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Norwegian Wood, di Haruki Murakami. Einaudi, € 13, pp. 380 |
È
uno dei maggiori successi orientali di cui si abbia memoria.
Acclamato alla stregua di un moderno classico, paragonato ora a
Charles Dickens e ora a J.D. Salinger, era uno dei buoni propositi di
quest’estate: uno dei tanti romanzi da leggere, uno dei tanti
autori da scoprire dal nuovo. Non essendo la classica lettura da
ombrellone né amando particolarmente i narratori giapponesi, l’ho
affrontato con il timore reverenziale che riservo soltanto ai grandi
scrittori. Qualcuno me ne parlava come del romanzo della vita.
Qualcun altro, invece, lo trovava sopravvalutato e durante la lettura
ammetteva di aver sentito nostalgia del Murakami più surreale. Opera
di un autore già affermato, apprezzato soprattutto per i toni
onirici e hard-boiled dei romanzi precedenti, ha diviso i lettori di
ogni dove come soltanto i successi fanno. E, a trent’anni
dall’uscita, continua a farlo. Come l’ho recepito io? Pesante
nelle tematiche, molto meno nella scrittura, il romanzo sorprende per
un apprezzabilissimo senso dell’ironia e un’attenzione
inaspettata per il calore del corpo umano, per le armonie segrete del
sesso. Lontano dalla pudicizia che di solito si associa al Sol
Levante, denso di riferimenti alla cultura occidentale, è una
passeggiata vitale e gaudente nel cuore di una foresta incontaminata,
nonostante il puntuale sollevarsi della nebbia suggerisca a ogni
passo mestizia e smarrimento. L’autore lo scrisse di getto fra
Atene e Roma, in un tour europeo durato appena tre mesi. Strutturato
in un lungo flashback, con un protagonista ormai quarantenne che,
galeotta la canzone giusta, rivive con la mente le sue storie d’amore
giovanili, mi ha ricordato a tratti l’esuberante intellettualismo
di Chiamami col tuo nome: riferimenti alti e bassi, citazioni
frequenti, personaggi lontani per chilometri e cultura dai ventenni
di oggi ma mossi da una malinconia che alla fine, lentamente,
contagia.
A
volte ho l’impressione di essere diventato il custode di un museo.
Un museo vuoto, senza visitatori, a cui faccio la guardia solo per
me.
La
struttura è di quelle fragili ed essenziali, al punto che si fa
fatica a individuarne il nucleo fondamentale: da copertina, il
triangolo sentimentale fra Watanabe, Naoko e Midori. Lui, descritto
nell’arco di tempo che va dai diciotto ai vent’anni, è lo
studente spiantato e solitario di un collegio maschile: affezionato
alla sua solitudine, studia teatro ma senza passione e, in compagnia
dell’amico Nagasawa – dongiovanni ricco e spietato, che
tradisce platealmente la fidanzata Hatsumi –, rimorchia ragazze
senza trasporto alcuno. Watanabe non sa godere dei piaceri della
carnalità. Non sa amare. Sbarca il lunario vendendo dischi e, nel
privato, si sbottona pochissimo. Attirato segretamente dallo
squilibrio e dalla tristezza, nel caos della rivoluzione studentesca
intrattiene una doppia relazione. Appare perlopiù epistolare quella
con Naoko, la fidanzata storica del migliore amico morto suicida:
ricoverata in una clinica paradisiaca all’ombra dei monti, dove si
confondono medici e pazienti, la giovane fa i conti con violente
allucinazioni auditive e una depressione dalle radici profonde. Il
protagonista, suo unico contatto con il mondo esterno, la aspetta.
-
Può darsi che io non guarisca mai. Mi aspetteresti lo stesso? Ce la
faresti ad aspettarmi dieci anni, vent’anni?
-
Tu hai troppa paura, - dissi. Del buio, dei brutti sogni, del potere
dei morti. Quello che devi fare è dimenticarli, se riesci a
dimenticarli ce la farai sicuramente a guarire.
-
Se riesco, a dimenticare, - disse Naoko scuotendo un po’ la testa.
