Un
altro Young Adult sceglie il grande schermo. Questa volta,
però, tocca a una storia che qualche anno fa avevo
consigliato in lungo e in largo: Ogni giorno, diventato un
piccolo film da un momento all'altro, in sala trova il regista
della Memoria del cuore e l'autore di Quel fantastico
peggior anno della mia vita. Nonostante l'affidabilità dei nomi
coinvolti e un cast freschissimo, l'impresa era difficile se non
impossibile. A conti fatti, non è stata persa in
partenza. Scoprire al suono della sveglia di essersi svegliati in un
corpo diverso: spunto abusatissimo. Ogni giorno, eppure, fa
eccezione. Perché A. è un'anima antica
che si sveglia ogni giorno, appunto, in un corpo estraneo. Qualche
male intenzionato parla di lui come di uno spirito demoniaco, ma il protagonista non ha cattive intenzioni. Soltanto tanta voglia di restare, quando osa innamorarsi di Rhiannon, diciassettenne con due genitori in crisi e
un fidanzato che la dà per scontata. All'inizio è arduo credere
alle parole di uno sconosciuto che a volte è il ragazzo
dell'armadietto accanto, altre un'aspirante suicida; a volte un
orientale obeso, altre un'adolescente transessuale; alcune maschio, altre
femmina. Quanto è difficile, infatti, andare oltre il guscio esterno
per ricordarsi che lì sotto c'è chi ci ha regalato momenti
perfetti? Quando è difficile pensare un dramma sentimentale in cui
il protagonista cambia faccia a ogni stacco di montaggio? Sucsy e la sua squadra di attori – segnaliamo Lucas Zumann da 20th Century Women – ci provano, prediligendo la prospettiva
del personaggio femminile e facendo una cernita doverosa delle infinite storie
di A. Ne viene fuori una produzione forse non all'altezza dello spunto
vincente, ma d'impatto. Il film sceglie la via
più onesta. Non strappa lacrime con furberia, non si concede effetti
speciali o una chiusa meno agrodolce, e ci ricorda con delicatezza il
suo messaggio. Da dove nasce l'attrazione? Dalle tracce dei
vecchi innamorati che ricerchiamo nelle fotografie, negli hashtag,
nel gesto di riavviare una ciocca di capelli. Come ti rapporteresti
con il prossimo, se l'empatia fatta sostanza ti avesse fatto
soggiornare per un po' nella sua esistenza? Considerando tutto il
mondo casa, ribadisce David Levithan, e l'amore un'esperienza
trasversale. (6,5)
Ha
promesso di aspettarla al traguardo. Voleva farsi perdonare
le mancanze, i ritardi. Sostenerla con un cartellone impiastricciato alla maratona di Boston. Fra i due è tutto un tira
e molla. Colpa di lui, che non è pronto a crescere, a impegnarsi, ad
abbandonare il pollaio. Perciò Erin corre e Jeff, che non sta mai
fermo, che si sbraccia e si sgola come un bambino cresciuto, la
aspetta come prova di fiducia. Un'esplosione. Il fumo. La caccia
istantanea agli attentatori. Jeff li ha visti e sopravvive: può
denunciare. Jeff si sveglia nel sangue e non ha più gli arti
inferiori: tranciati di netto sotto il ginocchio. Stronger,
ritorno al cinema e alla serietà di David Gordon Green, ne racconta
la caduta e la risalita. Biografia di un uomo e di un Paese –
patriottica alla Eastwood maniera, ma piuttosto onesta; commovente ma lieve –, restituisce la verità, l'energia, gli sbagli, a un
trentenne trasformato dai media in simbolo istantaneo. Uscito
dall'ospedale, il protagonista ha le telecamere sbattute in faccia:
due occhi che dicono tanto, un sorriso tirato, il pollice all'insù.
L'America, come lui, è forte. Non viene vinta, non si arrende.
Spente le luci, il ragazzo era soltanto un sopravvissuto bocconi, che
reclamava il suo spazio per soffrire e guarire. Il bambinone
irrequieto dell'inizio, a cui toccava dipendere dalla pietà degli
altri; a cui toccava dare l'esempio che non era in grado di offrire.
