Buona
domenica a tutti, amici. Come state? Qui, si continua a
studiare: la prova d'italiano è imminente! Oggi, per non lasciare
che il blog cada nell'oblio più totale, vi propongo un nuovo
appuntamento con la rubrica Mr Ciak, in cui vi parlerò di tre
film adatti a tutti e molto validi. Il primo, Stoker, uscirà
nei cinema italiani a giorni, il 20 Giugno e, con un cast
straordinario e una trama da brividi, sono sicuro potrebbe
sorprendervi non poco. Safe Haven, stranamente ancora inedito
da noi, è tratto da uno dei tanti bestseller di Nicholas Sparks:
Vicino a te non ho paura. L'ultimo, invece, è al cinema dallo
scorso 30 Maggio ed è una commedia francese divertente, romantica,
godibilissima, perfetto: Tutti pazzi per Rose. Fatemi sapere, come
sempre, se li conoscete o cosa ne pensate. Mi ritiro nelle mie stanze
e tra mari di appunti da ripetere. Un abbraccio e buona giornata, M.
Una
fotografia ipnotica e nitidissima. Straordinari passaggi da una scena
all'altra, talmente belli da sembrare pennellate in un'opera d'arte.
Giochi di luce e buio, zoom e fermi immagine sulla natura in fiore e
su spruzzi di sangue che sporcano i volti e il verde dell'erba.
Angoscia e meraviglia che crescono insieme, in un film non bello, ma
atipico, ansiogeno, sublime: che non dà pace. Vado raramente
d'accordo con i critici cinematografici e, senza vergogna, ammetto di
non essere mai stato attirato dai film di Chan – wook Park, di cui
si ricordano con elogi continui soprattutto Thirst,
Oldboy, Lady Vendetta. Non
sono abbastanza maturo per apprezzare quel
tipo di cinema e non ho la pazienza per assorbirlo e comprenderlo
fino in fondo. Stoker,
tuttavia, prima esperienza americana del regista, è un film
estremamente affascinante e intrigante, di grande atmosfera e
raffinatezza. Riesce semplicemente a stregare, a renderti parte
dell'ossessione e di una lucida e ripugnante follia. E' oscuro,
elegante, ansiogeno, grottesco, sottilmente malato: tragicamente
bello. Tutto merito di un talento registico palese, sorprendente,
pauroso e di una colonna sonora che – insieme alle immagini che
scorrono – si libra in picchi di struggente drammaticità, e di un
cast che lascia senza parole e incantati perfino davanti al panico
dilagante. La storia ruota intorno a un triangolo familiare, a un
lutto che ha lasciato una famiglia apparentemente perfetta in balia
di segreti inconfessabili. Parla di un'innocenza che muore. Dopo
l'improvvisa morte del padre, la diciottenne India si trova a vivere
insieme a una madre algida ed incostante e ad uno zio sbucato dal
nulla, ma che dietro di sé porta una scia di sparizioni e misteri
irrisolti. Interpretato dal bravissimo Matthew Goode, lo zio è bello
e crudele come Lucifero, l'angelo ribelle: una figura sorniona e
carica di ombre che porta in casa la seduzione, la passione, le
cicatrici di un passato mai condiviso con gli altri. Per Goode, che
ho sempre allegramente sottovalutato, è una delle migliori prove di
sempre.
La
madre di India, invece, è Nicole Kidman: bellissima, bravissima e
gelida come solo lei sa esserlo. A volte, sembra non essere di questo
mondo. Altera, sensuale, perfetta, una donna alienata e distante: una
cattiva mamma per un'attrice sempre e comunque fantastica. La
chirurgia plastica alla quale anche lei ha ceduto – ma perché?! -
non ha intaccato la sua espressività e il monologo finale che
pronuncia è straziante, sentito, viscerale. La vera anima del film,
però, è la giovane India, interpretata da una Mia Wasikowska in
stato di grazia. Una prova da premiare: psicologicamente ed
emotivamente carica, complessa, tormentata, che lei personalizza con
le sua fattezze da eterna bambina e con uno strano, malizioso
candore. I suoi occhi enormi ti spogliano, semplicemente. Un film
tesissimo, scandito da omicidi e dal suono sincopato del pianoforte,
da fantasie e da eredità tramandate nel sangue. Una pellicola dalla
bellezza acerba e assassina.
All'inizio
di ogni anno, c'è sempre un autore che, dalle librerie, viene a
farci compagnia al cinema: Nicholas Sparks. Dopo aver prestato
molteplici volte le sue storie d'amore al grande schermo, a un anno
esatto dall'uscita di Ho cercato il tuo nome,
l'ho ritrovato per caso con questo Safe Haven,
trasposizione del romanzo edito in
Italia col titolo Vicino a te non ho paura.
