Lei,
ribelle ma vulnerabile, cerca di superare la
morte della sorella. Lui, schizofrenico, è
chiamato a testimoniare il falso in tribunale per salvaguardare la
reputazione della stessa famiglia che lo ha ripudiato, mentre
tutt'intorno crede di scorgere i segni di un complotto da
sventare. Come i protagonisti strampalati di un boy
meets girl del Sundance, si scopriranno complici in un contesto
dei più particolari: la sperimentazione di un nuovo farmaco per
elaborare e combattere, fase dopo fase, il malessere che li accomuna.
Siamo in un futuro minimalista alla Spike Jonze, con gli uffici
arredati come in quegli anni Ottanta tornati noiosamente in voga e
un'intelligenza artificiale dai desideri di donna che, ammalatasi un
giorno di malinconia, s'impunta per sabotare i piani di Justin
Theroux, scienziato sopra le righe con questioni irrisolte con mamma
Sally Field – adorabile al solito, è sempre lei a prestare la voce
a un processore che fa i conti con i lati
oscuri del lutto. Ma se i farmaci sperimentali prevedono la
somministrazione delle pillole di Matrix, per
le cavie si spalancano scenari inimmaginabili soltanto in teoria –
vedasi i sogni a occhi aperti di Gondry e Nolan, o perfino i viaggi
tra generi cinematografici di un Capatonda in cerca d'autore. I
protagonisti a volte sono due coniugi che salvano un roditore
dall'essere ridotto in pelliccia, e a volte ladri imbucati a una
seduta spiritica dei ruggenti anni Venti; alcune elfi mitici verso un
lago miracoloso, altre membri di clan mafiosi in cui il sangue è
legge; infine, agenti segreti allo scoppio di
un'invasione aliena. Nei loro sogni fanno coppia, anche se non
dovrebbero; salvano l'universo, salvando frattanto loro stessi.
Un'affinità dettata dal fato o dai piani alternativi di un
processore irascibile? Qual è la costante, caos a parte, delle danze
da un'esistenza all'altra? A spiegarcelo è Maniac,
la serie più attesa dell'anno accanto al già deludente Sharp Objects: commedia terapeutica
che di folle, di nuovo, in realtà ha solo qualche nome vincente nel
cast. A ben vedere, tolta la confusione degli episodi introduttivi,
l'originalità manca. Manca la sostanza, da me preferita alla forma.
Manca il cuore, a cui in fase di sceneggiatura si è preferito il
cervello. Tanto rumore per nulla? Se non per nulla, comunque
per poco. E quel poco lo si deve ai toni da commedia indie, alle
citazioni mai rinfrescate a dovere, ai piani sequenza di Cary
Fukunaga pasticciati stavolta
con lo splatter e la computer grafica. Alle smorfie di Emma Stone, a
tratti bella e a tratti bruttissima, a tratti troppa;
alla bravura di quello sottovalutato del duo, Jonah Hill, che sembra
tristissimo anche quando su di giri. Sarà per questo che si storce
il naso, in una chiusa che altrimenti avrei adorato: davanti alla
banalità di una risposta – indovinate, coraggio, meglio l'illusione o la
vita reale? – che cozza contro la fittizia autorialità del
progetto. I motivi che mi hanno reso la visione insospettabilmente
leggera e godibile, insomma, sono gli stessi che non hanno elevato la
serie in mezzo a un garbuglio di storie già lette, di esperienze già
fatte, di film già amati. Maniac non
è all'altezza di voci di corridoio che ce lo raccontavano geniale.
Piace, a modo suo, ma non da impazzire. (6,5)
Ho
calcato per la prima volta i red carpet di Holliwoo lo scorso anno,
con un ritardo affatto elegante che mi aveva regalato però la gioia
di quattro stagioni consecutive. Questa volta senza corsia
preferenziale, mi è toccato aspettare i comodi di Netflix, dei rehab
e delle star che amano tardare: mettermi in fila. Ne è valsa la
pena, anche se eccezionalmente qualche difetto l'ho scorto. Provato
dalle aspettative troppo alte io, oppure nel torto loro, con una
Hollyhock assente ingiustificata, un Todd dalle parentesi comiche
quanto mai stonate, un ennesimo dramma – quello della dipendenza da
farmaci – non percepito come tale prima del nono episodio, in cui
tutto si fa serio all'improvviso? Fatto sta che un anno è passato, e
che BoJack Horseman resta lo
specchio perfetto della nostra epoca; il riflesso di idiosincrasie e
nevrosi tutte contemporanee, che spesso sfociano nella patologia.
Guardane una stagione, infatti, e grazie a sceneggiatori sempre sul
pezzo ricorderai cos'è successo intanto intorno a noi, quel che
abbiamo letto o visto, di cosa ci siamo rimproverati con acredine
guardandoci allo specchio nei giorni no. Ecco gli scandali sessuali,
un femminismo da salotto televisivo, tentati abbordaggi che nell'era
del metoo non passano
inosservati, dipendenze che chiedono un tornaconto personale a suon
di vomito a fiotti o scatti di ira. Diane – e questa è la sua
stagione, inutile cercare altri vincitori morali – torna pensierosa
e divorziata da un viaggio in Vietnam; Princess Carolyn, qui
sottotono, vuole adottare un bambino e vivere da single; Mr.
