mercoledì 30 gennaio 2013

Recensioni a basso costo: Alice in Zombieland, di Gena Showalter

Ciao a tutti! Questa mattina, la recensione di un romanzo tanto atteso, ma pensato, almeno per il momento, solo per il mercato ebook. Grazie alla gentilissima Harlequin Mondadori, che ringrazio infinitamente, ho avuto modo di stringere tra le mani una copia staffetta di Alice in Zombieland e vederlo lì, anche se in brossura, con quella copertina splendida, è stata un'inattesa gioia! Nel mio piccolo, mi sentirei di consigliare ad occhi chiusi all'editore italiano di pensare già a un'eventuale uscita dell'edizione cartacea: sono certo che andrebbe a ruba, visto l'ottimo prezzo e le positive recensioni presenti in rete (alle quali, adesso, si aggiunge anche la mia!). Intanto, augurandovi buona lettura, vi invito a prendere parte alla petizione organizzata dalla cara Veronica (qui), che, insieme a tanti altri blogger, si augura che il libro possa essere reperito a breve anche nella tradizionale versione di carta e inchiostro ;)
 Vuoi sapere di più del male? No, io credo che ti interessi di più l'amore. Vuoi sapere cosa puoi fare per salvare le persone che ami. Dì loro la verità. Insegna loro ciò che sai. Il nemico, pur invisibile e sconosciuto, resta sempre il nemico. Sapendolo, potranno combattere.

Titolo: Alice in Zombieland
Autrice: Gena Showalter
Editore: Harlequin Mondadori
Numero di pagine: 435
Formato: Ebook
Prezzo: € 6,99
Sinossi: Se qualcuno mi avesse detto che la mia vita sarebbe cambiata in un momento, sarei scoppiata a ridere. E invece è proprio quello che è accaduto. Un attimo, un secondo, il tempo di un respiro, e tutto ciò che amavo è sparito. Mi chiamo Alice Bell, e la notte del mio sedicesimo compleanno ho perso la madre che adoravo, la mia sorellina e il padre che non ho mai capito finché non è stato troppo tardi. Quella notte ho scoperto che lui aveva ragione: i mostri esistono veramente. Gli zombie mi hanno portato via tutto. E adesso non mi resta che la vendetta... Per realizzare i suoi propositi, Alice dovrà imparare a combattere contro i non-morti e fidarsi del peggiore dei cattivi ragazzi della scuola, Cole Holland. 
Ma lui nasconde dei segreti. E quei segreti potrebbero rivelarsi persino più pericolosi degli zombie.
Chi avrebbe mai immaginato, davanti alle sanguinose scene di un buon vecchio horror di Romero o all'indimenticabile primo incontro con il sensibile R di Warm Bodies, che gli zombie, tra disgustose scia di budella e versi incomprensibili ed inumani, potessero essere fonte di così tante sorprese? Sono brutti, stupidi, abituati più alla bava schiumosa sui loro vestiti laceri che alle frasi romantiche pronunciate al chiaro di luna, ma sono protagonisti, diretti o indiretti, di storie che – piacevoli e divertenti – aspettavamo come un soffio d'aria fresca da una vita, o giù di lì. Ad essere onesti, con loro nelle vicinanze, l'aria che respiriamo non è poi così fresca. Infatti, diciamocelo, non ricorda propriamente i prati in fiore... ma questi sono particolari trascurabili! Corpi in decomposizione, terra, concentrato di sangue rappreso e una spruzzatina di cavolo andato a male sono il nuovo Dolce & Gabbana Light Blue, non lo sapevate? Tra tanti titoli a disposizione, scopritelo magari in compagnia del grazioso Alice in Zombieland, uno dei titoli che, in questo 2013 appena arrivato, aspettavo con più curiosità. Ad avermi incantato la prima volta fu la copertina. Sì, decisamente una copertina da Wow! Con il titolo che richiamava la criptica e grottesca fiaba di Lewis Carroll, avevo immaginato nitidamente le nebbie e le contraddizioni della Londra vittoriana, regine crudeli e aiutanti un po' matti, mondi onirici al di là della tana di uno sfuggente coniglio bianco, che diventavano, a causa di una pozione magica, cruenti rave party di zombie famelici, ragazzine in fuga e sornioni gatti dal pelo viola. Il romanzo di Gena Showalter, come l'angelica biondina che posa in copertina, mi ha riservato più di una sorpresa. Questo è poco ma sicuro! Dietro i gotici ghirigori della cover si nasconde tutto un altro mondo: il nostro. Tra le balze del vestito da principessa della protagonista, vi sono un coltellaccio appuntito, una maneggevole balestra e, sotto, un paio di pratici jeans che, uniti a scarpe da ginnastica macchiate, sono l'ideale per fuggire via da sguardi bollenti e spaventose orde di zombie. L'Alice descritta dalla Showalter è un'altra Alice, e all'inizio mi ha colto del tutto impreparato. Nei primi tempi, me l'aspettavo strizzata in corsetti e guardinfanti; poi, venuto a conoscenza - con l'entusiasmo smorzato di botto - della biografia dell'autrice (romanzi erotici, harmony, “conturbanti” fantasy vampireschi... sì, sono diretto artefice dei miei infondati pregiudizi!) l'avevo immaginata con un look da aspirante stripper. L'ho trovata, invece, singhiozzante e col cuore in frantumi, davanti a tre fosse, in lacrime sulla sua vita in rovine. La sua personale tana del Bianconiglio è un abisso di dolore scavato in un umido cimitero di Birmingham. Addio favole, addio felicità. Addio mamma, papà ed Emma. Al lutto improvviso, si aggiunge l'altro incubo di ogni adolescente. Cambiare scuola, casa, abitudini. Mettere un punto fermo ed andare a capo. E se si sopravvive al primo giorno in un nuovo liceo, si può uscire tutti interi anche da una corsa forzata nei boschi, inseguiti da una Sposa Cadavere e dai suoi putridi compari di nozze! 
O, volendo, da sogni ad occhi aperti, che, diventando vivide visioni, strappano la nostra protagonista da baci immaginari per portala su un oscuro campo di battaglia.
L'autrice americana va in contro al cliché per antonomasia, ma lo fa con grande stile, ironia e divertimento, alterando il passo della frizzante Alice a quello strascinato di uno zombie. Gli adorabili e tenerissimi nonni – l'unico frammento di normalità che le resta – si sforzano nell'utilizzare un improbabile slang giovanile, la intrattengono con nuove ramanzine sul sesso e i contraccettivi e, al presentarsi di appuntamenti al buio, torchiano in maniera imbarazzante spasimanti e malintenzionati con metodi degni dell'FBI.
Le ragazze alla moda di turno hanno cervelli funzionanti, modi affabili e lingue taglienti. Capeggiate dalla misteriosa e iperattiva Kat, contro i luoghi comuni che le vogliono invidiose e vuote, sono amiche simpatiche, affettuose e leali. Poi c'è Cole, il figo della situazione: un tipo molto poco raccomandabile, che fa impazzire tutti i metal detector in cui passa e gli ormoni di Alice. Piercing, tatuaggi, pantaloni strappati, catene in vita, modi brutali. Non è l'immagine dell'eroe che preferisco e che voglio venga spacciata come modello di perfezione. Patteggio più per i ragazzetti mingherlini e solitari, possibilmente con occhiali da vista ad incorniciare occhi castani (e non viola!) e senza anelli ai capezzoli; ma il salvatore della nostra Ali merita pienamente di essere rivalutato e scoperto. Perché, nonostante sembri un muscoloso cliché ambulante, lui e i membri della sua esclusiva gang costituiscono degli ottimi personaggi: eroi Marvel che, stranamente, ricordano più brutti ceffi da cui fuggire che paladini ai quali affidarsi. Le apparenze ingannano e la passione tra il tenebroso Cole e l'ingenua Alice è conflittuale, romantica, sana e, per fortuna, non divampa impetuosamente come in una storiellina piccante. Parte sfiorando i valori più alti del termometro ormonale, ma si assesta grazie a una serie di spassosi non-appuntamenti e a coreografici approcci, che ricordano a volte una danza, altre un combattimento senza esclusione di colpi.
Nel più consueto dei panorami, sin dai primi capitoli, si inseriscono quelli che - ancora per poco - possono essere definiti i più inconsueti degli antagonisti. Gli zombie.
Gli stessi temuti dal padre di Alice, gli stessi che le hanno divorato la famiglia, gli stessi che le hanno fatto conoscere Cole e la sua comitiva di cacciatori. Che anziché minacciare un amore, l'hanno reso armato fino ai denti... contro tutto e tutti. Li abbiamo visti innamorati, divertenti fino alle lacrime, perfino più umani di noi, ma in Alice in Zombieland tornano ad essere le creature da incubo di un tempo. Con una ricca tradizione a cui ispirarsi e il pubblico adolescienziale come referente, Gena Showalter sintetizza leggenda e innovazione, intrattenendoci per più di 400 pagine con un romanzo in cui viene meno l'elemento favolistico inevitabilmente ipotizzato, ma attento praticamente a ogni altra minima componente. Trovano spazio il desiderio, l'amicizia, l'azione, la paura, il dramma, e l'autrice è in grado di passare da un tema all'altro con semplicità, eleganza e maestria da vendere: spiritosa nel parodiare un passato ormai trito e ritrito e nello strizzare l'occhio a Buffy, Blade e Twilight con un intreccio che è un piacere spassoso, attraente, irrinunciabile; abile nel depistare con personaggi al di sopra di ogni sospetto, nel delineare protagonisti adorabili e convincenti, sogni e incubi, mostri ed eroi e nel dimostrare al lettore che sia l'urban fantasy che le zombie novels, grazie ad efficaci dinamiche e a uno spirito sexy e vitale, hanno ancora tanto da dire. Cara Alice, l'essere così carini dovrebbe essere un crimine... e il non leggerti, anche per una volta sola, un delitto! Verdetto: Troppo forte! 
Il mio voto: ★★★★
Il mio consiglio musicale: My Chemical Romance - Sing