I produttori italiani, di solito, non ci mettono mai troppo tempo a
riproporre le pellicole “con il macchio Sparks” qui da noi, ma su
questo suo ultimo film, uscito negli USA a gennaio con un discreto
successo, finora tutto tace. Strano, perché alla regia ritroviamo il
buon Lasse Hallmstrom – già regista di Dear John e
di altri successi come Chocolat e
Hachiko – e perché
la trama sintetizza tutti gli elementi proposti nei precedenti film e
nei precedenti romanzi dell'autore. Katie è una donna in fuga e in
cerca di un nuovo inizio. Un poliziotto la bracca con la stessa
determinazione di un segugio e, con un nuovo taglio di capelli e un
nuovo nome, la protagonista è in cerca del suo porto sicuro. Il
pullman che doveva portarla ad Atalanta, fa sosta in un piccolo ed
affascinante villaggio di pescatori e consolidate tradizioni, dove
tutti si conoscono, ma dove un viandante stanco è sempre bene
accetto, proprio come la calorosa ospitalità del Sud prevede. Katie
trova lavoro come cameriera, un piccolo cottage nel bosco, e l'amore
di Alex – un giovane vedovo, con due bambini a carico, che gestisce
un negozietto d'alimentari affacciato sul mare. Entrambi meritano di
amare ancora, entrambi meritano di tornare a vivere. Ma il passato,
scopriranno, è una bestia dal quale non si può sfuggire. Solo
stando insieme possono sconfiggerlo... Verissimo, lo so. La trama è
già sentita, e Sparks non sembra aver rinunciato a quel solito
velo di tristezza che è sempre
stato proprio delle sue storie. Tra i protagonisti aleggia l'ombra
della solita malattia
e tra loro e la felicità sono stagliati i soliti
ostacoli. Abbiamo la solita
cornice suggestiva, accentuata
anche da una bella fotografia, i soliti personaggi:
più o meno giovani, dal passato complicato, con un nucleo familiare
da ricostruire da capo... innamoratissimi. E, sinceramente, questa
volta sono perfino troppo belli per essere veri! Tutta questa
premessa per dire che, nonostante il solito tutto,
come al solito,
Nicholas Sparks sa far vibrare le corde giuste. Averci a che fare
spesso potrebbe anche venire a noia, ma ritrovarlo ogni tanto fa
effettivamente bene. I maestri del thriller hanno le loro regole, lui
ha le sue. Sono già consolidate, eppure funzionano: sentimenti
grandi fatti di gesti semplici, semplici; niente dichiarazioni
eclatanti, niente forzatura da cinema. Parlerei quasi di realismo, se
solo la realtà fosse così. Sicurissimo di sé dopo tantissime
esperienze con i segreti del cuore e del dramma, Hallmstrom ci mostra
paesaggi splendidi, momenti troppo perfetti per essere veri e un
intreccio che mescola Via dall'incubo con
Ricominciare a vivere.
Affiatati, belli e convincenti, nonostante la lieve differenza d'età,
Josh Duhamel (Tre all'improvviso)
e Julianne Hough (Footloose,
Rock of Ages) sono i
protagonisti di questa storia. Lui, tra bionde e romanticismo, è
sempre a suo agio. Lei, per la prima volta lontana dal musical,
mostra che, nonostante la sua avvenenza, sta bene anche in altri
contesti, e non solo nelle parate di Barbie in cui, fino a questo
momento, l'avevo immaginata. Safe Haven non
è nulla di nuovo, ma se avete cali di dolcezza e d'affetto,
soprattutto per mezzo di un magico colpo di scena finale, potrebbe
fare al caso vostro. Ogni tanto, dobbiamo a noi stessi la visione di
questi film. Il nostro cervello, sotto sotto, ci perdonerà: se lo
stacchiamo per un'oretta e mezza, anche lui starà meglio. Come noi
dopo la visione di Safe Haven.
Se
vivi negli anni '50 e sei una giovane donna, puoi avere solo un
sogno: fare la segretaria. Un lavoro moderno, di grande
responsabilità, con l'accesso facile ai pettegolezzi e ai segretucci
di tutti, che porta la bionda ed imbranata Rose nello studio
dell'autoritario Louis, un capo esigente e normativo, ma che,
tuttavia, crede ciecamente in lei. Una convivenza forzata li porterà
a vivere sotto lo stesso tempo, la preparazione per un campionato
mondiale di dattilografia li renderà sempre più vicini.
Professionalmente e sentimentalmente. Le commedie romantiche: come le
fanno i francesi, nessuno mai! Tutti pazzi per Rose è un
esempio perfetto di garbo, grazia, eleganza, brio. Una fiaba moderna
(o quasi) dai color confetto, dal lieto fine assicurato e di una
leggerezza che fa star bene al primo sguardo. E' apparentemente
semplicissimo, ma non lo è poi tanto. Dietro ogni scena c'è una
citazione, dietro ogni vestito o scenario un rimando alto e
nostalgico: la bellezza semplice e intramontabile di una Audrey
Hepburn, un dosaggio di colori intensi e contrasanti che ricorda
Hitchcock, un amore che strizza l'occhio al bellissimo My fair
Lady.
Un
film d'altri tempi, dunque, scandito dal ticchettio dei tasti di una
macchina da scrivere – io le trovo splendide! Devo riesumare quella
dei miei della soffitta... -, da risate e sorrisi dolci e dalle prove
attoriali di Roman Duris e Déborah
François. Il primo – una mascella pronunciata e un sorriso
asimmetrico – dopo averci fatto divertire con Il
truffacuori
e
tornare indietro nel tempo con Arsenio
Lupin,
si conferma uno degli attori d'oltralpe più bravi e versatili. La
sua partner, invece, che non avevo mai visto prima sullo schermo,
unisce perfettamente un fascino ingenuo e un'imbarazzante
sbadataggine in una sceneggiatura che la vuole “principessa” e
“sognatrice” della storia. Sarò di parte, ma lo consiglio.
Adorabile.