Resta con me, però. Odiami, ma resta con me.
Disprezzami ogni giorno della tua vita, ma resta con me.
Autrice:
Francesca Diotallevi
Editore:
Neri Pozza
Prezzo:
€ 16,00
Numero
di pagine: 219
Data
di pubblicazione: 5 Maggio 2016
Sinossi:
In un avvallamento tra due montagne della Val d’Aosta, al tempo
della Grande Guerra, sorge il borgo di Saint Rhémy: un piccolo
gruppo di case affastellate le une sulle altre, in mezzo alle quali
spunta uno sparuto campanile. Al calare della sera, da una di quelle
case, con il volto opportunamente protetto dall’oscurità, qualche
«anima pia» esce a volte per avventurarsi nel bosco e andare a
bussare alla porta di un capanno dove vive Fiamma, una ragazza dai
capelli così rossi che sembrano guizzare come lingue di fuoco in un
camino. Come faceva sua madre quand’era ancora in vita, Fiamma
prepara decotti per curare ogni malanno: asma, reumatismi, cattiva
digestione, insonnia, infezioni… Infusi d’erbe che, in bocca alla
gente del borgo diventano «pozioni » approntate da una «strega»
che ha venduto l’anima al diavolo. Così, mentre al calare delle
ombre gli abitanti di Saint Rhémy compaiono furtivi alla sua porta,
alla luce del sole si segnano al passaggio della ragazza ed evitano
persino di guardarla negli occhi. Il piccolo e inospitale capanno e
il bosco sono perciò l’unica realtà che Fiamma conosce, l’unico
luogo in cui si sente al sicuro. La solitudine, però, a volte le
pesa addosso come un macigno, soprattutto da quando Raphaël Rosset
se n’è andato. Era inaspettatamente comparso un giorno al suo
cospetto, Raphaël, quando era ancora un bambino sparuto, con una
folta matassa di capelli biondi come il grano e una spruzzata di
lentiggini sul naso a patata. Le aveva parlato normalmente, come si
fa tra ragazzi ed era diventato col tempo il suo migliore e unico
amico. Poi, a ventuno anni, in un giorno di sole era partito per la
guerra con il sorriso stampato sul volto e la penna di corvo ben
lucida sul cappello, e non era più tornato. Ora, ogni sera alla
stessa ora, Fiamma si spinge al limitare del bosco, fino alla
fattoria dei Rosset. Prima di scomparire inghiottita dal buio della
notte, se ne sta a guardare a lungo la casa dove, in preda ai sensi
di colpa per non essere andato lui in guerra, si aggira sconsolato
Yann, il fratello zoppo di Raphaël… il fratello che la odia.
La recensione
"Per questo amavo i libri: rendevano le persone migliori. A volte, le salvavano."
Sono passati tre anni, ma qualcosa che rimane c'è.
Sono passati tre anni, ma qualcosa che rimane c'è.
Nonostante
tutto. Gli scatoloni in casa che, questa volta, ci distraggono come
possono dalle voragini delle assenze. Una corrispondenza che mi aveva
fatto scoprire, a sorpresa, un talento limpidissimo. Questa Neri
Pozza, così ambita e così per pochi, tirata in ballo in una
discussione, per caso.
Gli scatoloni erano per il primo anno fuori, l'inizio di
un'avventura coi suoi alti e bassi chiamata università, e su
Facebook scrivevo ai miei amici blogger – a una in particolare, e
lei sa di chi parlo: sì, dico a te – che stavo leggendo il romanzo
di un'esordiente che, a ogni pagina, mi lasciava a bocca aperta. Si
nasce già tanto bravi, possibile? Cercavo risposte e, nel mentre,
dispensavo consigli. Le stanze buie era uscito con
Mursia Editore, in sordina, ma elegante e corposo com'era,
bellissimo, era un Neri Pozza nel sangue e nell'inchiostro. Lo
leggevo immaginando la loro inimitabile brossura sotto le mani e
auspicando per Francesca, soprattutto, un futuro presso chi traduceva
Nicholls, la Harris, Tracy Chevalier. La tappa con Mondadori Electa,
con l'Amedeo je t'aime che lo scorso autunno aveva
seminato, in libreria, cuori spezzati e stampe di Modigliani, non ci
ha distratti però dalla meta. A ottobre, vince la sezione giovani
del Premio Neri Pozza, con una storia che scrive di getto e di
pancia, in tempi record. Ci pensa su, scrive e riscrive, modifica:
infine, trionfa. Di quella storia sentita nel profondo, tagliata e
cucita, mi dicono che già in origine, però, ci fossero i clivi
mozzafiato di Saint Rhémy, due fratelli diversi come il giorno e la
notte e un titolo, una brezza, che disturba i falò e, da una
scintilla, così, fa nascere Fiamma. Il genere, con un borgo di poche
anime, gli alberi ghiacciati e antiche leggende, veniva chiaramente
da sé: realismo magico. Anticipano il romanzo Le grand
diable, prequel in ebook per ingannare l'attesa, e le parole di
quello stesso blogger distratto di indole, ma messo in allerta, da
matricola, da una penna eloquente e rara. In Dentro soffia il
vento ci sono la bufera, i paeselli fiabeschi, i profumi
speziati e le donne coraggiose, ma vittime del pregiudizio più vile.
