Buongiorno
a tutti, amici. Finalmente le lezioni sono finite, finalmente sono a
casa. Dopo la recensione di Angelize e due bramati regali natalizi
per voi, torno con la rubrica cinematografica Mr Ciak. E vi parlo di
due film che ho adorato senza riserve e che, nei cinema, stanno
facendo o faranno furore. Il primo – Frozen – è arrivato in sala
ieri: magnifico, che siate grandi o piccini. Il secondo –
l'attesissimo sequel di Hunger Games – sono andato a vederlo agli
inizi del mese e, finalmente, posso parlarne con voi: come vi ho
anticipato su facebook, l'ho trovato bellissimo. Il primo parla di
ghiaccio, il secondo di fuoco: accoppiata vincente. Inoltre, alla
fine del post, troverete brevissimi pensieri sugli altri film che ho
visto in settimana. Fatemi sapere cosa ne pensate. Un bacione, M.
Walt
Disney è sinonimo di fiaba. Walt Disney è sinonimo di garanzia.
Eppure ci sono alcune storie che non ti convincono, alcuni racconti
che non ti portano lontano dal mondo, alcuni amori che non sanno
rubarti il cuore. La Disney di una volta – quella fatta di canzoni
senza tempo, principi e principesse, regni incantati, magie e
meravigliosi effetti visivi – non la si trova più in sala con la
facilità di un tempo. Ogni Natale porta con sé un nuovo cartone, ma
in poltrona non sempre troviamo a farci compagnia l'ombra piccola e
familiare che seguiva il nostro corpo così teneramente morbido e
rotondo nei lontani giorni dell'infanzia. I nostri eroi, da semplici
e laboriosi disegni a matita, sono diventati in 3D o, magari,
realizzati al computer, dalle menti superiori di nerd senza
ispirazione e amore. E la magia, ormai a portata di click, si è
persa. Il gelo è sceso sulla favola, imprigionando sotto una cortina
di ghiaccio, tante volte, l'emozione vera. E' così bello ammettere
di essersi sbagliati; è così soddisfacente aver trovato – tra
delusioni e esperimenti senza sapore e colore – la splendida
eccezione che conferma la regola. E' meraviglioso, semplicemente
meraviglioso, essersi imbatutti in Frozen – Il regno di
ghiaccio. Un'avventura che,
pattinando sul ghiaccio e planando tra i fiocchi di neve, librandosi
tra montagne impraticabili e castelli di cristallo, riempie lo
schermo di nubi tempestose e di venti pungenti, facendo piombare
temperature glaciali in sala capaci di gelare borghi antichi e legami
familiari, ma non i cuori. I cuori no: i cuori battono forte e a
ritmo di musica, ora allegri e ora delicatamente affranti. Vibrano,
impazziti, e lo fanno davanti a un evocativo ed emozionante splendore
che rimanda all'epoca d'oro del cinema per i più piccoli. Quando i
bei film d'animazione erano proprio così. Con un C'era una
volta all'inizio e un
E vissero per sempre felici e contenti
alla fine. Semplici, confortanti, onesti, incantevoli, autenticamente
perfetti. Frozen, dopo
l'altrettanto bello Rapunzel,
giunge per darci una certezza, a testimonianza di un nuovo e
sorprendente trionfo: la Walt Disney non è morta. E io credo in lei,
come i bambini di Peter Pan facevano
nelle fate. Obbligo tutti a guardare Frozen,
ed è un ordine: a fine visione, infatti, crederete anche voi in
questo bello e surreale incantesimo in musica, capace di unire alla
tradizione tocchi di fresca e intensa originalità. C'è spazio per
l'amore, per un principe dai modi galanti e per un boscaiolo un po'
matto, ma dallo sguardo dolce e dalla voce d'angelo; c'è tempo per
principi e principesse, mostri dai denti affilati e canzoni dal
ritornello trascinante, in estate, primavera e inverno. C'è un luogo
per inseguimenti a perdifiato, pianti, colpi di scena, risate. Un
luogo, un tempo e uno spazio per loro, Elsa e Anna: nemiche, amiche,
complici, rivali. Sorelle. Elsa, la più grande e responsabile delle
due, si è sempre presa cura, con amore e generosità, dell'ultima
arrivata in famiglia: la paura di ferirla, però, con i suoi poteri
indomabili e inarrestabili - con quel ghiaccio che le usciva
magicamente dalle punte delle dita – ha vinto sull'affetto e sulla
