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Giù nella valle, di Paolo Cognetti. Einaudi, € 16, pp. 124
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Quella
di Paolo Cognetti è una scrittura che ha trovato negli opposti la
sua segreta armonia. È calda, ma freddissima. È delicata, ma
scabrosa. La sua massima espressività? A sorpresa, in una storia
come questa: apparentemente senza sorprese. Lungo poco più di cento
pagine, Giù nella
valle è
un romanzo breve ma compiuto – spietato, convulso, intenso. Questa
volta siamo nei primi anni Novanta, a novembre. Non fra le cime
svettanti, ma a valle. Considerata il pisciatoio d'Italia, la
Valsesia è un imbuto asfissiante in cui proliferano nebbie,
alluvioni, bettole mal frequentate. I camion scaricano rifiuti
industriali nelle cave abbandonate, il fiume è inquinato dai
solventi chimici, l'illuminazione è costituita dai neon delle
insegne dei bar. Il tasso di alcolisti e suicidi è alle stelle. Più
cupo, questo Cognetti ha il fascino ombroso del fondovalle e fa
spazio al dramma di due fratelli agli antipodi.
Lo
sai cosa vorrei, invece? Un bell'abbraccio da mio fratello. O anche
fare a pugni, scegli tu. Ma qualcosa di vero.
Luigi
fa la guardia forestale: pallido e ordinato, somiglia al larice
piantato dal padre. Alfredo, invece, è un abete: pungente e
frondoso, ha conosciuto il Canada, si è spinto fino al Mar Glaciale
e infine è tornato indietro, complice un'eredità da impugnare. Fra
di loro ci sono: una belva che semina cani sbranati; una donna un
tempo contesa, Elisabetta, che fa il bagno nuda nel fiume e ha
preparato uova sbattute a suo suocero fino al giorno in cui il
vecchio non l'ha fatta finita; una casupola a 1800 metri d'altezza
che presto confinerà con una pista da sci. Mentre la conta dei morti
cresce, il progresso fa timidamente capolino: per lasciare spazio al
divertimento dei turisti, toccherà abbattere oltre cinquemila
alberi. Non ci vuole molto a cogliere analogie con i romanzi
precedenti: i protagonisti dai caratteri opposti ricordano gli amici
lontani di Le otto montagne;
Fontana Fredda e la vita selvaggia facevano già capolino nel più
fiabesco La felicità del lupo.
Cognetti ormai scrive sempre la stessa storia? Forse sì, ma ancora
una volta la scrive meravigliosamente bene, pur auspicandomi un
ritorno in città per il prossimo romanzo. A dispetto della
ripetitività delle tematiche e della debolezza dei personaggi
femminili – le donne di Paolo sono tutte forestiere, detentrici di
valori familiari e calore: non persone né personaggi; candidi
archetipi piuttosto –, è impossibile non lasciarsi incantare da una
voce carezzevole che omaggia il Bruce Springsteen di un famoso album
datato 1982.
Era
piccola, la sua valle, eppure c'erano ancora posti che non aveva mai
visto. Sceso dall'argine, lasciò andare avanti l'uomo e osservò il
paesaggio di pioppi e betulle, una conca dove la Sesia faceva un'ansa,
tra i banchi di ghiaia modellati dalla corrente. Adesso che era in
secca, il fiume si diramava creando isolotti e spiagge. Gli venne in
mente che dieci anni prima ci avrebbe portato Elisabetta a fare il
bagno, ma per i bagni nel fiume c'era una stagione, nella vita, che
poi chissà perché passava. Poi veniva la stagione dei figli, delle
case da comprare e ristrutturare, dei vantaggi di un lavoro
salariato.
Sinceramente
grato, Cognetti cita le canzoni e gli scrittori del cuore: sono tutti
americani. Ma è alla provincia italiana che deve gli incisivi
spaccati per le troppe birre aperte con i denti, il vino rosso e lo
spezzatino in tavola, i misantropi un po' romantici che
preferirebbero una tenda nel bosco al tepore del talamo, i fiumi che
vogliono rigorosamente l'articolo determinativo declinato al
femminile. Il suo personale Nebraska è una partita a mosca
cieca. Un girare in tondo animato da furia e tenerezza, in cui Luigi
e Alfredo, divorati da una struggente tensione verso l'alto – gli
occhi sempre puntati lì, sull'abbacinante Monte Rosa –, si inseguono
sulla scia di una domanda. Il larice e l'abete crescono bene fianco a
fianco, o si fanno troppa ombra a vicenda? Una lite, un incendio, li
ha fatti ardere qualche anno prima. La neve caduta ha spento le
fiamme soltanto all'apparenza. Il fuoco è penetrato nel terreno,
l'incendio è soltanto dormiente. Basta un soffio di vento, e Luigi e
Alfredo torneranno a bruciare. E, forse, a volersi bene.
Il
mio voto: ★★★★
Il
mio consiglio musicale: Bruce Springsteen – The River