Peanutbutter perfeziona invano le pose da duro e fa un bilancio
agrodolce dei propri fallimenti sentimentali. Dopo il mancato Oscar e
la mancata paternità, ad aspettare BoJack ci sono invece un giallo a
puntate e una sentita lezione di autocritica: non basta rimuginare
notte e giorno, scavarsi dentro, per mettersi in salvo dalla
depressione. I protagonisti sono dunque chi ancora in cerca, chi in
pace. Hanno abbandonato il bivio a cui erano fermi da quattro
stagioni a questa parte. Ma non per questo sono più realizzati, più
coraggiosi, migliori. Raramente insieme, hanno trame appena accennate
e, immersi quanto mai in una forte dimensione metatelevisiva,
rischiano di far scomparire il loro privato, e perfino la realtà
stessa – ma cos'è poi, se non l'ennesima finzione cinematografica?
Questa volta si preferisce procedere per salti temporali, rivangare
il passato, mostrare i primi incontri-scontri e le origini della loro
tristezza. Sempre un gioiello di scrittura, impegnatissima ma un po'
incostante nella pianificazione, l'inossidabile serie animata si
cimenta con altri impeccabili esercizi di stile, spesso al limite
dello sperimentale, che trovano facilmente terreno fertile da queste
parti – viva i soliloqui teatrali, viva gli incastri audaci –,
ma a questo giro non strappano il cuore. Accendete: c'è
l'esistenza in onda. La pubblicità dice di chiedere aiuto a terzi,
in caso di bisogno, e i fantasmi sussurrano dalle tombe che il
segreto per vivere felici è essere visti. Magari in bingewatching? (7,5)
Concordo su Maniac: molta forma e poca sostanza; 6½ è anche troppo. Dopo le vette sublimi di True Detective, un Fukunaga deludente.
RispondiEliminaPer me, data l'ottima foggia, resta comunque ampiamente sufficiente. Peccato gli manchi una personalità (stilistica e non solo). Provaci ancora, Fukunaga. Magari direttamente con il nuovo Bond?
EliminaLa stagione 5 di Bojack l'ho trovata di altissimo livello e superiore, leggermente, alle altre. L'assenza di Hollyhock l'ho trovata paradossalmente positiva, perché è un personaggio che può essere al centro di diverse puntate nella stagione n.6. Todd è più defilato rispetto alle prime serie, ma la parte di Harry Affonda l'ho trovata esilarante, commovente nell'ultimo saluto che Todd fa al suo robot.
RispondiEliminaPoi c'è molta Diane, che dopo il protagonista è il mio personaggio preferito :)
Ti dirò, Diane io l'ho sempre trovata antipaticissima. Sarà perché più umana, sarà perché più spina nel fianco rispetto agli altri personaggi. Questa stagione è stata la sua rivincita: asfalta tutti per maturità e consapevolezza acquisite. Il resto per me, ma anche per il mio coinquilino che è stato il primo a consigliarmelo e a sostenerlo, è un po' sottotono, meno struggente del solito, ma per fortuna la qualità brilla più delle stelle di Holliwoo. ;)
EliminaCome detto ieri, pensavo davvero che Maniac ti entusiasmasse di più, peccato.
RispondiEliminaMi rendo conto che in questo autunno particolarmente "blue" per me, queste due serie sono riuscite a parlarmi in modo diretto, e anche per questo mi han colpito così tanto, come scrivi bene: c'è l'esistenza in onda :)
Felice che ti abbiano sostenuta nel tuo autunno "blue", sperando che passi presto. :)
EliminaIo lo sapevo che non dovevo passare da te... Ora mi tocca aggiungere assolutamente anche queste due serie alla mia già interminabile lista di cose da vedere ahahah.
RispondiEliminaCiaooo :-*
Fammi sapere come le trovi. ;)
EliminaManiac ce l'ho in lista, nel frattempo sto guardando la quinta stagione di Bojack Horseman e, per gli episodi che ho visto, rischia di essere la mia preferita, la migliore di tutte. E come tutte le altre stagioni ha abbassato di una tacca la mia voglia di vivere.
RispondiEliminaFelice che piaccia, allora, e che deprima al solito.
EliminaQuest'anno, però, non mi ha convinto in toto. Non so perché.
in visione Maniac ma già concordo con te..vediamo se nel finale si riprende un pochettino..
RispondiEliminaPenso che saremo d'accordo fino alla fine, purtroppo per Maniac.
EliminaQuest'anno le serie belle non riesci proprio ad apprezzarle, vero?
RispondiEliminaSei stato per caso sottoposto a una cura Ford? XD
La cosa peggiore di Maniac per me sono gli episodi introduttivi, poi la serie esplode in tutta la sua originalità, come un The Generi all'ennesima potenza, che non si limita alla parodia dei generi cinematografici, ma la usa per scavare dentro la mente dei personaggi. Proprio come faceva Sharp Objects con la sua protagonista, con la "scusa" del caso thriller. E la sostanza e il cuore per me sono ben presenti, forse persino più che in Gondry e di sicuro più che in Nolan.
BoJack quest'anno è andato avanti anch'esso pure in modalità Maniac, al confine tra realtà e fantasia, tra sanità e follia, ma evidentemente il tema in questo momento non ti entusiasma proprio...
Sarà il tema, forse.
EliminaO sarà che, data l'autorialità dei progetti, la loro spocchia, mi aspetterei risoluzioni meno banali.
Siamo già a ottobre e il non apprezzare le annunciate serie dell'anno, credimi, mi dà ansie. Nel listone cosa ci metto?!
bisogna saper distinguere la sceneggiatura dalla regia. In tre Detective, Fukunaga è solo regista in Maniac è anche sceneggiature. Quindi le due cose non si posso mettere a confronto
RispondiEliminaQui, come ho appunto scritto, poco mi ha convinto in entrambe le vesti.
Elimina