complicità. La preoccupazione di far del male al prossimo l'ha resa
prigioniera della sua stessa casa e, tra lei e la sorella minore, c'è
– fissa – una porta chiusa. Il terrore fa sì che crescano come
tristi estranee. Fino a quando, anni dopo, con i genitori inghiottiti
dalle onde e mai restituiti, Elsa si appresta ad essere incoronata
regina. Sarà allora che il suo potere indomabile si libererà,
facendo scendere l'inverno sul mondo. Le convenzioni, adesso, la
vorrebbero la cattiva della storia, la spietata antagonista, eppure
come giudicarla? Solo così, al gelo, senza prigioni, può essere
finalmente libera. Le stesse convenzioni, inoltre, vorrebbero che
Anna fosse un'eroina romantica, coraggiosa e ribelle e invece,
inaspettatamente, la storia d'amore più bella e commovente si ha tra
lei – tanto sbadata, insolente, buffa, adorabile – e l'algida
sorella che dovrebbe combattere. Come Rapunzel viene
raccontata la storia di una prigionia; come in La bella e
la bestia la paura del diverso è
in primo piano; come in La bella addormentata nel bosco
ogni maleficio rimanda a un
bacio di vero, puro amore. Con due protagoniste grandiose, umane e
alle prese con duetti dalla potenza sconvolgente, Frozen è
fatto anche di personaggi secondari magistralmente ideati: un
esilarante pupazzo di neve, che sogna il sole e la tintarella;
un'affettuosa renna, amante delle carote e delle carrozze di lusso;
una pianura desolata di sassi senza vita che, in realtà, sono solo
intonatissimi e carinissi troll con il pallino per gli incantesimi.
Nella colonna sonora, tra tanti pezzi che imparerò a conoscere, a
furia di rivederlo, la bellissima All'alba sorgerò:
cantata, per un'evidente trovata
pubblicitaria, dalla pessima Violetta di Disney Channel, in realtà,
nel film, è interpretata dalla nostra talentuosa Serena Autieri, che
presta la sua voce – e che voce! - all'indimenticabile personaggio
dell'inarrestabile Elsa. Ho sentito tutto, e con l'intensità dei
bambini. Ho riso forte, ho sperato forte, ho sognato forte, mi sono
mangiato le unghie forte.Non serviva una macchina del tempo. Solo un
tocco di pura, incontaminata, fuoriosa magia. Solo Frozen.
La
saga letteraria di Hunger Games mi ha fatto completamente,
definitivamente, perdutamente suo quest'anno. Forse troppo tardi.
Quando ho sentito il canto della rivolta e, per la prima
volta, il battito del cuore di Katniss e il coraggio grande di
Suzanne Collins, la sua creatrice. La saga cinematografica, invece,
mi avevo già conquistato da un po'. Era stato amore al primo film.
Il libro non mi aveva convinto, ma, caso raro, il film l'aveva fatto.
Un cast straordinario e scelto con cura e una regia sporca e veloce
avevano dato credibilità ai giochi spietati, alle città e alle
rivoluzioni in cui, attraverso la prosa, purtroppo, non avevo
creduto. Hunger Games era un buon libro, ma il film era
superiore. La ragazza di fuoco, grazie a una repentina
crescita nello stile e nei temi, era un un romanzo più che buono,
invece; e il film – pensate un po' – è anche meglio, a mio
parere. Di sicuro superiore al primo, e nettamente. Stupisce per un
fatto semplicissimo: pensato per un target di soli adolescenti, sa
diventare, invece, qualcosa di più grande, complesso, monumentale.
Universale. E' l'intrattenimento di un certo peso in cui tutti, nelle
loro gite al cinema, sperano di incappare. La Lawrence come l'ottava
meraviglia del mondo... Una forza della natura, un vulcano in
eruzione, il Titanic prima dell'iceberg. Con quegli occhi blu così
belli, ti inchioda l'anima, il cuore e il sedere alla poltrona. E tu
la contempli, come fosse un dipinto. Una furiosa, umana e romantica
Giovanna D'arco armata di frecce e gioventù. Dio non commette
ingiustizie, o così si dice. C'è chi è bello e chi è bravo; chi
ha amore e chi ha fortuna. Poi c'è la Lawrence che, miracolosamente,
ha tutto quanto. E non è invidia quella che si prova, no. Forse non
si prova niente, perché lei lascia ammutoliti, punto e basta.