E
nel mentre? Nel mentre c’è Midori, che è calda, vivissima,
presente: una femminista sfrontata e irresistibile, con le gonne
vertiginose, domande bizzarre sui condizionali inglesi e la
masturbazione, una passione incrollabile per i cinema a luci rosse e
per il cibo, che non rinuncia a mangiare di gusto perfino alla mensa
dell’ospedale. Se la prima è perseguitata dal mal di vivere,
l’altra fa i conti con l’ereditarietà della malattia: suo padre,
un modesto libraio di provincia, sta morendo per un tumore al
cervello, e la stessa tragedia ha colpito anni prima anche la madre.
Il protagonista all’università studia Sofocle ed Euripide. Le
tragedie dei drammaturghi greci – dolorose e ingarbugliate quanto o
più di quelle che accadono ai comprimari – sono sempre risolte
dall’intervento provvidenziale del deus ex machina. In
attesa che un’entità misteriosa dissipi magari anche la cupezza
dei suoi pensieri, Watanabe fa i conti con il senso di colpa dei
superstiti e, come nella tradizione dei migliori romanzi di
formazione, realizza che vivere, in fondo, significa andare avanti e
dimenticare. Altrettanto crescere. A volte la morte divide, ma in
Norwegian Wood eccezionalmente unisce. Il protagonista,
allora, si dà a lunghi colloqui. Come l’acqua, prende la forma del
recipiente che lo ospita e del suo interlocutore. Di domenica, dopo
aver fatto il bucato, Watanabe va a zonzo senza bisogno di parole
superflue e si nutre di dettagli impercettibili – un fermaglio a
forma di farfalla, una lucciola intrappolata in un barattolo, un
incendio spiato su un tetto –, storie di perfetti sconosciuti –
la quarantenne Reiko, il mio personaggio preferito, un’insegnante
di pianoforte con un mignolo che non le obbedisce e una scandalosa
relazione omosessuale con una studentessa tredicenne che ha mandato
all’aria il suo matrimonio –, baci dati o promessi qui e lì.
Diventerò
adulto. Devo farlo. Finora ho sempre pensato che avrei voluto
oscillare in eterno tra i diciassette e i diciott’anni, ma adesso
non lo penso più. Non sono più un ragazzo. Comincio a sentire le
responsabilità. Io non sono più quello che tu hai conosciuto. Ho
vent’anni ormai. E devo pagare il prezzo per continuare a vivere.
Seguendolo
nel suo cammino, impossibile nasconderlo, a tratti ho provato una
certa insofferenza. Forse, un po’ di noia. Sono un lettore
semplice: mi piacciono storie con inizio, svolgimento e fine. Sono un
lettore appassionato, a cui piacciono le scritture di cuore.
Norwegian Wood è frammentario e ondivago: una reminescenza retta
dalla stessa struttura ballerina dei flussi di coscienza. A tratti, è
distaccato proprio come immaginavo. Ha troppe pagine; soprattutto
troppi suicidi. Ma, a mente fredda, ho collegato la confusione di
libri, dischi dei Beatles, biglietti del cinema, bottiglie di whisky
e cicche di Marlboro come fossero puntini da unire. E in questo
disegno astratto, un collage di intimità spaiate e voci
problematiche, ho imparato a scorgere lo spaccato generazionale di un
Giappone al passo coi tempi e il profilo di personaggi spesso
sgradevoli ma comunque memorabili. Nel finale, bellissimo, la
lettura ha lasciato per fortuna un’eco significativa e l’ombra di
un sorriso dolce-amaro. Come una canzone a me finora non nota del
leggendario quartetto londinese, meno cantabile di altre perché
senza un ritornello orecchiabile, che pagando pegno a Reiko chiediamo
venga suonata ancora e ancora per commuoverci insieme sulle note di
coloro che «capivano tutta la tristezza e la dolcezza di vivere».
Sayonara.
Sayonara.
