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Agostino, di Alberto Moravia. Bompiani, € 12, pp. 182 |
Mi
mancano molte cose con la quarantena. Su tutte, il mare. Fino a due
settimane fa bruciavo i miei diecimila passi giornalieri sul
bagnasciuga, d’inverno come d’estate, e lasciavo sbollire
l’insofferenza lì. Dove il cielo era più alto e il vento più
pungente. Anche il ritmo delle mie letture, all’inizio, ha sofferto
per l’osservanza di questa nostra nuova sedentarietà. Bloccato in
un quartiere di palazzine grigie tutte uguali, senza cantanti sui
balconi né grandi scorci naturali, mi sono spento in fretta negli
andirivieni tra la cucina e il soggiorno; ho camminato soltanto quando c’era da liberare il vialetto dalle foglie secche.
Per fortuna, dopo una serie di romanzi sfogliati a tempo perso e
riposti intonsi in libreria, sono tornato a leggere grazie al
mio primo Alberto Moravia. Sarà che con lui ho corso all’aria aperta; sarà che mi ha portato fino al mare. Un
inchiostro limpido e rigenerante come acqua salata mi ha guidato nel
cuore in subbuglio dell’irrequieto Agostino.
Ora
provava un vago, disperato desiderio di varcare il fiume e
allontanarsi lungo il litorale, lasciando alle sue spalle i ragazzi,
il Saro, la madre e tutta la vecchia vita. Chissà che forse,
camminando sempre diritto davanti a sé, lungo il mare, sulla rena
bianca e soffice, non sarebbe arrivato in un paese dove tutte quelle
brutte cose non esistevano. In un paese dove sarebbe stato accolto
come voleva il cuore, e dove gli sarebbe stato possibile dimenticare
tutto quanto aveva appreso, per poi riapprenderlo senza vergogna né
offesa, nella maniera dolce e naturale che pur doveva esserci e che,
oscuramente, presentiva.
Tredici
anni, orfano di padre, si gode la villeggiatura in compagnia della
madre: una donna bellissima e senza nome – figuratevela come la Loren: bruna, le gambe chilometriche, uno
scandaloso due pezzi –, che a bordo del pattino flirta con un baldo giovine del luogo. Costretto suo malgrado a
reggere il proverbiale moccolo, Agostino sviluppa una gelosia
fortissima verso la genitrice. Pur non conoscendo ancora il sesso, il
desiderio carnale, l’amore, intuisce l’ascendente che lei ha sui
maschi di ogni età. Iperprotettivo, si sorprende a spiarla dalla
soglia della porta: nel riflesso polveroso dello specchio, in
deshabillé, per la prima volta la vede come una donna; non come una
madre.
Crescere
significa anche questo, accorgersi che i genitori sono persone con
bisogni e debolezze, e tagliare il cordone ombelicale con ordinari
atti di ribellione. Entrando a far parte, ad esempio, della cricca di
monelli del bagno Vespucci. Fra falò, piccoli furti e tramonti
infuocati in compagnia di Berto e degli altri, Agostino si guadagnerà
un soprannome – Pisa – e l’iniziale scetticismo degli
spregiudicati compagni di giochi. Cos’ha da spartire con loro, se
in città può vantare una casa con venti stanze, un autista
e un cameriere? Come testare la propria virilità messa in dubbio, se
non con le parolacce, le zuffe, le prostitute?
Tuttavia
sentiva con dolore che non era neppure simile ai ragazzi della banda.
Troppa delicatezza restava in lui; se fosse stato simili, pensava
talvolta, non avrebbe sofferto tanto della loro rudezza, delle loro
sguaiataggini e della loro ottusità. Così si trovava ad avere
perduto la primitiva condizione senza per questo essere riuscito ad
acquistarne un’altra.
In
questo piccolo classico ho trovato il
voyeurismo incantato del film Malena, le prurigini universali
di Chiamami col tuo nome, i soggiorni isolani tanto amati di
recente in L’isola di Arturo e Storia del nuovo cognome;
l’amarezza e le ansie di una “straziante età” che somiglia, in
Moravia, a un torbido paese dei balocchi. Il pedaggio va pagato
attraverso la rottura simbolica dell’immancabile salvadanaio di
ceramica: quanto è alto, tuttavia, il rischio di essere imbrogliati
all’ingresso e poi tagliati fuori? Né grande né piccolo, né
carne né pesce, il ragazzino rifugge le pose dei coetanei della
propria estrazione sociale ma fatica comunque ad amalgamarsi ai
monelli indigeni. È destinato a fare la spola tra due stabilimenti
balneari, così, alla scoperta dei segreti della malizia.
Agostino
è un sempreverde perturbante e modernissimo, meno memorabile del
romanzo di formazione di Elsa Morante ma altrettanto anticipatore. Un
racconto freudiano sull’eros e la pubertà, dove al calare del sole
s’intravedono le ombre torve della pedofilia e dell’incesto; ma
anche i simbolismi, gli attimi e le rivoluzioni tipiche dei migliori
narratori. Non temetene la fama. Appassionato e scorrevole, in
realtà, porta senza rughe i suoi settantacinque anni e stupisce
tutt’oggi per il coraggio di infrangere i tabù più taciuti
risparmiandoci la morale dell’ultima riga. All’interno, per
fortuna, ci troverete i miei cieli sterminati, il vento e il mare; la
nostalgia della libertà e dell’adolescenza, che in giorni come i
nostri mi sorprendo a cercare dappertutto. Nell’attesa
spasmodica di un’altra estate.
Il
mio voto: ★★★★
Il
mio consiglio musicale: Gino Paoli – Sapore di sale
Mi sa che come me, adesso dovrai recuperare anche La Disubbidienza sempre di Moravia, che ne ricorda molto le vicende ( io lo farò al più presto ).
RispondiEliminaMi ispira più degli Indifferenti, sai?
EliminaPenso che gli darò la precedenza. ;)
Anni fa lessi la sua opera più famosa, Gli indifferenti, che se hai apprezzato l'autore ti consiglio vivamente di recuperare (magari non in questo periodo, però...). Agostino è da allora nella mia wishlist, perché nella vasta produzione di Moravia era il titolo che mi attraeva di più. La tua recensione ne ha appena rinvigorito il fascino.
RispondiEliminaTi ringrazio tantissimo, Julia.
EliminaHo intenzione di recuperare tutto tutto. :)
Ricordo dei brani di antologia su questo romanzo, che non ho mai letto ma mi piacerebbe colmare la lacuna!!
RispondiEliminaAffrontalo di petto, senza paura. Semplice ma bellissimo.
EliminaCome ti dicevo, Moravia è un altro di quegli autori che presto o tardi mi piacerebbe conoscere. Forse però il mio approccio avverrà con La noia 😊
RispondiEliminaLa noia, sin dal titolo, mi ispira sbadigli però XD
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