Affascinante, convincente e incredibilmente intensa dà vita a una
Katniss tenace, furiosa, tristissima e piena di ferite, fisiche e
corporee, e, ottima nelle scene che la vogliono sporca e atletica e
splendida in quelle che puntano tutto sui suoi occhi sterminati e
sulla sua bellezza giunonica, mi ha ricordato leggermente Elizabeth
Taylor in "Cleopatra" - sarà opera di truccatori e
costumisti più abili del buon Cinna, sarà che - anche se
giovanissima - ha già un che delle dive d'altri tempi. Mostra tutti
i modi di soffrire, di piangere, di combattere, di amare. E' intensa,
è potente. Strega, ruba sguardi e approvazioni all'unisono.
Impossibile schiodare gli occhi, difficile rubarle la scena. Eppure,
in generale, tutti ci riescono piuttosto bene. Non a rubargliela, ma
a condividerla con lei, bravissima, a testa alta e spalle larghe. Il
piccolo Josh Hutcherson sembrerebbe scomparire, a prima vista,
ma in realtà è la parte complementare di lei. Domina la scena
quando, con la tenerezza di un bambino, quasi, chiede a Katniss una
cosa semplice e stupida come il suo colore preferito. Si perde tra le
fronde e gli abiti di scena, con la sua statura che, a volte,
sembrerebbe penalizzarlo un po', ma poi sa spiccare, come solo lui sa
fare, per quella fanciullezza che fa di lui un Peeta perfetto.
L'unico. Un po' poeta, un po' bambino: ingenuo, puro, delicato. Uno
dei miei personaggi preferiti, uno dei pochi a cui voglio realmente
bene. Maniacale, curatissima, la costruzione dei personaggi
secondari, piccoli e grandi che siano. La Effie della poliforme
Elizabeth Banks, sgargiante e malinconica, è un pagliaccio triste
che sa far ridere e, inaspettatamente, emozionare; l'Haymitch del
simpatico Woody Harrelson ha tanto in comune con Katniss, compreso
l'affetto sincero e naturale verso il fragile Peeta, speranza per il
domani; meno presente, ma ugualmente convincente, il Gale di Liam
Hemsworth, ruolo tuttavia annullato dalla potenza di un amore che
contempla gli affiatati Josh e Jennifer e nessun terzo incomodo –
poi noi tifiamo Peeta, tié. Accanto a queste grandi promesse
debitamente mantenute, s'inseriscono i nuovi partecipanti di questa
nuova e improvvisa edizione degli Hunger Games: sono tanti e,
francamente, di loro ricordavo giusto l'indispensabile. Nel romanzo,
secondo me, non erano stati caratterizzati tanto magistralmente da
riuscire a spiccare nel vasto e complesso quadro generale. Cosa che,
fortunatamente, nel film succede a meraviglia. Sexy e audace Jena
Malone – esilarante il suo spogliarello nell'ascensore, davanti a
una Katniss arrabbiatissima e a un Peeta in estatica contemplazione
-, ambiguo il giusto Philip Seymour Hoffman, toccanti Sam Claflin e
Lynn Cohen: due rivelazioni. Tra lui, giovane e arzillo, e lei,
anziana e con un viso che comunica quello che le parole non dicono
più, c'è un rapporto che scalda il cuore e che, francamente, non
ricordavo minimamente: Finnick, premuroso e altruista, la porta in
spalla come Sam faceva con Frodo e come, nell'Eneide, Enea
faceva con l'anziano padre. Ripugnante e viscido l'immenso Donald
Sutherland, che si conferma uno dei più grandi e duttili attori
della sua fortunata generazione, nonché un ottimo caratterista. Una
sceneggiatura ben scritta e ricca, inoltre, mi ha permesso di
scoprire anche figure che, in quella folla di corpi, trappole, palme
e cospirazioni, avevo finito per perdere, ahimé, parzialmente di
vista. Gli effetti speciali, rispetto al primo, sono usati con
maggiore maestria, ma con la solita intelligenza: isole mortali,
orologi esplosivi, nebbie tossiche e bianche come neve velenosa,
scimmie fameliche, ologrammi inquietantemente realistici come
compagni d'allenamento o tenaci avversari virtuali... La regia, ad
opera dell'affermato Francis Lawrence, è più hollywoodiana: sicura,
pulita, più a fuoco, meno traballante e meno attaccabile. Il regista
di Io sono leggenda e
Constantine, con
spiccata consapevolezza e con occhio attento verso il cinema horror
delle origini, cita The Fog, Il pianeta delle scimmie, Gli
uccelli. Il film dura tanto, ma
non si ci annoia: il ritmo è così serrato che per gli sbadigli o
per guardare l'orologio non c'è tempo. Vorrebbe dire staccare gli
occhi dallo schermo, anche per un solo istante. O perdersi le
indimenticabili, significative e potenti sequenze finali: uno
squarcio in un cielo di carta, una falla in una cupola radioattiva...
poi il sole. Sempre il sole, brillante e onnipresente anche sulle
sciagure umane. Ho sentito il cinema intero cadere sotto shock prima
dei titoli di coda: l'epilogo, così netto, così ipnotico grazie al
primo piano di una Lawrence in lacrime, arriva inaspettato e brutale.
