Il
mio sangue meridionale reclama onori e attenzioni. Nato in Sicilia da
genitori partenopei, gli rendo degnamente omaggio grazie alla lettura
e al cinema. Se a Napoli torno spesso però, soprattutto grazie alle
magie di Elena Ferrante, dall’isola manco da troppo tempo. Quasi
vent’anni, a pensarci bene, nonostante l’estate scorsa ci abbia
fatto brevemente capolino galeotto il bestseller di Stefania Auci. Non
era andata bene; purtroppo mi ero stufato presto. Stesso esito, a
malincuore, ha avuto anche l’esordio di Linda Barbarino.
Accattivante sin dalla copertina, per non parlare poi di una sinossi
che prometteva passioni e riflessioni sulle donne ai margini
nell’Italia rurale, si è rivelato invece una lettura faticosa
nonostante i pareri entusiasti raccolti al Premio Calvino. Il pregio
più grande è anche il suo difetto maggiore: un dialetto fitto,
presente tanto nelle parti narrative quanto nelle dialogate, che mi
ha ricordato perché non sia mai stato attratto dai mondo di
Camilleri. Per quanto conosca bene quella parlata, ho trovato
stancante districarla pagina dopo pagina, frase dopo frase. Queste
duecento pagine scarse, così, mi sono pesate più del previsto,
anche se ho preferito leggerle in ventiquattro ore per togliermi il
pensiero. Soltanto riassumere le vicende della famiglia Rizzuto aiuta
a ricordare del mio interesse iniziale.
Suo
fratello si prese a una che si capiva subito era meglio starci
lontano, coi capelli ricci e niuri come serpenti. La Dragunera, così
la chiamavano, come la tempesta di acqua e vento. Se non fosse stata
magara, non c’era che dire: fine, alta, che il marito le arrivava
neanche alla spalla, e capelli lucidi come una manta.
In
una terra fuori dal tempo s’incrociano i dissapori di due fratelli
agli antipodi, Paolo e Biagio, e quelli delle rispettive donne.
Mentre il primo onora il padre e la madre attraverso il lavoro nei
campi, rifiutando però di accasarsi, il secondo ha fatto di testa
sua chiedendo la mano della Dragunera: una giovane seducente e
fatale, dalla fama di fattucchiera. Al centro di visioni demoniache,
in cui sbuca dal mosto come da un bagno di sangue, la moglie di
Biagio pare portare sciagura; se da un lato fa sincero spavento ai
maschi scaramantici, dall’altro però fa gonfiare anche le patte
dei pantaloni. Perfino il cognato ne è carnalmente attratto: quel
Paolo fedele a sé stesso e a Rosa, una prostituta dal cuore d’oro
che vive di fantasticherie romantiche e malinconia. All’apparenza
memorabili, questi personaggi femminili non interagiscono mai; le
loro storie si toccano di sfuggita, con una semplice occhiata in
chiesa. Se la donna del titolo nel corso della lettura non viene mai
riscattata né indagata, sempre inquadrata nell’ottica di perfidia
dei compaesani, più convincente appare la figura di Rosa: venduta
come carne da macello, vive nel passato e nei ricordi di un
terrazzino profumato di basilico. L’infanzia è una parentesi ormai
lasciata alle spalle, inattuabile. E il futuro, altrettanto incerto
in fatto d’amore?
Magari non
viene o verrà con gli amici a farle gabbo da fuori il cancello. E
invece arrivò, ed era come tutto il bene del mondo. Avrebbe voluto
fosse solo e sempre per lui il rivolo di piacere che le scorreva in
mezzo alle cosce, vergine e puttana solo per lui, per Paolo.
Confuso
nella scansione temporale e appesantito da risvolti gratuitamente
tragici dell’epilogo, il romanzo ha una trama troppo esile che vive
di uno stile a me indigesto. Cosa salvare allora? La ricercatezza
linguistica, tuttavia fine a sé stessa. Le suggestioni letterarie,
dalla Deledda a Verga. La fascinazione che proviamo davanti alle
canzoni straniere alla radio, di cui possiamo apprezzare il ritmo pur
non capendo tutte le parole. Il dettaglio non impedisce di
apprezzarne la potenza, vero, ma limitarsi a capirne il senso
generale finisce per svilire l’originalità del lessico, del suono,
delle sfumature. All’inizio ci ho fatto caso, ho prestato
attenzione cercando perfino qualche significato sul web. Ho
rinunciato strada facendo, poi, scegliendo di badare puramente al
racconto in sé; di proseguire per sapere come sarebbe andato a
finire e per non lasciare a metà un omaggio dell’editore, che
ringrazio di cuore. Anche se i chiaroscuri sfuggono e la particolare
cura stilistica, eppure lodata, francamente annoia.
Il
mio voto: ★★
Il
mio consiglio musicale: Carmen Consoli – Contessa Miseria
hum.... ho approfittato della solidarietà della c.E. e l'ho scaricato. Ma mi sa che per ora non gli cederò la precedenza :-D
RispondiEliminaBellissima l'iniziativa dell'editore, per altro trattandosi di un romanzo appena uscito. Ma boh, che fatica.
EliminaMi spiace per la brutta delusione. Devo dire che il romanzo mi incuriosiva, ma a questo punto non credo lo leggerò 😊
RispondiEliminaNon voglio sconsigliarlo, ma dipende dal tuo grado di pazienza e perseveranza. Io, soprattutto di questi tempi, non ne ho.
EliminaNon so, non mi convince (sarà che ovviamente la tua recensione fornisce il suo contriibuto)... sembra uno di quei romanzi in cui l'atmosfera dovrebbe avvolgerti completamente ma non ci riesce, colpa anche di personaggi poco interessanti
RispondiEliminaLe atmosfere sono la cosa meglio riuscita. Al servizio, però, di una storia che non ingrana, anche a causa dello stile respingente.
EliminaInfatti, avendo sentito della forte presenza dialettale, non ho nemmeno approfittato della possibilità data da Il Saggiatore di scaricarlo gratuitamente. Come te, non mi sono mai avvicinata a Camilleri - se non sbirciando tra le pagine di qualche suo libro per poi rimetterlo a posto - proprio per lo scoglio linguistico: se con altri dialetti sono riuscita ad apprezzare lo stesso la lettura (il romano di Pasolini, il napoletano della Ferrante, il veneto di Pennacchi in Canale Mussolini) il siciliano, quando abbonda nel testo, è per me troppo difficile da capire e da seguire. Da quanto scrivi poi, non credo avrei potuto appassionarmi particolarmente a questo romanzo.
RispondiEliminaTra il limite del siciliano e l'uscita, in un brutto periodo storico, l'autrice è stata un po' sfortunata...
EliminaConsiderando che io di dialetto siciliano non ne so nulla, per leggerlo avrei bisogno contemporaneamente dei "sottotitoli". :)
RispondiEliminaIn questo caso sarebbero strettamente necessari!
EliminaVado controcorrente rispetto ai commenti precedenti. A me il libro è piaciuto molto e mi ha stupito che si trattasse di un'opera prima. L'autrice ha saputo rendere al meglio la realtà povera di quel tempo e di quella femminile in quel contesto. Davvero brava.
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