“A diciassette anni ho iniziato a morire di fame”, canta Florence Welch. “Pensavo che l'amore fosse una specie di vuoto nella pancia”. Per Maren e Lee, a quell'età, l'amore altro non è che sazietà sconsiderata e bulimica. Cannibalismo. Sono venuti presto a capo della loro natura. Lei, ad esempio, l'ha scoperta mangiando la sua babysitter: la madre l'ha trovata infante o poco più in una pozza di sangue, con un osso della donna per ciuccio. È da allora che Maren fugge, sapendo che è destinata a distruggere tutto ciò che ama. Abbandonata dalla madre e in cerca del padre, la protagonista incrocia un proprio simile in viaggio verso il Minnesota. E se ne innamora. Accanto a Lee scoprirà la fallibilità degli adulti, il turbamento del sesso e, soprattutto, i lati oscuri di una America degradante zeppa di stazioni di servizio abbandonate e alienanti centri commerciali. Novelli senzatetto, invisibili agli occhi dei più, i protagonisti viaggiano con il pollice teso per fare l'autostop – i bagagli leggeri, i cuori pesanti. Stare insieme è un misto inestricabile di paura e tenerezza. Il loro percorso, sprovvisto di particolari scene madri, è una strada dritta ma dall'asfalto sbeccato; un intreccio che non punta mai ai colpi di scena, ma all'universalità di una storia che parte dall'horror per raccontare la violenza delle prime volte. Crescere è uno strappo. C'è chi li braccherà, chi invidierà la loro sintonia al punto da implorare di essere mangiato pur di divenire finalmente parte di qualcosa di grande e significativo, chi al luna park riceverà in regalo un peluche di ET – L'extraterrestre. Il loro sentimento, acerbo, è al centro di un romanzo che acerbo lo è altrettanto. L'esordio di Camille DeAngelis ricorda le contaminazioni di Lasciami entrare e Non mi uccidere, ma perde poi la bussola in un epilogo monco e sospeso.
Quella sera ho scoperto che ci sono due tipi di fame. Ce n'è uno che posso soddisfare con gli hamburger e il latte al cioccolato, ma c'è un'altra parte di me che resta in attesa. Può aspettare per mesi, magari anche anni, ma prima o poi dovrò cederle. È come se ci fosse una voragine dentro di me, e quando assume quella forma là c'è soltanto una cosa che la possa riempire.
Per fortuna, pur non traendone il capolavoro decantato da alcuni, Luca Guadagnino ha setacciato i pregi del romanzo Young Adult e li ha potenziati. In una calda estate italiana, d'altronde, un adolescente si masturbava con una pesca mentre la radio cantava Battiato. Ci può forse stupire che l'autore di Chiamami col tuo nome sappia raccontare con delicatezza una storia d'amore e cannibalismo destinata a un pubblico adolescenziale? Senza mai scivolare nel ridicolo a dispetto della sceneggiatura un po' lacunosa, questo Guadagnino non sorprende ma perturba. Ibrido non sempre equilibrato (aveva già fatto qualcosa di simile, e meglio, il francese Raw), Bones and All usa lo splatter per scavare a mani nude tra le incertezze della crescita e tra i segreti di un Paese in cerca di autoaffermazione. I protagonisti, due romantici serial killer, seminano per due ore sospiri, raccapriccio e vittime straziate. Russell, con i suoi grandi occhi da cerbiatto, si lascia condurre dal più smaliziato Chalamet: in sintonia, i due si intrattengono con gli irriconoscibili Stuhlberg e Sevigny mentre fuggono via da un gigioneggiante Rylance. Si leccano a vicenda labbra e ferite. Ma, ancora una volta, si ha la sensazione di conoscere in anticipo le tappe di questo viaggio chiamato crescita; risvolti shock compresi. Restano la bellezza dei movimenti di macchina e quella della gioventù; la fame di pesche, che batte prevedibilmente quella di carne umana; il sole negli occhi, il vento nei capelli. E il sangue sulla faccia.
Il mio consiglio musicale: Florence + The Machine – Hunger