Una domanda, francamente, mi è sorta spontanea: le favolose tracce
incise per la colonna sonora dove sono mai finite? I Coldplay, di
sfuggita, sono la colonna sonora dei titoli di coda; dei The
Luminers, di Christina Aguilera, di Lorde, di Ellie Goulding, di Sia
e di tanti altri non si fa, purtroppo, minimamente cenno. Fatto
trascurabile, in confronto al resto. Correrei volentieri a
rivederlo... Voi?
Un
fantastico via vai: una commedia
che di “fantastico” non ha niente. Eppure Pieraccioni mi è
sempre piaciuto, ma – a malincuore – vi dico che, per me, è dai
tempi di L'amore all'improvviso
che non azzecca un nuovo film. La storiella è carina e penso che
tutti gli universitari d'Italia vorrebbero un coinquilino come il
simpatico comico toscano, ma il taglio televisivo e la sceneggiatura
striminzita non aiutano a rendere il film né divertente, né
memorabile. E' leggero, fresco, ma di un buonismo tale da fare
invidia a una puntata dei nostri Cesaroni.
Ben recitato, dinamico, arricchito dai camei dei soliti (e stanchi)
Panariello e Ceccherini, ma dalla morale troppo edulcorata e
infantile. Un film con l'aria da sit-com, più adatto ai pomeriggi di
Canale 5 che al cinema. (2/5)
Fuga
di cervelli: un film scemo, ma
che – di tanto in tanto – il suo compito lo fa: far ridere. Senza
intelligenza, senza brio, senza perché, ma fa ridere. Per le
parolacce, i gestacci, le gag scollegate tra loro ma decisamente
idiote, per i protagonisti che – usciti dalla Tv o da Youtube –
sono tra i più seguiti e cliccati in rete. Un cieco, un paralitico,
uno spacciatore e una cavia umana in trasferta ad Oxford - chi in
cerca di ragazze facili, chi del vero amore. Perché chi si somiglia
si piglia! Il più simpatico è Frank Matano, il più convincente è
Luca Peracino. Dirige Paolo Ruffini, nel cast anche in veste di
attore. Da vedere insieme agli amici, per ridere insieme a loro e
dimenticare tutto nell'arco della stessa sera. (2/5)
Giovane
& Bella: algido e sensuale,
raffinato e sottile, il nuovo film del bravissimo Francois Ozon
racconta una storia scabrosa, a tinte forti, ma con la solita
leggiadria francese. Non scandalizza perché è ben fatto, ben
diretto e perché la protagonista – con quegli occhi azzurro mare e
il fisico statuario da modella – è troppo angelica per risultare
volgare. Racconta la storia di una di quelle che i telegiornali
attuali chiamerebbero, forse, baby squillo.
Un'adolescente di buona famiglia che, tra lo studio e le amiche, si
ritaglia tempo per appuntamenti in camere d'albergo con uomini
anziani e facoltosi. La pagano per fare sesso, lei che – l'estate
prima – ha perso la verginità, in spiaggia, con un ragazzo che
l'aveva fatta sentire vuota, non amata, insoddisfatta. Eppure con i
soldi guadagnati non compra nulla: prende in prestito gli abiti
eleganti dall'armadio di sua madre, ha un cellulare demodé, non ha
vizi costosi. La nuova storia di Ozon stupisce e affascina perché
non c'è una spiegazione e perché, grazie a una regia impeccabile,
indaga nei rapporti di coppia e nelle famiglie borghesi senza scadere
nel morboso. Con un'ironia feroce e nascosta, con una delicatezza che
non è da scambiare mai per buonismo. Magistralmente diretto, con una
giovanissima attrice da tenere d'occhio, Giovane e bella è un dramma riuscitissimo. E l'emozionante cameo finale della sempre
stupenda Charlotte Rampling ne è la conferma. (3,5/5)