Il
mio voto: ★★★★
Il
mio consiglio musicale: The Beatles – Norwegian Wood
Sono davvero felice di leggere che ti è piaciuto! Approcciarsi a questo autore con Norwegian wood, non nascondo, è un'impresa. Nel mio caso, è stato Kafka sulla spiaggia a colpirmi. A dire il vero, a farmi innamorare di questo autore... Se Murakami ti ha lasciato qualcosa dentro, come dici, ti consiglio di non demordere; sono certa che saprà conquistarti con altre sue opere 😊😊
RispondiEliminaPasserò presto a Kafka sulla spiaggia, spero. :)
EliminaMi attraggono non poco gli scrittori giapponesi; non ho letto chissà cosa di Murakami ma in casa ho KAFKA SULLA SPIAGGIA e prima o poi mi ci tufferò ^_^
RispondiEliminaFaccio parte della schiera di coloro che hannpo sentito parlare strabene di Norwegian Wood...!
Non l'ho amato alla follia, no, ma una lettura da fare.
EliminaA me ha un po' deluso lo dico tranquillamente, ho trovato i protagonisti troppo indolenti, capisco che le differenze caratteriali e culturali dei giovani giapponesi vadano compresi e analizzati, ma a me mi ha tediato un bel po', ma d'altronde a me non piace nemmeno Il Giovane Holden, a cui il romanzo chiaramente si ispira.
RispondiEliminaNon so se avrò mai la forza di leggere altro di Murakami.
Alcune frasi del romanzo però le ho trovato bellissime e liriche, da un punto di vista delle scrittura del testo è delicato e bellissimo.
Il giovane Holden però l'ho trovato francamente illeggibile. Questo, invece, ha una scrittura così pulita che, che piaccia o meno, non pesa mai.
EliminaDi Murakami ho letto "1Q84" e mi è piaciuto attraversare con passo lieve il confine tra sogno e verità che, per lo scrittore, è sempre molto sottile. Nel romanzo che hai recensito, con travolgente passione, mi sembra di scorgere un lato malinconico e nostalgico come un'ancora che lo lega alla solida realtà. Mi piacerebbe leggerlo :)
RispondiEliminaQuesto è un Murakami atipico, lontano dalle visioni e dalle stranezze degli altri romanzi.
EliminaHo scelto di partire da qui, attratto maggiormente dai toni realisti, e non ho fatto male. :)
Il film mi era sembrato un discreto mattonazzo, senza capo né coda, quindi non m'ha certo invogliato a recuperare il romanzo.
RispondiEliminaMa mi sa che era uno di quei libri che era meglio non portare al cinema...
Oggettivamente non succede niente, come trarne un film?
EliminaNon lo vedrò mai... già la lettura non è stata statascorrevolissima!
Letto venti anni fa (come vola il tempo) e amato tantissimo. Forse dovrei valutare una rilettura. Lea
RispondiEliminaPotrebbe essere interessante. In fondo, anche il protagonista adulto racconta vicende di vent'anni prima. :)
EliminaLetto secoli fa, l'avevo adorato.
RispondiEliminaIo l'ho letto giusto in tempo, venticinquenne, quindi appena fuori target, però a tratti mi ci sono riconosciuto parecchio.
EliminaPeccato che, da bravo terrone, amo stili più sanguigni e non la compostezza orientale. 😅
Di Murakami lessi solo 1Q84, da molti ritenuto uno dei suoi più brutti. Infatti non mi ha convinto, specie nella terza parte. Ma le prime due… mamma mia! Quando funziona, funziona.
RispondiEliminaSono curioso, infatti, di conoscere un Murakami più articolato. Qui la trama latita.
EliminaStessa delusione anche per me: troppi suicidi, uno stile davvero troppo piatto e un protagonista con cui ho faticato ad andare avanti. Insomma, il Murakami sbagliato con cui iniziare e con cui far partire il mio Lunedì Leggo...
RispondiEliminaLe quattro stelle sono più per l'impressione che è un romanzo che mi starà addosso che per il piacere della lettura, a tratti frustrante e ripetitiva. Spero di non aver fatto un errore di valutazione a priori. :)
EliminaMurakami mi manca non so perché ma ho paura sempre di annoiarmi anche se leggo solo pareri positivi..
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