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I buoni vicini, di Sarah Langan. Sem, € 18, pp. 392 |
È il quattro luglio. Un buon giorno per sentirsi americani. Siamo a Maple Street, un ridente quartiere di Long Island in cui tutto sembra essere al posto giusto: tranne gli ultimi arrivati in città, i Wilde, che con i loro accento di Brooklyn faticano a integrarsi. I classici festeggiamenti per il giorno dell'Indipendenza, così, li colgono tagliati fuori. In disparte, spiano dalle tapparelle i rituali dei vicini. Perché non li hanno invitati al loro barbecue; si saranno forse dimenticati di avvisare? L'apertura di una dolina, durante un'estate talmente torrida da non avere precedenti, semina il caos in quel luogo perbene. Dalla voragine, un taglio purulento nel cuore della terra, fuoriesce un bitume nauseabondo. Lampante metafora del marcio annidato sotto gli occhi di tutti, l'evento lascerà emergere mostri terrificanti. Il romanzo di Sarah Langan, erede di Shirley Jackson e Ira Levin stando ai plausi della critica statunitense, parte in medias res. Senza indorare la pillola.
I residenti di Maple Street si vestivano business casual. Avevano impieghi affidabili che raggiungevano a bordo di auto affidabili. Erano sempre di fretta, anche se dovevano andare solo al supermercato o in chiesta. Riversavano il senso di inquietudine, insieme a ogni altra cosa, sui figli. I Wilde erano diversi.
Ambientato in un futuro tutt'altro che lontano, minacciato dai mali dell'inquinamento e da continui sconvolgimenti politici, ha un piglio cinematografico e una struttura varia, che anticipa le tragedie che verranno tramite trafiletti di giornali e interviste ai diretti testimoni. I cronisti di di nera parlano di un massacro. Gli psicologici si interrogano sui traumi delle nuove generazioni. A Broadway ne hanno tratto perfino uno spettacolo teatrale. Sappiamo che tutto è partito dalla morte di Shelley, precipitata nella dolina. Si è trattato di un incidente? La dodicenne fuggiva forse da qualcosa, da qualcuno? Se state pensando a un novello It, in attesa di carne fresca proprio sotto la superficie, avete sbagliato storia. I mostri in questione sono il conformismo, l'intolleranza, il pettegolezzo. Il quartiere punta il dito contro Arlo Wilde accusandolo di pedofilia. Il rocker ha un passato di dipendenze, ha le braccia tatuate, è marito di Gertie (benché incinta, veste in maniera troppo sexy), è papà di Julia (adolescente sfacciata) e di Larry (fragilissimo, probabilmente autistico). Comincia una caccia alle streghe che include aggressioni, vandalismo, calunnie, irruzioni notturne. A reggere fiaccola e forcone è il capogruppo, Rhea Shroeder: madre di quattro figli all'apparenza perfetta, custodisce gelosamente un lato oscuro che in passato ha già mietuto una vittima. Gli abitanti del quartiere sono eroi o assassini?
A volte mi immagino di essere un gigante, di spappolare la mia famiglia nel palmo della mano. Vorrei che morissero per poter essere libera. Non posso lasciarli, sono la loro madre, non mi è permesso. E quindi li odio. È una cosa orribile, vero? Dio, sono un mostro?
Mentre gli adulti perdono il controllo, i soli innocenti sono i giovanissimi, capaci di coraggio e solidarietà in un epilogo talmente catartico da commuovere. Al pari di Them, agghiacciante serie Amazon Prime Video che raccontava le disavventure di una famiglia afroamericana in un sobborgo degli anni Cinquanta, I buoni vicini non va per il sottile, ma ha l'insolito pregio di non prendersi troppo sul serio. Macabramente divertente, adotta un filtro grottesco che rende un po' difficile affezionarsi ai personaggi e sceglie i sentieri della satira per raccontare, in quattrocento pagine zeppe di efferatezze, una verità indigeribile. In questo microcosmo corrosivo, fatto di passati desolanti, futuri effimeri e reazioni spropositate, quali ruoli avremmo preso pur di sentirci membri attivi della comunità? E se il nostro dovere civico, in una società alla deriva, fosse scagliare la prima pietra?
Il mio consiglio musicale: Maneskin – Zitti e buoni