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Non mentirmi, di Philippe Besson. Guanda, € 16, pp. 155 |
Le
storie d'amore, soprattutto quelle fra diciassettenni, soprattutto
quelle fra uomini, iniziano tutte o quasi così. Qualche occhiata
distratta che man mano trova il coraggio di indugiare un po' più a
lungo, un venirsi incontro con cautela che ha l'aria di una sfida, la
ragionevole paura. Di piacersi o non piacersi, di rivelarsi al mondo.
Il colpo di fulmine di Philippe Besson, oggi scrittore di successo,
non fa eccezione. Correvano i primi anni Ottanta. Lui, educato sin
dall'infanzia a primeggiare, e per questo a suscitare antipatia nei
coetanei, era il figlio prediletto di un insegnante che sognava un
futuro accademico per quel secondogenito obbediente che, se al liceo
faceva parlare di sé, era soltanto perché brillante nello studio e
vagamente effeminato nel buon gusto, nei movimenti delle
mani. Fuori dal branco, ma abbastanza misantropo da farne in fondo un
vanto, mette alla prova la propria natura a undici anni e a
diciassette è irrimediabilmente attratto dalla solitudine di un
altro come lui: Thomas, due occhi nerissimi e una famiglia
d'estrazione contadina da cui ha ereditato il fare laconico, i
sorrisi centellinati, il rispetto remissivo per la fatica nei campi.
Da un capo e l'altro del cortile, al solito, all'inizio si scrutano e
basta. Non hanno scuse valide per parlarsi, no, appartenendo a classi e a ceti sociali opposti. Finché l'adolescente che fuma
sempre in disparte, comunque meglio integrato di Philippe in quella
scuola di provincia, non entra deliberatamente nel campo visivo
dell'altro – lo fanno per prime le sue scarpe da ginnastica
scolorite, la cicca che gli arde in bocca. Non può
custodire il segreto sulla propria sessualità da solo, non più. Ne
nasce una relazione clandestina identica a mille e a nessun'altra. Un
patto segreto senza preliminari, senza preservativo, senza pensieri,
che vive di foglietti volanti – l'ora e il luogo scarabocchiati a
penna – e nessuna paura per l'Aids, l'abbandono, quel che sarà di
loro. Quando la pioggia o una tenerezza improvvise li coglieranno di
sorpresa, nel capannone della palestra o l'uno sul petto dell'altro,
giocheranno a studiarsi a vicenda i nei, le sfumature della pelle, i
destini contrapposti – Thomas si auspica infatti la fuga dalla mediocrità
dell'aspirante scrittore, Philippe presagisce che per il giovane
amante in un giorno non lontano sarà più facile troncare il
rapporto. Qualcuno, tuttavia, si sbaglia.
Io
sono il mondo invisibile, sotterraneo, straordinario. Di solito
questa singolarità mi rende felice. Stasera mi fa soffrire in modo
insensato.
Un
altro viaggio nei migliori anni, un'altra passione omosessuale
dall'annunciato finale amaro, un altro ragazzo triste che si strugge
e ci fa struggere. Siamo nei territori di Aciman, ma a Non
mentirmi mancano gli Eden
sospesi in un'estate eterna, le meditazioni filosofiche, i genitori
che comprendono – semmai, con il senno di poi, sono i figli ad
accettare i trascorsi sentimentali dei familiari, non il contrario.
Resta la suggestione, resta un'universalità che perfino il lettore
più cieco del mondo non potrebbe negare: un viaggio nel meglio e nel
peggio degli anni Ottanta, e nelle problematiche più intime di un
figlio di quella generazione notoriamente vagheggiata e rimpianta. Al
cinema danno Sophie Marceau, ma Philippe – con le immancabili pose
da scapigliato, da incompreso – trascina Thomas a vedere vecchi
film, più per la privacy del buio in sala che per il piacere della
condivisione. Stretti su una motocicletta indossano il casco, ma più
per nascondersi che per rispetto delle norme stradali. Quando quello
accorto dei due acconsente a uno scatto fotografico, a una gita fuori
porto, è in realtà per fargli meno male possibile nel momento in
cui – l'estate ormai alle porte – gli spezzerà il cuore. Diviso
in tre parti, con il connaturato decoro della narrativa francese e lo
stesso struggimento delle occasioni perse, delle polaroid rinvenute
per caso in un cassetto, Non mentirmi è
la confessione dell'amante superstite, che preferì non confrontarsi
mai con la vita vera con la scusa pavida non ci fosse altra
alternativa.