Un Gyllenhaal straordinario si strugge in solitudine, si ubriaca coi
compagni di merende, si trascina nella polvere per scongiurare
Tatiana Maslany – stanca delle sue continue bizze, di mamma Richardson che deve metter sempre bocca –, e infine si rialza. Lui,
molto meglio di un ritratto a modo, godibile, a cui
manca la spinta decisiva. Per imporsi presso un Academy che non
troppo a sorpresa l'ha ignorato, e all'inizio ci si chiedeva il
perché. Per metterci in ginocchio
con la sua tragedia, e poi tenderci la mano. (6,5)
La
storia di un amore omosessuale tra le nebbie dello Yorkshire. Si parla di braccianti e
mandriani, di bestie da far nascere o
macellare, e la cupezza delle atmosfere e l'alta quota richiamano
subito Brokeback Mountain. Si parla di
giovani uomini sporchi, incolti, laconici, agli antipodi rispetto
agli innamorati elitari di Chiamami col tuo nome. Lassù ci si
capisce con il linguaggio dei gesti, o così sembra. Sullo sfondo di
paesaggi mozzafiato, la regia spartana
dell'inglese Francis Lee – vincitore a sorpresa agli scorsi
Satellite Awards accanto a Tre manifesti a Ebbing, Missouri –
segue la routine di due personaggi ridotti all'osso, che passano dal
reciproco fastidio all'attrazione senza quasi bisogno di parlarsi. Lo
scapestrato Josh O'Connor e il solerte Alec Secareanu si
trovano a collaborare fianco a fianco per mandare avanti l'azienda
agricola del primo: nonna Gemma Jones che sa tutto ma non dice, un
padre disabile in fondo interessato alla felicità
dell'unico figlio, la difficoltà immane di farsi andar bene una vita imposta da qualcun altro. Quella terra non
può domarla nessuno, se non il Padreterno.
Il piccolo God's Own Country, approdato anche in
qualche coraggioso cinema italiano con il titolo La terra di Dio,
è un'educazione alla natura e ai sentimenti. I corpi pelosi, nudi,
che nell'unica scena di sesso si limitano a toccarsi. I
parenti che tacitamente acconsentono. Una discrezione scambiata per
indifferenza soltanto in principio: non ci si chiede scusa, lì, e
non si dice né grazie né prego. Manca loro, purtroppo, la
testardaggine che una fattoria da mandare avanti e una relazione
sentimentale inevitabilmente presuppongono; non di certo la tenerezza che
non ti aspetteresti, benché agli agnelli e agli amanti si riservino le stesse cure spicce. God's Own Country è
lento, crudo, secco. Sarà per questo che sorprende in punta di piedi
quell'intensità finale, quel trasporto emotivo fortissimo, in un
melodramma bucolico per il resto pieno di spifferi e
violenza. Il lieto fine, raro e meritato dopo una giovinezza di
compromessi e sacrifici. I colpi di testa e di cuore, i sorrisi
stentati, in terre a picco in cui gli innamorati fan da padroni,
andandosene via, infine, perfino il Creatore. (7)
Nella cornice dell'Olanda seicentesca, una serva impertinente
– Holliday Grainger, innamorata del pescatore Jack O'Connell – racconta con un
inglese perfetto la corsa all'oro, anzi ai tulipani, e le sfortune
della famiglia Sandvoort. Lei moglie bambina, lui scafato mercante,
in attesa di un erede o di una tentazione da cogliere: a strappare
una Vikander bellissima e annoiata dal cupo castello di Waltz, cattivo al solito ma con qualche sfumatura in più,
arriva così il pittore di un anonimo DeHaan. La loro passione
clandestina: fragile quanto quei fiori di cui qualcuno vive e
qualcuno muore. Tulip Fever si
poggia sull'intrigo, sull'inganno, sul malinteso. Dramma della
gelosia e della sorte, ha un clima ben
reso – la regia moderna e il montaggio concitato suggeriscono il
fervore, il respiro affannoso della corsa e del sesso – ma
svolte macchinose e dialoghi a tratti ridicoli. Se non fosse per la scarsa fretta
nel trovargli una distribuzione in Italia e per la fredda
accoglienza, se non fosse per il romanzo piacevole e poco più alla
base, sarebbe stato lecito nutrire alte aspettative. Con quel ricco
cast, tra protagonisti e figuranti (ci sono anche la badessa Dench, il giullare Galifianakis e la prostituta Delevingne). Con
quell'aria giusta, a scatola chiusa, da film assai caro all'Academy.