domenica 27 gennaio 2013

Mr. Ciak #2: Les Misérables

Buona domenica, carissimi! Il nuovo appuntamento con Mr. Ciak non poteva essere davvero migliore. Oggi, la recensione particolarmente esaltata di un film che mi ha particolarmente esaltato: Les Misérables. Sperando con tutto il cuore di vederlo trionfare agli Oscar, vi ricordo che sarà in tutti i cinema il 31 Gennaio (almeno che non viviate in una delle città in cui è stato proiettato, in questi giorni, in anteprima) e vi auguro buona lettura. Non appena possibile, fiondatevi immediatamente nel multisala più vicino. Tempo speso in compagnia di grande cinema! *-* 

L'ho aspettato. E per tanto, tanto, tanto tempo. Dal rilascio dell'emozionante ed essenziale teaser trailer, avrò vissuto e rivissuto all'infinito i dolori e le gioie racchiuse in quel minuto e mezzo di gran cinema. Fino a saperne prevedere ogni scena, fino a conoscere a memoria le parole della canzone in sottofondo per descrivere la quale... bhe, parole non ci sono. Pur non avendo mai letto l'opera di Hugo, quella dei Miserabili è una storia che ho nel cuore da sempre. Nei miei diciotto anni di vita, ho visto più volte, ma con sentimenti pressoché immutati, le varie versioni che si sono susseguite. Ho conosciuto Jean Valjean che avevano il volto di Liam Neeson o quello poco familiare di vecchi attori di film in bianco e nero restaurati; Fantine bionde e brune, e Cosette perfino a cartone, in una serie animata, sconosciuta ai più, che andava in onda, un decennio fa, su qualche anonimo canale di quello che, allora, si chiamava Tele +, oggi Sky. Adesso, finalmente, ho potuto rincontrare alcuni dei miei personaggi preferiti di sempre in un genere che i fortunati con Broadway nelle vicinanze hanno potuto vedere per oltre trent'anni: il musical. Un'altra di quelle passioni scoperte per caso e scoppiata, nel 2001, tra i colori e i pezzi trascinanti del mitico Moulin Rouge.
Les Misérables, tuttavia, non è uno di quei musical con coreografie realizzate da menti superiori, canzoni da fischiettare allegramente o di cui cantare il ritornello sotto la doccia, riflettori e sorrisi luccicanti. Pur diretto da un regista nato e vissuto nella patria di We Will Rock You e interpretato da attori che provengono dall'America di Chicago, West Side Story e Smash, scrive un capitolo a parte; armato solo di voce, canta – e splendidamente – ma fuori dal coro. Immenso com'è, lungo, con parole che diventano canzoni da intonare in un mondo oscuro e decadente e attori che scompaiono all'ombra dei loro monumentali ruoli, è un'opera lirica (senza tenori e soprani) da godersi, in assenza di un tranquillo loggione, sull'inusuale territorio di una sala cinematografica, magari mezza vuota.
Tom Hooper ha un cast di stelle scintillanti, scenari costruiti come il miracolo dell'arca di Noè, un budget a sei cifre, ma la sua telecamera è fissa sui visi, ora addolorati ora rossi d'amore, sulla verità, sulle emozioni più reali. A darci dimostrazione del kolossal di cui tutti, prima del tempo, avevano parlato, vi sono solamente la scena iniziale della barbara prigionia di Valjean e un'altra, a metà film, in cui Javert canta, vincendo paura e vertigini, su un terrazzo pericolante, affacciato su una malinconica Notre Dame baciata dal fosco tramonto parigino. 
Raffinatissimo a livello musicale, infatti, ha una regia scarna e semplice: lunghi piani sequenza, zoom sui volti degli interpreti, prevalenza di grigi opachi e colori terrosi, una scarsa attenzione per le scenografie sontuose, che, in ogni dove, parlano della violenza che il film combatte e tempera grazie al valore catartico e magico della canzone.
Il film di Hooper potrebbe volare alto, ma, con coraggio e voglia di sfida, si abbassa e crolla sulle sciagure umane, come un diamante germogliato naturalmente su strade fangose e impraticabili, segnate dalla neve, dalla scia delle carrozze dei nobili e dai passi traballanti e incerti di prostitute e mendicanti. Les Miz è la voce del popolo, dei diseredati, dei giovani morti per un sogno, nel sangue di barricate che tremano di canzoni e cannonate. E' storia che viene rievocata, vissuta e scritta su un pentagramma. E' l'eco che gli avvenimenti che ci scoppiano intorno hanno sulle nostre vite. Giudicare le prove degli attori è superfluo. Sono performers, cantanti, egregi interpreti e, per quasi tre ore di film, cantano interamente dal vivo. Giù i cappelli, perché non c'è davvero gara! Russell Crowe, la cui voce bassa e cavernosa è forse la più incerta, è un Javert viscido, odioso, ma incredibilmente umano. Hugh Jackman, che invecchia gradualmente sullo schermo, ci regala la migliore interpretazione della sua intera carriera, con una voce controllata che si leva forte in picchi di emozione (nel momento del suo agognato riscatto) e che crolla, spesso, in voragini di dolore (durante le fughe continue, ad esempio, o nel vedere Cosette diventare una giovane donna che non ha più bisogno del suo papà). Avendoci abituati a ruoli fisici e spesso disimpegnati, sorprende nella caratterizzazione di uno Jean Valjean dalla fede inossidabile e dalla moralità ineccepibile, continuamente alle prese con gravosi soliloqui e vibranti e manzoniani appelli a Dio.  
