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I sette mariti di Evelyn Hugo, di Taylor Jenkins Reid. Mondadori, €
20, pp. 413 |
«Io sono grande, è il cinema che è diventato piccolo». Con questa frase, una delle battute più famose della storia del cinema, il film Viale del tramonto dava voce allo struggimento di una diva del muto: tagliata fuori dopo l'avvento del sonoro, si rifugiava nella follia. Biografia immaginaria di un'attrice degli anni Cinquanta, I sette mariti di Evelyn Hugo mi ha ricordato a tratti il capolavoro di Wilder: disamina impietosa dello star system, descrive gli aspetti più oscuri di Hollywood e si articola come una lunga confessione. In un salotto dell'Upper East Side, Monique – giornalista inesperta e sfortunata in amore – annota le memorie di una star sulla soglia degli ottanta. Le unisce un segreto: Evelyn ha tanto da dire, e qualcosa di orribile da farsi perdonare. Sempre sulla cresta dell'onda, in grado di passare dal rigore dei film in costume ai nudi della Nouvelle Vague, è diventata iconica per il suo seno prosperoso e per la chiacchierata vita sentimentale.
Hollywood ha proprio questo, di speciale: è sia un luogo sia uno stato d'animo.
Originaria di Cuba ma cresciuta a Hell's Kitchen, si è resa protagonista di un'ascesa impareggiabile. I suoi partner non sono stati altro che i gradini della sua scalata. Ambiziosa, manipolatrice e potente, ha rifiutato le etichette di moglie e madre, anteponendo la carriera al privato. Ha fatto sesso in cambio di ingaggi, ha abortito per non avere intralci, si è prestata ai matrimoni di facciata e alle strategie. Continuamente prigioniera di un ruolo, ormai anziana, si domanda come sarebbe stata un'esistenza normale. Ha dimenticato lo spagnolo e sé stessa. E ha tentato di ritrovarsi, infine, mentre affioravano le prime rughe, i capelli bianchi, i ruoli mediocri, il desiderio di un ritocco estetico, i ricordi. Quali sono state le sue rinunce? Soprattutto, chi è stato il suo vero e unico amore? Incalzante e scorrevole come una sceneggiatura, il romanzo di Taylor Jenkins Reid è una lettura lontana dalle mie, ma che proprio per questo mi ha portato lontano: fino alla Los Angeles degli anni d'oro. Distante dall'agiografia, propone un ritratto che a torto immaginavo più adolescenziale, più blando. Evelyn, invece, è un'antieroina di rara complessità: uno squalo dal forte spirito imprenditoriale, capace di abbracciare ruoli controversi e posizioni scomode.
Se è vero che esistono tanti tipi di anime gemelle, allora tu sei una delle mie.
Ambigua, così com'è ambiguo il rapporto che si instaura con la sua biografa, vive la solitudine straziante di chi ha assistito alla dipartita di tutti i propri cari. È sopravvissuta agli amici e agli amori, e ogni uscita di scena – per quanto annunciata – è un puntuale colpo al cuore. Costellata di trionfi, tragedie e bugie, la sua storia parla con coraggio anche di identità sessuale: nella carrellata di personaggi proposta dall'autrice, infatti, spiccano Harry, un produttore da salvare dallo stigma dell'omosessualità, e Celia, compagna di set unita a Evelyn da molto più di una buona amicizia. Rock Hudson, intanto, muore di AIDS; Elton John fa coming out. Ci si può nascondere pur restando sotto gli occhi di tutti? È stata forte la tentazione di cercare notizie aggiuntive su Evelyn e gli altri. Appaiono così realistici, infatti, che rattrista il pensiero che le pellicole citate siano pura invenzione. Dopo aver riposto il romanzo con un groppo in gola, avrete voglia di rispolverare i film di Marilyn Monroe (suoi i capelli biondi), Liz Taylor (suoi i matrimoni turbolenti) e Jean Seberg (sua la parentesi francese con Godard), nonché di suggerire la conoscenza di questi sette mariti agli appassionati della settima arte.
Il mio consiglio musicale: Billie Holiday – Strange Fruits