Buon
pomeriggio, miei amici! Come stanno procedendo queste vacanze e come passerete la
giornata di domani? Per farvi i miei migliori
auguri, vi propongo la recensione di un romanzo che volevo leggere da
un po', ma che ho divorato solo adesso, complice l'uscita del film –
dal 4 Aprile al cinema (... e quel giorno è anche il mio compleanno!). Mi raccomando, non fate indigestione di uova di
Pasqua! Alla prossima, Mik.
L'amore
non dà pace. L'amore è insonne. L'amore è elevare a potenza.
L'amore è veloce. L'amore è domani. L'amore è tsunami.
L'amore è
rossosangue.
Titolo:
Bianca come il latte, rosse come il sangue
Autore:
Alessandro D'Avenia
Editore:
Mondadori
Numero
di pagine: 254
Prezzo:
€ 13,00
Sinossi: Leo è un sedicenne come tanti: ama le chiacchiere con gli amici, il calcetto, le scorribande in motorino e vive in perfetta simbiosi con il suo iPod. Le ore passate a scuola sono uno strazio, i professori "una specie protetta che speri si estingua definitivamente". Così, quando arriva un nuovo supplente di storia e filosofia, lui si prepara ad accoglierlo con cinismo e palline inzuppate di saliva. Ma questo giovane insegnante è diverso: una luce gli brilla negli occhi quando spiega, quando sprona gli studenti a vivere intensamente, a cercare il proprio sogno. Leo sente in sé la forza di un leone, ma c'è un nemico che lo atterrisce: il bianco. Il bianco è l'assenza, tutto ciò che nella sua vita riguarda la privazione e la perdita è bianco. Il rosso invece è il colore dell'amore, della passione, del sangue; rosso è il colore dei capelli di Beatrice. Perché un sogno Leo ce l'ha e si chiama Beatrice, anche se lei ancora non lo sa. Leo ha anche una realtà, più vicina, e, come tutte le presenze vicine, più difficile da vedere: Silvia è la sua realtà affidabile e serena. Quando scopre che Beatrice è ammalata e che la malattia ha a che fare con quel bianco che tanto lo spaventa, Leo dovrà scavare a fondo dentro di sé, sanguinare e rinascere, per capire che i sogni non possono morire e trovare il coraggio di credere in qualcosa di più grande.
La recensione
Sinossi: Leo è un sedicenne come tanti: ama le chiacchiere con gli amici, il calcetto, le scorribande in motorino e vive in perfetta simbiosi con il suo iPod. Le ore passate a scuola sono uno strazio, i professori "una specie protetta che speri si estingua definitivamente". Così, quando arriva un nuovo supplente di storia e filosofia, lui si prepara ad accoglierlo con cinismo e palline inzuppate di saliva. Ma questo giovane insegnante è diverso: una luce gli brilla negli occhi quando spiega, quando sprona gli studenti a vivere intensamente, a cercare il proprio sogno. Leo sente in sé la forza di un leone, ma c'è un nemico che lo atterrisce: il bianco. Il bianco è l'assenza, tutto ciò che nella sua vita riguarda la privazione e la perdita è bianco. Il rosso invece è il colore dell'amore, della passione, del sangue; rosso è il colore dei capelli di Beatrice. Perché un sogno Leo ce l'ha e si chiama Beatrice, anche se lei ancora non lo sa. Leo ha anche una realtà, più vicina, e, come tutte le presenze vicine, più difficile da vedere: Silvia è la sua realtà affidabile e serena. Quando scopre che Beatrice è ammalata e che la malattia ha a che fare con quel bianco che tanto lo spaventa, Leo dovrà scavare a fondo dentro di sé, sanguinare e rinascere, per capire che i sogni non possono morire e trovare il coraggio di credere in qualcosa di più grande.
“Il
greco è la verdura della scuola. Amara e utile solo al transito
intestinale, cioè a fartela sotto il giorno dell'interrogazione...”
L'adolescente
è un mistero ancora da svelare; un puntino luminoso che, una volta
ogni mille anni, taglia il cielo e la nostra notte cercando
attenzioni, nel tentativo vano di essere compreso, di non sentirsi
più solo in quel profondo, cosmico blu: così sterminato, eppure
così vuoto, lontano. Si mostra, in attesa di incrociare occhi
giovani e puri come i suoi, e poi scompare. Via nell'anima della
notte, via nell'anima della vita. Un attimo dopo è già vecchio: una
moglie, un figlio, un mutuo da pagare con un lavoro frustrante e una
foresta di tristi rughe. Come una farfalla, vive per un solo giorno.
Ha
la cronologia del PC più ritoccata degli zigomi di un'attricetta
nostrana e più limpida dei sanitari di un ospedale, password al
cellulare che farebbero un baffo all'astuta Sfinge di Edipo, pensieri
vietati ai minori e rigorosamente da censurare. Conia parolacce e
neologismi e fa pensieri profondi, il più delle volte. Districarli
tra collage mentali di ragazze pettorute e sorridenti, equazioni e
lettere greche, calcio e motorini, noia ed imprecazioni varie è
l'impresa che il valente Ercole aspetta di portare a termine
dall'alba dei tempi, praticamente! Parlare
di tutto questo non è impossibile. Bastano una voce schietta e
acuta, una penna, distese di carta bianca da riempire con i colori
delle emozioni. Colori
definiti, ma sbavati: come in un graffito. Colori che i miei prof
reputerebbero sporcizia senza senso su un muro senza senso, non
un'opera d'arte. Macchie pazze, semplice schifo. Sono stati i miei
insegnanti a consigliarmi per la prima volta Bianca come il latte,
rossa come il sangue. Più che
un consiglio, la loro era un'imposizione.