Godibilissimi i siparietti comici portati in scena da Sacha Baron Cohen ed Helena Bonham Carter, brevi ma in grado di suscitare risate spontanee e di alleggerire il peso gravoso delle vicende. Di nuovo insieme dopo Sweeney Todd (altro film che adoro!), funzionano in maniera perfetta, anche se vedere la Bonham Carter in ruoli che la vogliono eccentrica, trasandata e rozza potrebbe, nell'arco di un altro film, venire a noia. Meriterebbe, a mio avviso, di meglio!
Ottimo, anche il lavoro dei più giovani del cast. Passionali, folli, commoventi: l'anima della Parigi ottocentesca e, in parte, di tutto il film. Freschi, giovanili e romantici, Eddie Redmayne ed Amanda Seyfried, le cui voci, belle e diverse - bassa ed impostata quella di lui, cristallina e pura come il di un diapason quella di lei (forse una delle più precise dell'intero cast) -, si sposano in un connubio dolce e delicato. Accanto a loro, il piccolissimo Daniel Huttlestone (Gavroche) e Aaron Tveit (Enjolras), due autentiche rivelazioni, impegnate anima e corpo in ruoli da pelle d'oca. Il primo, al suo primo film, è stato strappato dalle scuole elementari; il secondo, con una presenza “scenica” e una faccia che lo porteranno, mi auguro per lui, a fare strada, da un episodio di Gossip Girl, in cui recitava il ruolo dimenticabile del cugino di Nate Archibald. Emozione e commozione allo stato puro sono Anne Hathaway e Samantha Barks, quest'ultima passata dal teatro al grande schermo con grande naturalezza e maestria. Entrambe, infatti, sono dirette artefici di due dei momenti più grandi di questo monumentale film. Samantha, giovane e bellissima, dà, dopo averlo già fatto sui palcoscenici americani, la sua bellezza mediterranea e la sua voce angelica alla più memorabile delle Eponine viste al cinema. Figlia di due abomini di genitori, è divisa tra il desiderio di fuggire lontano e l'amore non corrisposto di Marius, già perdutamente innamorato della tenera Cosette. Lei, sotto la pioggia scrosciante, canta la sua solitudine nella poetica e nostalgica On my own e gli spettatori, perfino quelli più molesti, tacciono incantati.  
Ognuno di noi vorrebbe sentirsi rivolgere quelle parole e ognuno di noi, senza pensarci nemmeno, sarebbe disposto a stringerla forte e a colmare con amicizia o amore la voragine scavata in quel suo petto scosso dai singhiozzi e dagli acuti di una ballata così emotiva. Ultima solo d'ordine, Anne Hathaway: la novella Audrey Hepburn che, dai tempi in cui regnava su Genovia in Pretty Princess, è cresciuta, fino a diventare una giovane donna il cui ampio sorriso, in ogni suo film, me ne lascia percepire la sensibilità e la purezza d'animo. La sua prova, personalmente, era quella che più attendevo. Il suo ruolo, quello di Fantine, come da copione, è uno dei più brevi ed infelici dell'opera. Ma uno dei più indimenticabili. Senza più capelli, denti, dignità e sogni, è una donna non destinata al lieto fine. Dopo aver venduto il suo corpo, in cambio di pochi spiccioli, seduta nell'oscurità di un umido tugurio, intona, in un canto straziante, un decalogo di tutti i suoi sogni infranti, in una presa di coscienza che tutti, almeno una volta nella vita, faremo o abbiamo fatto. Ne viene fuori la famosa I dreamed a dream. Un capolavoro di musica e parole. E' stata cantata da tutti - Susan Boyle, il cast di Glee... - ma la versione della Hathaway è unica, inimitabile.  
Piange, balbetta, sbraita. Urla contro un amore subito tramontato, un Dio crudele e una figlia lontana dai suoi abbracci. Lei canta, lo spettatore la accompagna in un coro di singhiozzi. Le sue labbra screpolate, poco attente ai virtuosismi, diventano un taglio per sputare fuori ogni dolore. E vederla così - piccola come un uccellino, indifesa, con i capelli rasati a zero, il volto emaciato per gli 11 chili persi e quegli splendidi occhi nocciola mai così grandi e umidicci – ferisce a morte, ti uccide. 
L'Oscar sarebbe anche troppo poco, per lei. Ha interiorizzato Fantine. Insieme a lei, è morta e rinata un po' ogni giorno. Non saprei cos'altro dire. Vedere il film farà provare anche a voi un po' di quell'emozione che mi ha lasciato attonito, esaltato, inerme. Un consiglio finale: so che andare al cinema da soli può essere un'esperienza spaventosamente deprimente, ma, se già prevedete che il film non possa piacere a fidanzati, fidanzate o amici, lasciateli senza rimpianti a casa. Sentirsi dire, come tante volte capita, “Ma perché cantano sempre?!” potrebbe nuocere alla comprensione della bellezza grezza ed evidente del film e alla salute dei vostri lamentosi vicini di posto, che, all'ennesima domanda irritante, potrebbero scatenare la vostra ira funesta! E' un musical, solo più impegnato ed impegnativo degli altri. Se avete la sensibilità per apprezzarlo, tre ore del vostro tempo libero da dedicargli, la passione per un genere spesso frainteso e i drammi storici, Les Misèrables sarà il vostro film. Quello che aspettate di vedere da una vita intera. Un'opera d'altissimo livello che diventa un film d'altissimo livello. Prezioso.
Il mio voto: 5/5

