Ho finito di leggere questo romanzo durante la mia supplenza in quinta liceo. I ragazzi stavano facendo il compito di latino. Terminando La saga di Vigdis, opera di un'autrice Premio Nobel per la Letteratura nel 1928, ho pensato proprio ai banchi di scuola. All'ora di epica negli anni del ginnasio. Alla letteratura latina e greca del liceo. Quando in poco spazio – quello esiguo di una versione, quello di una melodiosa strofa in endecasillabi – erano condensati mondi interi, lunghe avventure per terra e per mare. Questo succede anche nell'ultima pubblicazione Utopia, precedentemente arrivata in libreria con Iperborea. Una storia d'onore e vendetta, d'amore e morte, che si dipana nell'arco di un ventennio di lotte ma che su carta dura 170 pagine appena. I capitoli sono snelli; lo stile di Sigrid Undset è semplice e immediato; il linguaggio – fatto di epiteti infraintendibili e attributi altisonanti – ricorda le particolarità dei racconti tramandati a voce. Della narrativa orale, però, il romanzo presenza anche i limiti: alcuni episodi appaiono dettagliatissimi, altri vengono riassunti sbrigativamente; alcune digressioni lasciano spazio a canzoni e miti popolari, a discapito poi di eventi condensati con furia.
Ora sono come un uccello che si dibatte a terra con le ali spezzate. Non può più allontanarsi da dove è caduto e non può vedere più in là del sangue che ha versato. Se cerco di ricordare il passato, mi viene in mente solo il presente. Se ripenso al tempo in cui ero allegra e spensierata, mi sembra solo una premessa per questa fine.
Ambientato tra Islanda e Norvegia, finestra su una cultura lontanissima dalla nostra, il romanzo si è rivelato un'appassionante gita fuori porta. Anziché intimorirmi – per via dei nomi di battesimo impronunciabili, dei luoghi remoti da ricercare uno a uno sull'atlante per meglio orientarmi –, mi ha affascinato dall'inizio alla fine. Oltre le colonne d'Ercole dei miei limiti, lì dove le leggende pagane abbracciano quelle cattoliche, ho letto del colpo di fulmine tra i protagonisti. Ljot, mercante ospite di un fattore, s'innamora della figlia di quest'ultimo: lei ricambia. Ma, ingelosito dalle voci di un presunto tradimento, fa propria la giovane on la forza. Sedotta e violentata, abbandonata nell'onta, Vigdis partorisce un figlio che cresce al suon di botte e rancori. Agli antipodi della barricata, i protagonisti vivono soltanto per rincontrarsi e per riaffrontarsi faccia a faccia. Sono furenti. Sono stati traditi. Nonostante tutto, a modo loro, restano innamorati.
Ma io amo la voglia scura che l'altra aveva tra i seni più di tutta la bellezza di Leikny. E amai di più lei quando mi colpì alla gola col suo coltello di quanto ami Leikny quando mi getta le braccia al collo. Ero meno infelice quando erravo d'inverno sulle montagne di Dovre pensando alla sua maledizione di quanto non lo sia quando torno a Skomedal e so che Leikny mi accoglierà con parole affettuose sulla porta di casa. Preferirei essere dilaniato dagli artigli di un orso bianco che saperla fra le braccia di Kare.
Divorato dal senso di colpa per lo stupro, Ljot è un'anima in pena incapace di perdonare sé stesso: ai successi professionali corrispondono le sciagure private; il suo matrimonio è avvelenato dai dissapori e la sua prole perseguitata dalla sfortuna. Reduce da peregrinazioni disperate, in fuga da una casa in fiamme, Vigdis diventa invece una novella Penelope capace di mediare tra pretendenti e usurpatori: donna di straordinaria resilienza, dispone alleanze; temporeggia; si affranca dichiarandosi padrona del proprio destino. Entrambi immorali, benché nobili d'animo, i protagonisti alimentano le braci di un sentimento sfuggente, viscerale, che nasconde ancora un'ultima scintilla. Sono concessi ritorni di fiamma, però, nell'epica brutale dell'autrice? Tra duelli, diaspore e travestimenti, La saga di Vigdis è una storia d'altri tempi. La cronaca di un amore lungo una vita e una vendetta, che a sorpresa apparirà più moderna del previsto nell'era televisiva di Game of Thrones. È un ritorno sui banchi di scuola, all'ora di epica. Questa volta, per appassionarsi a pulsioni ataviche e a moti femministi ante-litteram, non servirà la parafrasi.
Il mio consiglio musicale: Enya - Only Time