Ma, guardando il bicchiere mezzo pieno, l'ultimo film di Chatwin
poteva risultare altresì noioso, pesante, ingessato. Leggero e
sensuale, dai ritmi vorticosi e caotici, Tulip
Fever è invece una visione che si
affronta con leggerezza e con altrettanta leggerezza si dimentica.
Una febbre lunga un pomeriggio appena, con i sintomi di una sfarzosa
mise-en-scène, di un
inutile impiego di nomi e mezzi, di una bellezza formale (nei
costumi, nei luoghi, nei nudi) che a malincuore subito sfiorisce. (5,5)
Come ambientazioni Tulip Fever mi incuriosisce e poi Alicia mi piace molto.
RispondiEliminaAnche every day solletica il mio interesse, però il libro non l'ho letto :)
Alicia è sempre, sempre un bel vedere. Il resto, purtroppo, così così.
EliminaGli ultimi due non li conoscevo mentre devo andare a vedere i primi.
RispondiEliminaDa Ogni giorno non mi aspetto molto, anche il libro mi era piaciuto ma con dei ma.
Buone letture e buoni film!
Aspettati il giusto, diciamo così. Mi fa comunque piacere constatare che qualche collega blogger (non lettore) sia comunque rimasto colpitissimo dalla bellezza del messaggio. Per fortuna, appunto, inalterato.
EliminaAspettative da ridimensionare un po', invece, per Stronger: ho pianto come un vitello, per carità, ma è l'americanata che a tratti si temeva.
Speravo che 'Ogni giorno' ti avesse entusiasmato un pelino di più!
RispondiEliminaTra l'altro io non avevo capito fosse tratto dal libro di Levithan *faccia sconvolta
Ahahahah, ma come? Pur non incrociando il trailer alla TV, la frase promozionale sul poster parla chiaro. :)
EliminaStronger e La Terra di Dio devo vederli assolutamente, spero di riuscire a farlo in lingua originale!
RispondiEliminaRiesci facile, Gaia. Visti sottotitolati entrambi. ;)
EliminaOgni giorno come sai mi ha piacevolmente conquistata. Mi mancano invece gli altri, con Stronger in prossima visione, La terra di Dio in attesa di essere trovato (nemmeno al cinema estivo lo danno) e quel Tulip Fever che... mah... continua ad ispirare pochissima fiducia.
RispondiEliminaTulip Fever, nonostante il cast di belli e bravi, è l'unico saltabile. Gli altri, tra un Gyllenhaal bravissimo (ma una trama troppo fordiana) e un regista pare rivelazione, sono comunque un bel vedere. Soprattutto data la penuria estiva.
EliminaA parte il primo, mi interessano tutti. Soprattutto Stronger :)
RispondiEliminaSul primo sbagli, invece...
EliminaVedi Lisa, che si è ricreduta strada (anzi, visione) facendo? :)
Ogni giorno piuttosto sorprendente. Si muove a metà strada tra il solito young adult romantico e i film sulla ripetizione in stile Ricomincio da capo con una certa originalità che non mi aspettavo. Bene!
RispondiEliminaStronger tutto l'opposto: una storia vera raccontata in maniera molto prevedibile e Jake, pur bravissimo, mi ha convinto meno rispetto al solito. Forse il film peggiore della sua carriera, di certo il più ruffiano. Delusione . :(
Il Brokeback Mountain britannico mi spaventa un po' per l'ambientazione bucolica, che in genere mi fa sbadigliare istantaneamente. :)
Tulip Fever non mi è dispiaciuto. Dramma in costume ben poco indimenticabile, però il fatto che come dici sia leggero e sensuale mi ha stupito in positivo non poco, considerato il genere, quindi per me è promosso.
Ruffiano sì, ma addirittura il peggiore. Non scordiamoci Prince of Persia, la commedia di O'Russell ecc... ecc...
Eliminai primi due non vedo letteralmente l'ora di vederli... non ricordo nemmeno più da quando non vado al cinema uffa...
RispondiEliminaSpero ti rifarai presto. ;)
EliminaIo ho apprezzato tanto Jake in Stronger (sì, sono la sua fan sempre più accanita), ma ammetto che la sua interpretazione ma, soprattutto il film, non è il migliore! Comunque mi aspettavo qualche considerazione in più dagli awards che lo snobba un po' troppo spesso!
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