sabato 26 gennaio 2013

Passion Bookmarks # 19: Da questo libro, presto un film!

Ciao a tutti, e buon sabato. E' tempo di grandi uscite cinematografiche. Ed è tempo di proporvi un nuovo appuntamento con una cara, vecchia rubrica di Mr. Ink. Sperando che riacquisti la puntualità ed il ritmo di un tempo, ritorna, almeno per oggi, Passion Bookmars... con una vera parata di star! I segnalibri che ho realizzato questa volta sono ispirati al mondo del cinema, che, dalla settimana scorsa, ha ufficialmente trovato uno spazio tutto suo da queste parti, grazie alle recensioni di Mr. Ciak.



 Le “striscette” pratiche e stampabili che vedete proprio qui sopra, nate da un'oretta spesa in compagnia del fedele Photoshop, sono plasmate sulle magnifiche locandine di Les Miserables (STUPENDO: non vedo l'ora di potere parlarne con voi *-*), L'ospite, La sedicesima luna, Warm Bodies e Anna Karenina (qui). Prossimamente sul grande schermo e su questo blog: le recensioni, infatti, non si lasceranno attendere! ;) A presto, M.

mercoledì 23 gennaio 2013

Recensione (in anteprima) a basso costo: Invidia, di Gregg Olsen

Ci sono doni che vanno condivisi, ma la cui origine non deve essere mai rivelata.

