Lei, Adele, è una mamma single che ha chiuso con il mondo: improvvisamente sembra essere diventato troppo per lei. Ex ballerina, ha riposto le scarpette e il cuore in un cassetto a seguito di un divorzio dolorosissimo. Chiusa in una casa ai margini della provincia, accumula provviste per limitare gli andirivieni al supermercato e si lecca amaramente le ferite in compagnia di Henry, l'unico figlio. Lui, Frank, è un galeotto braccato dalla tragedia: sull'uomo, reduce di guerra evaso dopo diciotto anni di carcere, pendono una taglia di diecimila dollari e l'accusa di omicidio colposo. In fuga dalla polizia, si rintana a casa dei protagonisti. Li prende in ostaggio, o forse, presso di loro, trova semplicemente e finalmente rifugio. In un film di un decennio fa – trasposizione cinematografica felicissima – i due erano interpretati dagli splendidi Kate Winslet e Josh Brolin. Dalla loro convivenza forzata nascerà una struggente storia d'amore lunga sei giorni appena.
Ovunque tu scelga di vivere, c'è sempre un'altra casa, un'altra persona che ti chiama. Vieni da me. Torna qui.
A raccontarla è Henry, tredicenne precoce e in piena tempesta ormonale, abituato sin dall'infanzia a osservare senza pregiudizi i punti di rottura degli adulti. Rievocata da un altro narratore, probabilmente, questa stessa storia si sarebbe prestata alla doppiezza; alla morbosità. Adele è vittima della sindrome di Stoccolma? Frank è il suo carceriere? Henry, che durante la notte sente spesso la testiera del letto picchiare contro il muro della camera matrimoniale, è il testimone di un abuso? Prevalgono le ragioni del cuore, non quelle della ragione; una scrittura delicata, eppure tesissima insieme, in grado di creare un erotismo avvolgente e un'atmosfera sospesa nella sonnacchiosa canicola estiva. L'arrivo del galeotto è vissuto dall'adolescente con un misto di spavento ed eccitazione. Come il resto dei suoi coetanei, pensa al sesso in continuazione e vede il suo corpo cambiare. Presto cambia qualcosa anche in quella madre che a volte beve un po' troppo e, spenta, è abituata ad avere Henry come unico confidente. Lo sviluppo della sessualità del ragazzino è parallelo al risveglio sessuale della madre. Frank è un uomo con spalle larghe e mani grandi. Frank cambia le lampadine guaste, prepara la moka al mattino, cucina un ottimo chili. Frank, con gesti lenti e morbidissimi, è capace tanto di legare i polsi degli ostaggi con foulard di seta quanto di mulinare in aria una mazza da baseball.
Mia madre e Frank erano come due naufraghi su un'isola tanto sperduta che nessuno li avrebbe mai trovati, ciascuno con nient'altro a cui aggrapparsi eccetto la pelle dell'altro, il corpo dell'altro. O forse non era nemmeno un'isola, solo una scialuppa di salvataggio in mezzo all'oceano, anche quella in procinto di sfaldarsi.
È troppo tardi per essere una famiglia? Soprattutto, si è troppo mal assortiti per immaginare un futuro insieme – magari oltre il confine? In certi weekend festivi, in certi romanzi, sembra tutto possibile. Anche vincere l'inevitabile gelosia che si avverte quando un genitore s'innamora e, per un attimo, si ha la sensazione di essere lasciati indietro. Mosso da una spasimata voglia di contatto umano, Un giorno di festa è un gioiello di tensione emotiva imprevedibile fino all'ultimo, così com'è imprevedibile l'animo adolescente. Joyce Maynard, annullatasi per magia dietro il punto di vista maschile, ci invita a camminare in punta di piedi, a trattenere il respiro, a far piano: potremmo disturbare il filosofeggiare di Frank, che attraverso i segreti per una perfetta pasta frolla sembra raccontare quelli della felicità, o spezzare il fragile incanto di questo melodramma degno di I ponti di Madison County, non pensato per la voracità di occhi indiscreti.
Il mio consiglio musicale: Joni Mitchell – A Case of You