figlio belloccio tormentato da un segreto inconfessabile; Annie,
la dolce moglie del padrone di casa alle prese con l'educazione di
due figlie; il padrone di casa, Ned Gillespie, un giovane, geniale
pittore dai tratti meravigliosamente regolari e piuttosto avvenenti,
e una punta di tristezza negli occhi blu oltremare. L'incontro con
Ned Gillespie risulta fatale per Harriet Baxter. In lei si fa strada
la convinzione di dover salvare Ned Gillespie. Salvarlo dalla sua
indigenza, che gli impedisce di dare libero sfogo alla sua
creatività, e salvarlo dalla sua turbolenta famiglia. Una
convinzione che, come ogni ossessione, trascina inevitabilmente
dietro di sé l'ombra della tragedia.
La recensione
Nella
Londra degli anni Trenta, Harriet Baxter – arzilla ottuagenaria
coinvolta, decenni prima, in un misterioso caso di cronaca nera -,
decide di lavorare a un'autobiografia, mentre l'immaginazione
galoppa, la salute la abbandona e la sua domestica, Sarah, diventa
fonte di sospetti. Quale tremenda cicatrice nasconderà sotto le
gonne, voluminose e scure anche in piena estate? Quanto la tradisce
un accento che ricorda all'anziana il suo lungo soggiorno a Glasgow,
nella primavera del 1888? Chi è la sua aiutante e, domanda che preme
ancora di più, chi è davvero questa paranoica, intrigante
vecchietta? Un'occhiata al suo memoriale, ed eccola lì, trentacinque
anni appena, visitatrice di una Scozia che, sul finire del
secolo, ospitava le invenzioni straordinarie, le curiosità e le
ricchezze dell'Esposizione Internazionale. A passeggio, per caso,
salva un'appariscente matrona dal soffocare. Ed è per
caso che, piena di riconoscenza, la donna a cui ha prestato aiuto
la invita prima per il tè, poi per il pranzo, fino a rendere Harriet
un'ospite ricorrente. La matrona, pettegola e vanagloriosa, è la
mamma di Ned, artista emergente che – per caso, si capisce –
la turista ha già conosciuto a un vernissage, in Inghilterra.
Quant'è piccolo il mondo. E ampio e accogliente, al contrario, è il
salotto dei Gillespie: Harriet si mette comoda; li osserva,
affascinata. Il pittore e Annie, moglie mite e protettiva,
sono i genitori di due bambine che mettono a soqquadro lo studio,
disturbano il papà a lavoro, ricercano attenzioni: se Rose è un
cherubino, però, la maggiore, Sibyl, è al centro di incidenti,
fenomeni inspiegabili, sinistri episodi di violenza. Intossicazioni
alimentari, disegni osceni sui muri, cocci di vetro nel letto della
secondogenita. Gesti inquietanti, scherzi da bambini; finché non
accade l'irreparabile. E ci sarà un processo che, a distanza di
mezzo secolo, il Regno Unito non scorda ancora. E una famiglia
borghese consumata lentamente dall'interno; smantellata. Voluminoso e
di altre epoche, impegnativo solo all'apparenza, il romanzo di Jane
Harris era un mattoncino in edizione Beat – il dorso rosa antico e
la bellezza di cinquecento pagine complessive – che, da un po',
prendeva polvere nella pila di libri intonsi perché temibili.
L'ho letto in pochi giorni, invece: nonostante la lentezza degli
inizi, qualche pagina in eccesso e il mio scarso feeling verso le
letture in costume, che fanno il verso ai romanzi d'appendice.
La
Neri Pozza è la quintessenza dello stile, storia vecchia, questa, e
il dipinto di Sargent in copertina – quotidiano, eppure oscuro, con
le ombre fittissime e una bambina spettrale che ci guarda dritti in
faccia – promette un intrigo contorto, che parla di pittura,
bambole di ceramica e domestiche dalle orecchie lunghe. Per
fortuna, non si smentisce neanche un po'. Strane, le mie letture
sotto l'ombrellone: non tra le più semplici. Quando dedicarsi ai
romanzi più corposi, però, soprattutto se di sicura qualità, se
non nei mesi in cui le giornate si allungano e il tempo,
abbondantemente, avanza? Tempo passato bene, quello in casa
Gillespie. Tempo che scorre in fretta, se il solito giallo
storico, in realtà, ha dalla sua una voce insolita. Ciò che rende
peculiare il romanzo della Harris, e in parte profondamente
antipatico, è infatti questa signorina Baxter, che non ha il dono
della sintesi, eppure glissa su dettagli compromettenti e rigetta le
accuse. I Gillespie è la sua vendetta; la sua versione dei
fatti. Tutto ruota attorno a lei, e tutto è un perpetuo enigma. Non è la
persona migliore su cui fare affidamento: egocentrica e sospettosa,
manipolatrice, in barba all'attinenza al vero. Abbondano le
coincidenze, non si contano i passi falsi, la si odia per fantasiosi
doppi giochi che fanno perdere il sonno: è il burattinaio
insospettabile in una storia di ossessione. Non la racconta giusta.
Oppure sì?
Mitomane, o vittima del fato – e del pregiudizio dei
suoi tempi? Harriet Baxter è nubile, autosufficiente, dimessa e
donna, in una società che punta il dito facilmente e, con un
nonnulla, potrebbe far passare una quieta amica di famiglia per una
mantide religiosa. La generosità nei riguardi di Ned, fascinoso e
sposato, talentuoso ma distratto, ha un secondo fine? Sono forse un
trabocchetto le metaforiche caramelle che tende alle discole figlie
del pittore? Non si accettano regali dagli sconosciuti, ma Harriet è
un viso familiare; una zia, quasi. Chi può dire, tuttavia, di
saperla leggere davvero? Il gioco
della nostra narratrice bugiarda si protrae a lungo: come ogni gioco,
forse, sarebbe stato meglio se di breve durata. Ma in un romanzo che
di “forse” vive e muore, i miei vengono chiusi in
gabbia. Le chiavi le tiene la donna che, se fossi esperto di
alberi genealogici e dintorni, una piccola indagine ci rivelerebbe essere
antenata della crudele (ma irresistibile) Amy Dunne. I
Gillespie è L'amore
bugiardo ai tempi del
Vittorianesimo, per molti versi. Uno
straordinario esercizio di stile, meticoloso e, a tratti, crudelmente
divertente, in cui Jane Harris parte da uno spunto semplice e
accattivante – cedere la parola a una nobildonna sotto accusa -,
portato, qui, alle estreme conseguenze. Non c'è spazio che per la
voce di Harriet, tra le pagine, e il dubbio persiste: quale ruolo ha
avuto, esattamente, nelle inspiegabili tragedie che hanno coinvolto
una sfortunatissima famiglia scozzese? Non lo sapremo mai con
certezza: confusi da un sorriso sornione; soggiogati da una prosa che
ci rivolta da così a così, tanto che è incalzante.
Il
mio voto: ★★★★
Il
mio consiglio musicale: Lana Del Rey – Big Eyes