 
 Titolo: Invidia. I segreti di Port Gamble
Autore: Gregg Olsen
Editore: Newton Compton
Numero di pagine: 348
Prezzo: € 9,90
Data di pubblicazione: 24 Gennaio 2013
Sinossi: Katelyn è una ragazza problematica e asociale, e quando viene ritrovata morta dalla madre, il giorno di Natale, in paese si diffonde subito la voce che si sia suicidata. Eppure le gemelle Hayley e Taylor Ryan, le sue uniche amiche, non si accontentano di questa spiegazione e iniziano a cercare disperatamente la verità. Ma per indagare, le ragazze hanno un’arma segreta... Scopriranno che Katelyn non era poi così sola: chattava tutte le notti con un uomo misterioso. Chi si nasconde dietro quell’identità virtuale? È stato lui a spingerla verso la morte? Oppure l’ha uccisa inscenando un suicidio? Ma Hayley e Taylor non sono le uniche a svolgere delle indagini. Una reporter senza scrupoli è sulle loro tracce per carpire informazioni sui loro poteri e su un misterioso incidente avvenuto dieci anni prima, da cui uscirono indenni solo le sorelle Ryan e la povera Katelyn… 
                                                   La recensione
Sfogliare le prime pagine di Invidia e trovarsi davanti a un incipit diretto ed accattivante, di cui la copertina, con dettagli minuziosi e precisi in modo inquietante, ricostruisce alla lettera il fattore scatenante di una serie di reazioni a catena divenute, alla fine, romanzo: la morte solitaria e triste di Katelyn; una quindicenne qualsiasi con problemi qualsiasi.
Una tematica difficile e sempre tristemente attuale questa, che, inserita all'interno del dibattito mirato a delineare i vantaggi e le trappole dei dilaganti Social Network, avrebbe potuto dare a un giallo caratteristiche di grande impatto e intensità. Renderlo un giallo che avrebbe portato autori celebri ad esprimersi con sentita ammirazione e la mia recensione ad essere verde invidia, non limone rancido/andato a male.
Il romanzo di Gregg Olsen, infatti, è fastidiosamente ambiguo. Promette e non dà.
E pensare che in copertina il commento di Michael Connelly – autore che personalmente non mi piace, ma che stimo sapendolo accanito sostenitore, assieme a Jeffrey Deaver, dei nostri Giorgio Faletti e Donato Carrisi – ce lo presentava come un thriller di altissimo livello, dai ritmi perfetti e dal finale imprevedibile. Chiariamoci subito: non aspettatevi la nuova indagine di Harry Bosch o di Sherlock Holmes. Piuttosto, sappiate di ritrovari a  leggere guardare una puntata, riesumata direttamente dagli anni '70, di Nancy Drew. Stiamo lì.
Il romanzo, sin dalle prime pagine, assume i risvolti dei teen thriller americani, anche se definirlo tale sarebbe un'evidente forzatura. Non è un thriller adolescenziale, bensì della prima infanzia! O l'autore non ha la perizia necessaria per scrivere romanzi di questo genere o, almeno in Invidia, non riesce a farne sfoggio, tentando di misurarsi, in una gara anacronistica e persa in partenza, con le malignità e i pettegolezzi dello splendido Il seggio vacante, le adolescenti cattive di Lauren Oliver e i misteri annacquati (e griffati) della serie TV Pretty Little Liars. La sua prova, infatti, avviene pur sempre con un genere letterario per misurarsi con il quale sono necessarie conoscenze in campo medico, psicologico e legale; ma io, che non ho nemmeno il diploma liceale o la sagacia per distinguere un'aspirina da una pilloletta blu di Viagra, avrei potuto scriverlo altrettanto “bene”. Inoltre, non essendo nemmeno più giovanissimo, lo scrittore, nato a Seattle nel 1959, dipinge l'adolescenza in maniera (im)pietosa, superficiale e sciocca, in cui perfino i più buoni – come direbbe mia nonna dall'alto della sua saggezza popolare - hanno la rogna!
Tuttavia, la storia giova di una serie di elementi stuzzicanti, sparsi, ahimè, in un contesto tutt'altro che memorabile. Ad esempio, sarebbe stato interessante vedere approfondito il rapporto empatico, misterioso, affascinante e a tratti inquietante fra bambini che, per nove mesi, condividono la stessa placenta. Qui pensate alle gemelle Olsen ai tempi di Disney Channel (saranno mica parenti dell'autore?!): saccenti, pettegole, fastidiose. Due sopravvalutate enfants prodiges. Io non sono una persona buonista, tutt'altro. Ma ho imparato che davanti alla morte non si ride mai. Ricordo ancora quando, qualche anno fa, una ragazza della mia città si tolse la vita nella sua cameretta dalle pareti rosa. Non la conoscevo nemmeno di vista, ma il suo suicidio mi aveva scosso, turbato, commosso.
Hailey e Taylor, le protagoniste del romanzo, al capezzale della loro ex migliore amica, parlano dello scarso livello del catering chiamato alla cerimonia funebre; se ne escono con commenti infelici e vuoti relativi alla taglia abbondante della sfortunata Katelyn; all'inizio, la chiamano semplicemente “la morta”, come se non ci fosse mai stato un prima per quell'adolescenza avvelenata. L'ho letto piacevolmente, ma tra momenti di ilarità del tutto involontaria. E, se un thriller fa ridere, a mio modesto parere, non è un buon thriller.
L'ironia che lo pervade è del tutto fuori luogo: fa ghiacciare il sangue nelle vene e gareggia, quasi quasi, con quella della mia prof d'inglese! Gioca ad essere brillante, ma involontariamente è più nera del disastro. A tratti, pur essendo un amante delle commedie nere e un fan dello black humour, la mia faccia ricordava quella dei Trollface che dilagano su Facebook in un'epidemia di visi grotteschi e occhi strabuzzati. Restano comunque molto carine le descrizioni delle dinamiche familiare, il passaggio fluido da un punto di vista all'altro, il vedere che le strade di questa nebbiosa città portuale legano saldamente case, segreti e personaggi come lunghi fili di cemento scuro. Tutti hanno un passato da celare o immondizia da nascondere sotto il tappeto del soggiorno. Peccato che tanti personaggi non riescano a trovare, tante volte, una vera collocazione in capitolo lunghi non più di quattro paginette. Tratto da un fatto di cronaca, è un dramma che diventa un thriller deludente e mal riuscito. I misteri nascosti dietro la morte di Katelyn potrete scoprirli solo a fine lettura, ma io, con molta sincerità, non ne creerò nessuno sulle mie impressioni complessive. Il libro non è mi è piaciuto, ma avrete imparato, forse, che, almeno per quanto concerne titoli di questo genere, ho gusti molto particolari. Invidia, su siti come Goodreads, ha una media complessiva di tre stelle abbondanti. Se non avete mai letto alcuni degli autori sopracitati, il romanzo potrebbe anche piacervi così com'è: senza pretese, particolare mordente, avvenimenti memorabili, infamia e lode.
Il mio voto: ★★  
Il mio consiglio musicale: Hooverphonic - Anger Never Dies


