lunedì 24 settembre 2018

Recensione: Gli scellerati, di Frédéric Dard

| Gli scellerati, di Frédéric Dard. Rizzoli, € 17, pp. 204 |

Ci sono quei romanzi che hanno diritto a una seconda primavera. Quegli autori che rinascono come fossero fenici, dopo la morte, grazie ai miracoli che talora l'editoria riesce a compiere. I casi più clamorosi, negli scorsi anni, sono stati a memoria Stoner e la trilogia di Kent Haruf: il primo biografia fittizia di uno struggente uomo qualunque, l'altra raccolta composita di piccole e grandi storie di un Sud che vota Trump ma sa emozionare nel profondo. Avrebbe potuto essere così, ho immaginato a torto, anche per Gli scellerati: romanzo tradotto per la prima volta a sessant'anni di distanza dalla pubblicazione in patria, a opera di uno scrittore molto prolifico – in vita firmò oltre quattrocento testi, pensate –, noto in particolare per le indagini dell'ispettore San-Antonio e paragonato dai cultori ora a Simenon, ora a Céline. L'ultima occasione di Frédéric Dard era finalmente arrivata, e con un romanzo postumo da acclamare magari come nuovo classico del noir? La copertina sofisticata e gli alti paragoni lo facevano ben sperare. 
Per narratrice troviamo la sfrontata e ambiziosa Louise, diciassette anni e mezzo, un lavoro mal retribuito in una fabbrica di automobili e una casa in cui è difficile fare ogni sera ritorno, tra gli sguardi di un patrigno che alza il gomito troppo spesso e l'amara realtà di una provincia parigina senza redenzione. Dalla parte sbagliata della Senna si sente puzza di cavolo bollito e di smog, tutti conoscono tutti e ci si arrende presto a un destino in serie – lavori faticosi, esistenze modeste, matrimoni infelici. Se non fosse che lo stesso tragitto di sempre, un giorno, regala all'irrequieta ragazza una boccata d'ossigeno; la visione di una famiglia tanto perfetta da fare invidia, con il dondolo sotto il portico, le cene all'aperto e una macchina status symbol nel vialetto. Sono i Rooland, gli americani che non passano inosservati. Sono quello che la protagonista mira a essere. In segreto fantastica, infatti, immaginandone gli interni domestici, il passato glorioso e gli amplessi. Quella casa, quell'isola felice, è il posto perfetto per ricominciare, magari come semplice cameriera. Hanno nove stanze, molti ospiti fissi, tanto disordine a cui stare appresso. Louise fa faville ai fornelli, li prende letteralmente per la gola, e in cambio pretende vitto e alloggio, nonché di entrare a far parte di quel duo mondano. Prevedibilmente, però, non è tutto oro quel che luccica, e un'acerba arrivista finisce così nella tana degli scellerati.

Vero è che quando si lavora in casa d'altri non ci si deve stupire di niente. Bisogna convincersi che la ragione è dalla loro parte, o perlomeno fare finta che lo sia e passarci sopra. Manie e vizi sono rispettabili perché ci pagano per rispettarli.

Lui con le lentiggini sulle guance e una luce interiore abbastanza abbagliante da fare invaghire l'adolescente parvenue, lei pigra fumatrice con un thriller americano sotto il braccio e una relazione clandestina. Ci si può fidare di loro, e il lettore, soprattutto, può fidarsi della versione di Louise – ava di ogni narratrice inaffidabile e personaggio, purtroppo, di rara antipatia? Il suo apprendistato presso i Rooland è breve e all'insegna del già letto. Una morte non accidentale nella seconda metà, un'attrazione sconveniente, un colpo di scena per salutarci in grande stile.
Come se fossimo nella versione d'oltralpe di un intrigo di James M. Cain – e Il postino suona sempre due volte, ricorderà qualcuno, si era già dimostrato abbondantemente al di sotto delle mie aspettative.
Come se si trattasse di uno spiegazzato romanzo da bancarella che, senza grande inventiva, mescola mistero ed erotismo. Non gli giova nemmeno lo stile: infarcito di esclamazioni e attempati puntini di sospensione, contribuisce a rendere la voce di Louise troppo stucchevole e infantile per spacciarla per una seconda Lolita.

Speravo nella notte. Quando il mondo scivola nell'ombra, gli uomini non ragionano più come prima, prestano orecchio alle voci segrete che mormorano dentro di loro.

Ogni tanto, si diceva in apertura di post, in libreria si scoprono tesori tardivi. Non è il caso degli Scellerati, riproposto quando nessuno ne sentiva più la mancanza. Imbellettato, tirato a lucido, non riesce a nascondere a lungo la colpevolezza dei suoi protagonisti o le rughe parlanti della terza età. Con la differenza precisa che intercorre fra i classici, e qui non siamo in presenza di uno di loro, e i romanzi semplicemente vecchi.
Il mio voto: ★★
Il mio consiglio musicale: Elvis Presley – Loving You

10 commenti:

  1. Risposte
    1. Peccato, in definitiva, non sia così aggrovigliato...

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    2. Speriamo vada meglio alla prossima. A presto, e benvenuto tra i miei lettori!

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  2. No, direi che dopo il tuo pensiero questo non fa per me. E, se posso permettermi, meno male! Mi stai facendo risparmiare un po' di monetine :-)

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  3. La cover è davvero affascinante peccato che la trama non lo sia altrettanto :)

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    1. La trama, Aquila Reale, in realtà sarebbe altrettanto affascinante. Ma, sessant'anni dopo, è stata proposta e riproposta allo sfinimento. Agli Scellerati, messo in coda per cause editoriali di forza maggiora, manca dunque l'elemento sorpresa.

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  4. Amo il noir.... ma mi sa che per questo vado oltre :-D

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    1. Il problema, appunto, è che avendone letti tanti, come nel mio caso faresti fatica a trovarci dentro qualcosa di nuovo.

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