Gli zingari, appostati ai margini, che, ci spiega Francesca, sono
uccelli che hanno barattato le ali per i piaceri della tavola e le
gioie dei sentieri battuti. Ancora, ci sono tre narratori. Le signore
del bosco, le streghe, che non cercano compassione ma, in inverni che
non perdonano, desidererebbero una parola buona; calore umano. C'è
il soffitto che perde, le ossa che scricchiolano e un amico, o è
qualcosa di più, chissà, che si è rimangiato la promessa.
Quello
che non c'è, invece, è la complicità di Yann, torvo fratello
maggiore, con vergogne che non ammette ad alta voce – la zoppia, la
notte in cui scelse la vita al posto della morte – e sentimenti che
non confessa neppure a se stesso. Perché anche Fiamma, come Yann,
sente la mancanza di quel giovane che la guerra si è mangiato in un
sol boccone: la piuma nel cappello, le lettere nascoste sotto il
materasso e il sorriso speranzoso di chi, in fondo, sperava che ci
fosse qualcosa di bello oltre le Alpi. Al di là della guerra. La
terza voce, accanto a quella di un contrito superstite e di
un'adolescente che pare possa trasformarsi per magia in una volpe
rabbiosa, appartiene ad Agape: un giovane Don Abbondio di città,
impreparato al rigore di certi climi, all'ottusità di certe teste,
con un affiatato gregge di fedeli a cui badare; laggiù, in fondo al
pascolo, un'isolata pecora nera – anzi, rosso fuoco – che gli
insegnerà che Dio è nei dettagli. Dentro soffia il vento mi
è piaciuto molto, ma i romanzi che l'hanno preceduto mi sono
piaciuti moltissimo: su Francesca, il peso delle aspettative che il
superlativo assoluto genera, di solito, e quello di un esordio
perfetto, che è eccezionalmente metro di paragone. Appartiene,
infatti, a un genere già connotato. Ma è frutto di un'autrice senza
pecche, brava come sostengo da un po'. I toni sono dolcissimi,
poetici, e questo realismo magico ha sfumature affascinanti come
poche; che, leggendo tanto, non ce ne siano forse di nuove?
Mi
vengono in mente due romanzi amatissimi da queste
parti: Acquanera, con le matriarche spettrali, le
pulsioni segrete, laghi come pozzi senza fondo; Il cuore
selvatico del ginepro, storia di cogas e
Sardegna, sull'affetto negato e trasformazioni psicofisiche che di
paranormale, in definitiva, avevano ben poco. Sanguigna la D'Urbano; aggrappata alle sue radici isolane, la Roggeri. Accanto a Ianetta e
Fortuna, che giocano nei cimiteri e nelle baracche a strapiombo,
donne forti o streghe presunte, lasciate tutto lo spazio possibile a
Fiamma: fragile e ferina, ci insegna che l'umanità si dimentica con
il disuso, ma non si rinnega mai. Dentro soffia il vento ha, all'orizzonte, i monti delle vacanze d'infanzia di Francesca. Le
giornate corte, i cappotti pesanti per sfidare un vento che si è
insinuato perfino negli animi e che fa battere i denti, gli animali
selvatici – tutt'altro che spaventosi, per i
gattari come noialtri – e i fiori e le erbe che conferirebbero
inedite fragranze ai profumi dell'indimenticata Lucilla Flores. In un
filone che, di per sé, ha una tradizione dai solchi profondi alle
spalle e valanghe di eventi concatenati – lo definivamo, appunto,
un genere suggestivo ma senza più segreti – la Diotallevi risponde
per le rime, con segreti che non condivide con chi ha orecchie
indiscrete. Una semplicità che premia sempre, e un talento che
brilla al buio. Anche in boschi nodosi o in trame, al contrario, meno
contorte di quanto sembrerebbe. Ad alta quota, sì, ma senza spine
tra i rovi. Sotto zero, ma con le mani fredde – protese, magari,
verso il diverso da te – e il cuore caldissimo. Cos'altro dirle? Me
lo ero chiesto, qualche settimana fa, dopo la lettura di un prequel
bello, ma non all'altezza delle sue capacità. Mi ripeto tutte le
sente volte? I termini vengono da sé, invece, e gli aggettivi
abbondano. Perché, tutte le sante volte, Francesca ci incante,
anche con storie all'apparenza meno ambiziose, ma ricamate a punto
croce nel ghiaccio. Quest'ultima, non si scioglierà col sole.
Fiamma, sul suo palcoscenico all'ombra delle Alpi, sopravvive alla
primavera delle mie grandi attese. E sposa il vento, e il suo
lettore, in un sì che riecheggia, se in alta montagna.
Il
mio voto: ★★★★
Il
mio consiglio musicale: Elisa – Luce