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L’Istituto, di Stephen King. Sperling Kupfer, € 21,90, pp.
565 |
Parlarne
male mi spezza il cuore. È come disonorare il padre e la madre nei dieci comandamenti. Significa dichiararsi amareggiati da un mentore che
immaginavamo infallibile per definizione. Almeno a memoria, dai fasti
di 22/11/'63 in poi, non credo ci sia stato un solo romanzo dei
suoi che mi abbia deluso altrettanto. Salutato dai più come un
grande ritorno alle origini, L’istituto non mi è piaciuto.
Questione di punti di vista: per me il Re, infatti, non era mai
andato via – quindi quale ritorno, e da dove?
Le premesse erano delle migliori. Ancora i bambini protagonisti, ancora una storia di perdita dell’innocenza e infanzie violate: gli ingredienti segreti, insomma, dei suoi capolavori passati. Ma fra uno sviluppo che non brilla di luce propria e una lunghezza francamente inspiegabile, le analogie con L’incendiaria e Il talismano purtroppo finiscono qui. La trama è presto detta: Luke, dodicenne prodigio già pronto agli esami di ammissione al college, viene strappato alla famiglia – mamma e padre sono freddati nel cuore della notte – e rinchiuso in una prigione nelle foreste del Maine settentrionale. Il risveglio in quel posto, per dirla alla sua maniera, somiglia all’essere catapultati in una serie televisiva nel bel mezzo della terza stagione. Cosa si è perso? Perché quella cameretta perfettamente identica alla sua, ma senza finestre?
Le premesse erano delle migliori. Ancora i bambini protagonisti, ancora una storia di perdita dell’innocenza e infanzie violate: gli ingredienti segreti, insomma, dei suoi capolavori passati. Ma fra uno sviluppo che non brilla di luce propria e una lunghezza francamente inspiegabile, le analogie con L’incendiaria e Il talismano purtroppo finiscono qui. La trama è presto detta: Luke, dodicenne prodigio già pronto agli esami di ammissione al college, viene strappato alla famiglia – mamma e padre sono freddati nel cuore della notte – e rinchiuso in una prigione nelle foreste del Maine settentrionale. Il risveglio in quel posto, per dirla alla sua maniera, somiglia all’essere catapultati in una serie televisiva nel bel mezzo della terza stagione. Cosa si è perso? Perché quella cameretta perfettamente identica alla sua, ma senza finestre?
Fa’
crollare tutto, pensò. Come Sansone fece crollare il tempio di Dagon
dopo che Dalila gli aveva fatto tagliare i capelli con l’inganno.
Fa’ crollare questo posto, e schiacciali sotto le rovine.
Schiacciali tutti.
A
spiegargli le regole e i lati oscuri del soggiorno sono compagni di
disavventura come gli sfrontati Kalisha e Nick e il precoce Avery,
bambino dai talenti insospettabili. In quel pericoloso paese dei
balocchi li hanno divisi fra telepatici e telecinetici. I cattivi
spremono e potenziano i loro poteri. Le guardie, inoltre, scongiurano
gli atti di ribellione con la televisione accesa, i distributori di
alcolici e sigarette, i poster motivazionali – ma nell’Istituto è
vietato leggere libri, guardare programmi informativi, accedere
a determinate pagine web. Nella Prima Casa i bambini sono cavie da
laboratorio; nella seconda, un posto senza ritorno, subiscono una
vera e propria lobotomia a furia di film e messaggi subliminali; poi
ci sono Gorky Park e l’ala dei forni crematori, di cui all’inizio
poco è dato sapere al lettore.
Se la cosa più crudele dell’Istituto è
l’impiego dei termometri rettali, se il protagonista la fa troppo
facile a realizzare i suoi sogni d’evasione in una prigione in cui
nessuno sembra mai prendere grandi accortezze verso i pazienti,
qualcosa non quadra. Neanche quando, dopo 350 pagine, i toni
diventano quelli di un racconto d’avventura vecchio stile –
barche a remi, treni merci, le stelle per orientarsi – e il dramma
di Luke si intreccia con l’esistenza di Tim, guardia notturna
troppo qualificata per il suo ruolo. Allora, non lo nego, qualche
piccola soddisfazione c’è: merito di un assedio da western che
contrappone i villici del profondo Sud all’intelligence; di due non
protagoniste d’eccezione – Maureen e Orphan Annie –, la prima
donna delle pulizie sommersa dai debiti e l’altra clochard che
farnetica di cospirazioni internazionali e uomini in
nero.
Sanno
che sta succedendo qualcosa di strano. Qualcosa di brutto. Non cosa
di preciso: questo non vogliono saperlo. Perché dovrebbero?
L’Istituto dà loro da mangiare, e in ogni caso chi crederebbe alle
loro parole? Quanto a questo, c’è ancora un sacco di gente
convinta che i tedeschi non abbiano ucciso tutti quegli ebrei. Si
chiama negazionismo.
Perfino
le strizzate d’occhio non mancano: ecco spuntare due gemelle
dall’aria familiare, che ricordano proprio quelle di un classico
dell’horror; ecco una citazione che ci riporta all’istante nella
città fantasma di Salem’s Lot. Allora come mai non lo hai
apprezzato, chiederete? Ho trovato furbe e forzatissime le
connotazioni storico-politiche, che passano dalla tragedia della
Shoah a quella dello schiavismo, fino ad andare a bacchettare il
solito Donald Trump. I capitoli dedicati al punto di vista degli
antagonisti, i soliti scienziati pazzi da blockbuster americano,
annoiano. I territori sono gli stessi di Glass e La casa per bambini speciali di Miss Peregrine, dunque non felicissimi, e
i cenni ai mondi Marvel hanno trovato del tutto disinteressato un
profano dei cinecomic come il sottoscritto.
Nonostante le immancabili
tinte crudeli, L’Istituto è un racconto per ragazzi di
amicizie e primi amori, in cui la morale della favola – banalotta –
è che l’unione fa la forza. L’autore non potrebbe sfornare meno
di due titoli l’anno ma ragionarci sopra di più? Un adolescente di
oggi, mi sono chiesto soprattutto, si sorbirebbe queste quasi 600
pagine affrontate stancamente anche da un fan come me? Probabilmente
preferirebbe darsi allo streaming, al binge watching. Un tempo era Stranger Things a omaggiare Stephen King; ora succede l’esatto
contrario. E in questa lunga puntata senza idee brillanti o colpi di
scena – un compromesso alla moda per mostrarsi al passo coi tempi e
parlare alle nuove generazioni –, ho sentito tanto la mancanza di
Eleven quanto quella del mio Re.
Il
mio voto: ★★½
Il
mio consiglio musicale: Pink Floyd - Another Brick in the Wall