martedì 22 gennaio 2013

19.02.2013: Multiversum - Memoria, di Leonardo Patrignani

Il momento è giunto, miei cari. A breve, infatti, sarà passato un anno da quando, lo scorso Febbraio, Leonardo Patrignani, un giovane autore alle prese con il suo primo, ambizioso romanzo, ci presentò Multiversum. Il web impazzì letteralmente. Interviste, recensioni su recensioni (qui trovate la mia), diritti acquistati dalle case editrici di mezzo mondo. Perfino coloro a cui non era particolarmente piaciuto, avevano mostrato una particolare ammirazione verso l'inaspettato e sorprendente rovesciamento finale. Una parola ripetuta in diversi capitoli – Memoria – divenuta finalmente concretezza. Una parola che, evocativa e affascinante, ha dato il titolo al secondo volume della trilogia dello scrittore milanese, edita dalla collana che ci ha fatto conoscere Muses, La sedicesima luna, Chi è Mara Dyer.
Curiosi di sapere cosa ne sia stato di Jenny, Alex e Marco e di scoprire se le previsioni su un volume ancora più entusiasmante del primo siano corrette? E di conoscere, inoltre, tutti gli inesplorati e intricati sentieri del Multiverso? Risposte alle vostre domande il 19 Febbraio 2013, quando in libreria, con una copertina spettacolare (ma quanto è bravo Roberto Oleotto?!) quanto quella del primo, potrete trovare un nuovo pezzo dell'avventura più sensazionale che c'è. Intanto, occhio alla trama e alle varie news, apparse in anteprima sul sempre aggiornatissimo Fantasy Magazine, dove, in esclusiva assoluta, è possibile godersi l'intenso prologo (qui). Chi lo aspetta con me? ;)

Titolo: Multiversum. Memoria
Autore: Leonardo Patrignani
Editore: Mondadori “Chrysalide”
Numero di pagine: 260 circa
Prezzo: € 17,00
Data di pubblicazione: 19 Febbraio 2013
Sinossi: "Forza, usciamo da questa gabbia." La frase pronunciata da Marco, con cui si conclude il primo romanzo, è il punto di partenza del secondo capitolo della Multiversum Saga. Alex, Jenny e Marco si trovano in Memoria, luogo esclusivamente mentale nel quale vedono solo ciò che ricordano. Mentre i secoli trascorrono dopo la fine del loro mondo, una nuova era è cominciata sul pianeta Terra. Sarà Jenny a svegliarsi per prima, in una cabina a bordo di un sottomarino, in una realtà di nuovo fisica. La voce di Alex suona ancora nella sua testa ma lui non è con lei. Solo ritrovandolo potrà cercare una via d'uscita da quell'ennesima trappola. Sempre se è vero che nelle infinite biforcazioni del Multiverso esiste una strada alternativa...

domenica 20 gennaio 2013

Mr. Ciak #1: Anna Karenina

Buona domenica a tutti, amici miei! Reduce da una settimana pesantissima, ne approfitto di qualche ora di tempo libero per presentarvi una nuova rubrica del blog. Il tema? Il cinema! Come vi avevo anticipato nella recensione di The Impossible (qui) abbiamo davanti un 2013 ricco di bei film, tratti da libri e non, e la tentazione di parlarne con voi è sempre forte. Il vostro Mr. Ink, così, per un paio di volte al mese, si trasformerà in Mr. Ciak (ringrazio tantissimo la simpatica Sonia di Cuore d'inchiostro per avermi suggerito il nome!) e, dal mondo dei libri, le recensioni si sposteranno a quello parallelo, e altrettanto amato, dei film. Ad inaugurare questa nuova serie di appuntamenti, un film in uscita a Febbraio nelle sale italiane, ma già disponibile, in alcuni Paesi, in DVD. L'atteso Anna Karenina, il cui omonimo romanzo è ritornato nelle librerie qualche settimana fa in una splendida e curatissima edizione edita dalla Garzanti (qui la scheda), al prezzo vantaggioso di € 9,90. Buon pomeriggio, M ;)
 
