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Le confessioni di Frannie Langton, di Sara Collins. Einaudi, €
22, pp. 425 |
Puttana,
negra, omicida. Il cielo inglese si è spalancato per riversare
insulti e pioggia sporca sul capo di Frannie Langton. In un
raptus delirate, la giovane avrebbe ucciso i suoi
padroni. Perciò venghino, signori, venghino! Se tutto va male, la
sua impiccagione sarà un irresistibile spettacolo di morte! In
attesa che l'ingiustizia faccia il proprio
corso, l’imputata si racconta. Una confessione fluviale, laica, che
ripercorre le tribolazioni della sua esistenza dall’inizio alla
fine. Si rivolge a un tu specifico, l’avvocato d’ufficio, ma
è soprattutto il lettore a prestarle attenzione durante una lettura
bellissima e tormentata, rocambolesca come un classico del genere gotico, al
termine della quale saremmo disposti a controbattere a spada tratta
alle accuse. Giurando sul buon cuore di Frannie, certo… Ma sulla
sua innocenza?
La protagonista, agli occhi del giudice, ha commesso un triplice crimine: è femmina, è di colore, è
omosessuale. L’omicidio, nella Londra del tardo Ottocento, sembra
essere insomma una macchia incidentale su un curriculum già sporco.
E Frannie – sfrontata, moderna, con le mani insanguinate e
un’accentuata vena sadomasochistica – non fa nulla per smentire
le malelingue.
Sono
un enigma. Si aspettavano tutti una sorniona africana. O un’umile
domestica. Una puttana mulatta. La Negra Assassina. Quale di queste
incarnazioni mi salverà?
Con
lucida coerenza, racconta che ci sono crimini e crimine; gabbie e
gabbie. Giovanissima, è passata da una prigione di ferro a una
dorata. Nata in una colonia giamaicana, è stata ceduta da un padrone
all’altro in un braccio di ferro tra nobiluomini noti per ingegno e
crudeltà: tanto il signor Langton quanto Benham, infatti, sono
naturalisti al centro di esperimenti disumani. Nei loro libri si
interrogano sull’origine delle differenze etniche, su ruoli di
potere connaturati nel DNA, sulla necessità della schiavitù – e
ottengono risposte ora con i servigi dei cacciatori di teschi, ora
con la vivisezione, ora con accoppiamenti programmati. Frannie, suo malgrado, è testimone dei
misfatti di entrambi. Dotata di un’abilità rara per l’epoca –
sa leggere e scrivere –, fa la scrivana prima di essere condotta a Londra come dama di
compagnia della moglie di Benham. Annoiata, eccentrica e affascinante, Marguerite ha molto in comune con la
protagonista: anche lei straniera, anche lei prigioniera di una relazione di facciata, si mescola volentieri ai
dipendenti; balla e canta nelle cucine; ma è vittima di una malinconia che la spinge a imbottirsi di laudano
per trovare pace. Perché Frannie avrebbe dovuta ucciderla, se si sono amate segretamente e appassionatamente? Gli indizi la
inchiodano: una lite accesa, una boccetta
di arsenico, un misterioso barattolo di formalina.
Alla luce di una candela, come una novella
Moll Flanders, la giovane svela gli antefatti della vicenda. A
metà tra il thriller giudiziario e il romanzo storico, la sua
divulgazione ne ribadisce l’indole ferina; gli incarichi singolari, in una casa in cui c’erano
disparità anche fra i membri della servitù; l’ignoranza di una
Londra dickensiana, malsicura come un cantiere a cielo aperto, dove
il circo in città faceva meno notizia dello sbarco di una
giamaicana troppo sveglia.
Gli
altri mi fanno sempre la stessa domanda, chiedendosi come potevo
essere tanto affascinata dai romanzi in simili circostanze. Mi
biasimano per ciò che ho letto, credo, più di quanto mi
compatiscano per ciò che ho sofferto. Dal loro punto di vista, un
romanzo è un’eresia: un uomo che crea altri uomini senza bisogno
di Dio. Ma come facevo a non leggere? Ho sempre voglia di ribattere.
Come sarei riuscita a sopravvivere altrimenti? Tu cos’avresti
fatto, seduto in una stanza buia e chiusa a chiave, se qualcuno ti
avesse portato una candela accesa?
Forte
di un impatto emotivo garantito, il mirabolante esordio di Sara
Collins non si adagia sui pregi di una storia
innegabilmente potente, ma mette al centro della narrazione un’eroina
indimenticabile, resa sin nelle pieghe più oscure grazie a una
scrittura che brilla di luce propria, ornata parimenti del rosso
delle rose e del sangue. Sontuoso e incalzante, in Le confessioni di Frannie Langton si avvicendano pagine liriche e
atti processuali in piena regola, scene saffiche e particolari
scabrosi; stralci di trattati, perfino, in cui la voce
narrante si scaglia contro schiavisti e abolizionisti.
Frannie non vuole né essere abusata, né compatita.
Preferisce salvarsi da sola, davanti all’inadeguatezza delle
scienze investigative. C’è una sottile differenza tra essere innocenti e essere incolpevoli. Frannie potrebbe avere
l’assoluzione, o soltanto la nostra indulgenza? Il verdetto,
fino all’ultimo, sguiscia via dalle dita come pelle di serpente.
Eccola sollevarsi dal banco degli imputati, infine. Tutta orecchi. Né
nera né bianca: la sua pelle, così come la sua verità.
Il
mio voto: ★★★★
Il
mio consiglio musicale: Tosca – Ho amato tutto
Come sai, lo ho in lettura in questi giorni. Sono ancora a un quarto di libro, ma concordo sul tuo commento ☺️☺️☺️
RispondiEliminaVedrai la fine. Le ultime pagine sono splendide.
EliminaHiiiiiiiiiii
RispondiEliminaSegno, segno, segno!! Ciao 😁
Amerai!
EliminaSuper affascinanti...libro e recensione. Devo ancora riprendermi dal romanzo La strada della Petry, ma lo metto in lista.
RispondiEliminaCiao da Lea
Non conosco La strada: indago!
EliminaNon conoscevo, mi sa di... "libro bello"!!
RispondiEliminaMeglio, "bellissimo". ❤️
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