Perché
tu te ne andrai e noi resteremo.
Ho
percepito il dolore del protagonista – il dramma di fingersi
estranei nella stessa stanza, stringere forte i pugni per celare la
gelosia – e la doppiezza del loro legame, che da una parte lo
faceva sentire speciale (impara così a sorridere, a padroneggiare i
nomi fittizi e le prime bugie della sua professione di narratore) e
dall'altra tagliato fuori. Prima di questo romanzo, infatti, non
c'era nessuno che sapesse di loro. A ferire, però, è la condizione
dell'Ennis Del Mar di turno: un uomo contrito, che mente agli altri
ma soprattutto a se stesso, e che Philippe lo segue nelle ospitate
televisive consultando le guide tivù; che gli chiede scusa con
messaggi in segreteria mai inoltrati, con lettere senza francobollo.
Quanto sono davvero affini e quanto, da bravi incompresi, si illudono
di esserlo in cerca di compagnia per un tratto del tragitto?
È
stato amore, chiaramente. E domani sarà un grande vuoto.
Le
parole chiave: rimpianto e defezione. La morale: il diritto ad avere
un passato, a custodire cose che rimarranno solo e soltanto nostre.
Besson, abituato a raccontarci di personaggi immaginari, questa volta
si mette in scena. Abituato a raccontare, soprattutto, nell'ultima
sezione si fa da parte: lascia che a parlare siano un po' i ricordi e
un po' uno sconosciuto intercettato nella hall di un albergo,
sorprendentemente simile al suo Thomas, che ha un messaggio da dargli
e tantissimo da dirgli: ciò che la loro comune conoscenza ha fatto e
non ha fatto, nel quarto di secolo distante da lui.
Non mentire, dicevano i genitori a un Besson che sin da bambino inventava. Per rispetto di mamma e papà, allora, qui non mente. Falsa qualche immagine, forse, come succede se la nostalgia si mette in mezzo e ci incrina la voce, ma romanza di rado. Scrive tutta la verità, nient'altro che la verità. Regalandoci lacrime sincere per l'autobiografia di un mestiere, per l'autobiografia di un amore, che purtroppo ebbe troppa paura del sole. E così si fece pallido, e così si fece in bianco e nero: nero su bianco.
Non mentire, dicevano i genitori a un Besson che sin da bambino inventava. Per rispetto di mamma e papà, allora, qui non mente. Falsa qualche immagine, forse, come succede se la nostalgia si mette in mezzo e ci incrina la voce, ma romanza di rado. Scrive tutta la verità, nient'altro che la verità. Regalandoci lacrime sincere per l'autobiografia di un mestiere, per l'autobiografia di un amore, che purtroppo ebbe troppa paura del sole. E così si fece pallido, e così si fece in bianco e nero: nero su bianco.
Il
mio voto: ★★★★
Il
mio consiglio musicale: Sufjan Stevens – Visions of Gideon
Di questo passo quando ricomincerò a comprare libri spenderò un patrimonio, e non saprò da cosa iniziare.
RispondiEliminaCome al solito complimenti per la recensione, continuo a mettere in wl libr che - altrimenti - difficilmente avrei notato ^^;;
Sono sempre contento di farti scoprire qualche nuovo titolo, meno per l'allungarsi della WL. 😢
EliminaSembra uno di quei romanzi così strazianti che non possono non essere letti!
RispondiEliminaLeggi, leggi!
EliminaBellisima recensione: l'ho ordinato e l'attendo febbrilmente. Inutile dire - da altre recensioni ancora - che ho già il magone... ...complimenti per il commento sl libro, ci sono frasi-capolavoro.
RispondiEliminaMa grazie mille!
EliminaQuesto potrebbe piacermi: amo le storie nei collegi, in ambienti così. È sempre un micromondo... ��
RispondiEliminaMoz-
Ambientazione che affascina sempre anche me, vedasi in questi giorni Élite su Netflix. 😁
EliminaIl titolo potrebbe anche essere "Chiamami con un altro nome". :)
RispondiEliminaDai Luca Guadagnino, aspetto che ci fai tu un film!
Ora si è dato ad altri tipi di sospiri...
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