Non si chiede il perché dell'amore... 
                                                    La recensione 
Portare sul grande schermo un capolavoro monumentale e celebrato non era cosa da poco. Farlo avendo a disposizione appena due ore era impossibile. Eppure, vedere sulla carta il nome di Joe Wright non mi ha fatto dubitare un solo secondo della riuscita finale dell'opera. Dopo essersi cimentato con Ian McEwan e Jane Austen, l'eccellente regista di Espiazione ed Orgoglio e pregiudizio, acclamato all'unisono nei suoi precedenti lavori da critica e pubblico, incontra un altro mostro sacro. Forse, ancora più grande e autorevole dei precedenti. Tolstoj. L'ultima trasposizione cinematografica di Anna Karenina sembra risentire – è vero - dei diversi tagli apportati alle 800 e passa pagine del romanzo originale, ma vederlo risulta un'esperienza straordinaria, non tanto per il cuore quanto per la vista.
Sontuoso, ricco, attento ai dettagli e alla fluidità dei passaggi da una scena all'altra, si avvale di una colonna sonora impareggiabile, della mano di un regista la cui classe è ormai assodata e di un cast originale ed eterogeneo, al cui servizio vi è una sceneggiatura semplificata ma efficace e un lavoro scenografico ai limiti della perfezione. I protagonisti, belli come i protagonisti di un quadro, si muovono all'ombra di uno scenario, infatti, che è una vera opera d'arte. Un accurato lavoro di “trucco e parrucco” ci mostra un convincente ed invecchiato Jude Law e un angelico ed affascinante Aaron Johnson dai ricci biondo platino, ma la musa incontaminata di regista, coreografi e sarti è senza ombra di dubbio lei: Keira Knightley. Ogni volta che la vedo in un film ho come l'impressione che sia sbucata da un dipinto, lasciando vuota e disabitata la tela di un quadro antico. Pur non nel senso convenzionale del termine, è semplicemente bellissima. Gelida, altera, risoluta, regale come una duchessa d'altri tempi, lascia incantati e vittima di una sorta di timida reverenza; la si guarda ad occhi bassi, come con una regina di ghiaccio. La sua figura gracile e flessuosa è imbrigliata in corsetti di pizzo, in intrighi di collane di perle e in sottane ricamate ed infinite. Ha un metodo tutto suo di recitare, senza eccessi o esasperazioni. 
Con un approccio molto british è pacata sia nel dolore, sia nelle disperazioni dell'amore. Le urla sono soffocate dalla serietà sua e del personaggio a cui dà il volto, la passione scoppia senza troppe lamentazioni, le lacrime sono nascoste dalla veletta scura del suo cappello, l'ombra di un treno in corsa è un riflesso sulle gocce di cristallo del suo lampadario. La sua è una Anna piena di dignità e fierezza: matura, silenziosa, pacata e tragicamente umana. Aaron Johnson, giovane star in ascesa, dà il suo bel volto e quegli occhi glaciali che bucano lo schermo al personaggio dell'aitante Conte Vronsky, risultando capriccioso, convincente e degna spalla della Knightley, qui, nel suo terzo film con il regista. La radicale trasformazione del buon Jude Law, invece, notevolmente imbruttito e quasi irriconoscibile nel ruolo del fedele marito di Anna, non è all'altezza della sua parte, intensa ma trascurata. Della sua carriera politica solo accenni vaghi, del suo amore incondizionato e della sua fedeltà di vero borghese solo un sentore che sono perlopiù gli spettatori a trarre dalla suggestiva scena finale. Stesso discorso per la storia d'amore a lieto fine tra Kitty e Levin che, pur costellata di momenti dolcissimi e poetici, non si incastra perfettamente nel dramma personale dell'eroina eponima e della quale, non avendo letto il romanzo, non ho compreso la basilare rilevanza. Vittime necessarie, tuttavia, in una dignitosissima trasposizione che non poteva realizzarsi senza (perdonabili) imperfezioni di questo tipo. Non ci sono vuoti, momenti di stasi: tutti sono alle loro postazioni, tutti muovono i fili di un teatro, immaginario e non. L'elemento più sorprendente del film è l'audace messa in scena. Pur avendo le dimensioni di un kolossal, è girato quasi interamente in un teatro di posa e, come all'opera, i personaggi si muovono in perfetta sincronia, con grazia e musicalità, muovendosi su un palcoscenico che diventa all'occorrenza una sala da ballo, l'interno di un treno e di un ricco salotto, un prato in fiore... o l'ultima stazione. Di grande spettacolarità e impatto la patinata scena del ballo tra Anna e il suo Vronksy. 
Le altre coppie si immobilizzano letteralmente mentre, abbracciati in un romantico e passionale valzer, seguono le note dell'orchestra. 
Lui la solleva tra le braccia e tutto il resto sparisce. Si percepisce il desiderio tra i due, la passione distruttiva che scoppierà, l'urgenza di un bacio, l'imminenza del dramma. Stesso emozionante effetto nell'immagine di Karenin che, sullo sfondo dei palazzi del Cremlino, fa in mille pezzi la lettera delirante di una Anna ormai fiaccata, nel corpo e nella mente, dalla malattia. I frammenti volano in alto, poi si riversano su di lui come neve di carta pesta. Trattenuto, incessante, teatrale e raffinato, Anna Karenina è la cronaca vista e rivista di un amore disperato, ma che, sebbene arcinota, non rinuncia a regalare sorprese. Plasmato come un'opera d'arte, è un moderato climax di sentimenti; un trionfo di grazia e bellezza scandito dalle melodie del nostro Dario Marianelli e dalla peculiare cifra stilistica di Wright, la cui mano diventa sempre più riconoscibile di film in film e la sua “impronta” più profonda.
Il mio voto: 4/5


mercoledì 16 gennaio 2013

Recensioni a basso costo: La Sedicesima Luna, di Kami Garcia e Margaret Stohl

Mortali. Vi invidio. Credete di poter cambiare le cose. Di fermare l'universo, di disfare ciò che è stato fatto molto prima di voi. Siete delle creature meravigliose.