E
io, fiero e ribelle liceale, finalmente lasciato alle spalle il
quinto ginnasio, non l'ho letto. Chiaro: come avrei potuto riconoscermi in
un romanzo nel quale si erano riconosciuti loro? Dov'era il mio
diritto di evitare accuratamente i consigli dei perpetui attentatori
alla mia tranquillità di studente che, molto probabilmente, avevano
fatto da fornitori di inchiostro e papiro ad un giovincello Omero? Io
ero un genio incompreso, loro non capivano niente. Caso chiuso.
Volevo essere alternativo, discordante: dire “No, io non l'ho
letto!” e andarne fiero.
Ma,
a distanza di anni dalla pubblicazione, complice l'uscita del film,
mi sono riavvicinato alla storia di Leo, Silvia e Beatrice. Mi sono
avvicinato a un cantastorie eccezionale, a un sognatore che mi ha
fatto posto sulla sua stella.
“L'amore
è una specie di forza di gravità: invisibile e universale, come
quella fisica. Inevitabilmente il nostro cuore, i nostri occhi, le
nostre parole, senza che ce ne rendiamo conto vanno a finire lì, su
ciò che amiamo, come la mela con la gravità”.
Alessandro
D'Avenia: un bravo scrittore, bravissimo; un maestro di filosofia e
di vita sensibile ed umano; l'insegnante che vorrei sentir parlare a
lezione, l'amico che vorrei chiamare a notte inoltrata nei miei tanti
momenti no. Io
ero come il suo Leo prima dell'arrivo del Sognatore.
Inconsapevolmente perso.
Il
romanzo ha periodi spigolosi, ma senza spigoli. Spezzettati,
frammentari, lapidari, ma morbidi – come quando la mamma, da
piccini, tagliava via la crosta dura dal nostro tramezzino con la
Nutella. Sono fatti di parole leggere, tra il rosso e il bianco;
suggestive come nuvole perfettamente rosa in un tramonto sul mare.
I
capitoli sono epigrafici. Quando hai sedici anni tutto è così
complicato, tutto è così semplice: i genitori sono due estranei con
connotati simili ai nostri, i prof sono una malefica razza da
lasciare estinguere come un'epidemia di colera, gli amici sono la
vita, la musica è tutto, l'amore è una tempesta di rossi esplosa su
una tela di Pollock. Arriva con uno scoppio tra i banchi di scuola,
con i freni che fischiano ed un boato che, tutto un livido e con il gesso al braccio, ti porta dal tuo unico amore, nel luogo dove mettere alla prova il tuo
coraggio e la tenacia dei tuoi sentimenti: non un castello, ma un
ospedale. Tre il protagonista e l'eterea Beatrice non una strega
malvagia, ma una malattia mortale: un incantesimo che trasforma il
suo sangue da rosso a bianco. Il colore più brutto.
“Strappare
la bellezza ovunque essa sia e regalarla a chi mi sta accanto. Per
questo sono al mondo”.
Nonostante
gli aforismi di cui è impreziosito, i dialoghi essenziali e
significativi, i piccoli apologhi che si incastrano nella storia stessa, nella filosofia antica e
nella tradizione greca, l'esordio di Alessandro non suona retorico
nemmeno un po'.
Lui
si limita a coniugare esattamente i congiuntivi, a mettere le virgole lì dove sono
necessarie, a fare ordine tra i pensieri e i ricordi, a rendere il suono
della campanella e il ticchettio del gesso sulla lavagna i suoni più
armoniosi di questo mondo, a sollevare il tono di Leo – capelli
ribelli, voglia di studiare saltami addosso... in una relazione aperta
a tempo indeterminato con il torneo di calcio a scuola e l'iPod –
quando parla di e con Beatrice, una splendida dea che sta per abbandonare
il suo corpo terreno troppo bruscamente. Destinazione: l'eterno.
L'amore gli ha messo le ali ai piedi, il suo grillo parlante gliele
ha messe alle parole, affinché suonassero migliori e più sicure.
Affinché restassero per sempre.
“Se
lei sparisce, sparisce il sogno. E la notte resta nel suo buio più
buio, perché non ci sarà nessuna alba”.
Bianca
come il latte, rossa come il sangue è un rapido flusso di
coscienza, un canto intonato con voce e chitarra a una vita che il più delle volte è un po' stronza, una storia d'amore maturata in duecento
giorni e abbozzata su un banco di scuola, una lettera a Dio rubata
tra le pagine del commovente diario di Beatrice. Scritta e riscritta.
Strappata e risanata. Nella gioia e nel dolore. Nella salute e nella
malattia. Con le lacrime o il sorriso, la rabbia o la quiete. Con la
voce che è un graffio nella gola o un inno alla gioia di vivere. Potrebbe
essere lo specchio dei nostri anni, il libro della nostra gioventù,
l'insegnamento della nostra vita. Una cosa è certa: se ci fossero
più romanzi così, più autori come Alessandro D'Avenia, allora
molti più giovani leggerebbero. E forse, potrebbe essere anche
un'Italia meno difficile, la nostra. Da un alunno a un prof...
Il
mio voto: ★★★★
Il
mio consiglio musicale: Modà – Se si potesse non morire