Titolo: La Sedicesima Luna
Autrici: Kami Garcia e Margaret Stohl
Editore: Mondadori “Chrysalide” - Oscar bestsellers
Numero di pagine: 519
Prezzo: € 10,50
Sinossi: Le notti di Ethan sono tormentate da strani sogni che hanno per protagonista una misteriosa e bellissima ragazza. Un giorno, nel cortile della scuola, Ethan se la ritrova davanti. È Lena Duchannes, "la ragazza nuova" appena arrivata in città, nipote di Macon Ravenwood, il vecchio eremita pazzo che vive ai confini di Gatlin. Lena è diversa da qualsiasi ragazza Ethan abbia mai incontrato, talmente diversa che a scuola viene subito emarginata. Solo lui assecondando l'inspiegabile connessione che sembra legarli, la avvicina e se ne innamora perdutamente. Ma Lena nasconde un segreto: la terribile maledizione che da generazioni perseguita la sua famiglia e che si compirà il giorno del suo sedicesimo compleanno. 
                                                    La recensione 
Se è vero che la prima impressione è quella giusta, non avrei dovuto dare a La Sedicesima Luna nemmeno una speranza piccola piccola.
Non è un caso, se, a ormai tre anni dall'uscita della prima edizione nelle librerie nostrane, ho deciso di leggerlo solo adesso. Nel 2010, mentre i cinema grondavano euforia e spettatori per la prima di New Moon e nelle librerie impazzava una radicata moda, destinata, anni e anni dopo, a essere soppiantata dagli infelici porno soft alla Cinquanta Sfumature di grigio, cercavo invano di fuggire dagli ammalianti miraggi del meraviglioso - e spesso scontato - mondo dell'urban fantasy. Copertine incantevoli, trame create con lo stampino, autori la cui fama era più breve dell'apparizione di una stella cadente. Il romanzo di Kami Garcia e Margaret Stohl, al loro esordio nel mondo letterario con una lunga storia scritta a quattro mani, perfino privo, sfortunatamente, di una di quelle copertine che fanno strabuzzare gli occhi e aprire magicamente i portafogli, si atteneva fedelmente al cliché. O almeno così credevo. Mentre i volumi della serie aumentavano e le lune, da sedici, arrivavano a quota diciotto, in una diffidenza che si nutriva anche delle tiepide opinione lette in giro, io e queste eclettiche e fortunate autrici americane continuavamo reciprocamente ad evitarci. Ma, adesso, anche se arrivo con il mio solito ritardo, alla simpatica bizzarria di Kami e Margaret, descritte nella quarta di copertina come spiriti ribelli, socievoli e superstiziosi all'inverosimile, e a quella meritata fortuna che le ha viste diventare co-sceneggiatrici del “loro” stesso film, posso aggiungere anche una grande maestria narrativa e una fantasia iperattiva ed instancabile, scoperta grazie all'attenta ed elettrizzante lettura del capitolo introduttivo della loro saga. Non ci giro intorno. Ho adorato loro, che sembrava chiacchierassero familiarmente con me davanti a una tisana fumante tra un capitolo e l'altro, la squadra tutta al femminile che costituiscono e l'intreccio, semplice ma emozionante e pieno di pathos, che hanno saputo architettare, unendo stili e sensazioni in un unico narratore d'eccezione.
Ethan è un personaggio, a mio parere, al quale è impossibile non affezionarsi.
Voce grave e leggermente fuori posto in un mondo d'inchiostro che predilige avere al comando lamentose e scontate prime donne, scandisce i capitoli a suon di avventure belle e non, tanta bene accetta sagacia e testosterone da vendere. Un campione di normalità, nonostante tutta una serie di (s)fortunati eventi lo vogliano in situazioni che con la normalità hanno ben poco a che fare. Ho visto in lui, alcune volte, l'ombra di me stesso. Chi sono e chi non ho la forza di diventare. Oltre a dieci centimetri netti di differenza, al colore degli occhi, che restano comunque di un comunissimo azzurro, e ad una famiglia per descrivere la quale non esistono aggettivi umanamente conosciuti, a differenziarci è Lena. Lo splendido urgano che renderà la sua monotona quotidianità terribilmente sopravvalutata. Il vento e la tempesta che raderanno al suolo il marciume delle case di Gatlin, e poi soffieranno i semi della rinascita su terreni più verdi. Il terremoto emotivo e sentimentale che aspetto mi scuota da una vita.
Lena: sconfinati occhi verdi, capelli che le si arricciano naturalmente quando è troppo arrabbiata, un profumo inconfondibile di rosmarino e limoni in fiamme. Dire che l'ho adorata dalla punta insozzata delle Coverse fino alla più piccola cianfrusaglia della sua collana, che non ha perle, ma tesori segreti e veri, renderebbe l'idea? Ethan può contare su un padre affetto da depressione cronica e da un'acuta sindrome da cuore infranto; Amma, una tata con segreti più numerosi ed oscuri di quelli di Mary Poppins ed una borsa che contiene sempre un amuleto per il malocchio e qualche buono spuntino; tre adorabili prozie, artritiche, smemorate, con il pallino per i giochi di società e per pettegolezzi risalenti minimo al secolo precedente; Link, un migliore amico fancazzista e con una madre troppo ingombrante; Marian, la curatrice di una biblioteca con vortici di scale a chiocciola alla 666 Park Avenue, passaggi segreti e libri più antichi del bene e del male.  
A circondarlo, dunque, un ambiente accogliente ma nel quale ha paura di rimanere imprigionato anche dopo il liceo. Segni particolari: tiene nascoste pile di libri sotto il letto, dépliant universitari nel cassetto dei calzini e incubi stranissimi nel subconscio. Lena, invece, è l'ultima arrivata. Ed integrarsi a Gatlin non è cosa semplice, soprattutto se si è nipoti dello scontroso Macon Ravenwood, si vive in una casa stregata e si è imparentati con la provocante Ridley, una Sirena in piena regola che non con pinne colorate, bensì con un ammiccante lecca lecca alla ciliegia, potrebbe spingere qualsiasi uomo sull'orlo del precipizio. E no, sappiate che non è una metafora!
Con le sue magioni fatiscenti, i temporali che scoppiano improvvisi come pianti, gli infissi che sbatacchiano, le candele nere che si librano come piume e le sue orrorifiche visioni mi ha riportato magicamente a miei otto anni e a quando autori come R.L Stine erano tutto il mio universo. Gli amanti della crinolina e dei romanzi storici, inoltre, non potranno rimanere indifferenti dinanzi alle attente e veloci ricostruzioni storiche e ad una storia di passione, nata e morta ormai cento anni addietro, all'epoca della Guerra Civile, che rimanda a Via col vento e alle caparbie eroine di Jane Austen. La Glinda e l'Evanora de Il mago di Oz sembrano scese in campo per una nuova, epica battaglia tra Bene e Male. Luce e Tenebre.
All'ombra dei salici piangenti e delle brulle paludi dell'America del Sud, quindi, una storia d'amore e incantesimi, d' iniziazioni amorose e spirituali, che svela, con giochi di musiche e ombre, il segreto di riti vudu e sentimenti ed il volto inedito ed accattivante del Southern Gothic. La Sedicesima Luna, senza troppi misteri, mi è piaciuto. E da impazzire. E' stato il colpevole di un'intensa settimana sottratta allo studio: mi ha portato ad applicarmi di meno, a sognare di più. E' stato l'amante segreto per cui scappavo a casa il prima possibile. 
Perché è irresistibile, seducente ed inconsapevole di esserlo. Perché è pieno di spontaneo ed autentico candore. Perché non segue le mode, ma, nel suo piccolo, le detta. Restano lo smalto nero, un look un po' dark, la propensione per gli amori impossibili e la parvenza di fiaba gotica, ma il resto – perché c'è anche altro – è tutto da scoprire! Più di ogni altra cosa, mi ha ricordato perché adoro leggere (e scrivere) storie urban fantasy. E non servivano incantesimi, solo un bel libro come questo: punto di congiunzione perfetto tra Twilight ed Harry Potter, anche se, francamente, mi ha ricordato molto di più l'indimenticabile saga della Rowling. Non vorrei dire eresie, ma, forse, l'ho trovato, fino a questo momento, il più degno sostituto. E non è una coincidenza l'aver elencato tutti i personaggi. Leggendo di loro, ho rispolverato i ricordi che avevo di Silente, Piton, Ron, Bellatrix, Malfoy, Sibilla Cooman, Minerva McGranit, e ho sorriso. Come Lena, a lettura terminata, conto i giorni. Non quelli che mi separano dai miei sedici anni già passati, ma quelli che mi dividono dall'acquisto del prossimo volume e dalla sala di un cinema, in cui spero che l'incanto si rinnovi nuovamente.
Il mio voto: ★★★★★
Il mio consiglio musicale: Florence + The Machine Seven Devils