[Attrice protagonista, Trucco e acconciatura] Anno
che vai, biopic che trovi. Cambia l’artista, sì, ma restano
drammi e problematiche. Un’infanzia oscura, i matrimoni
fallimentari, gli schiaffi e le carezze di un pubblico ingrato. Senza
grandi variazioni sul tema, vale anche per Judy Garland:
cantante e attrice che poco prima di spegnersi fu protagonista di
un’ultima vampa di furore nei teatri londinesi. Sul viale del
tramonto, lottava contro le dipendenze e l’ex marito. Ma nella sceneggiatura, questa volta, accanto
ad aneddoti e dietro le quinte non manca una critica feroce allo
star system: quant’è amara la vita dei bambini prodigio e quanto
sono spregevoli, invece, i produttori che ne rubano i sogni? Di dichiarato
impianto teatrale, il film non brilla soltanto per bravura della Zellweger, ma per la domanda che pone: dove finisce
l’arcobaleno? Al centro di un inatteso canto del cigno, Renée guida la visione grazie ai suoi sorrisi, alle sue lacrime e ai suoi
sguardi parlanti, attraverso un’interpretazione dolorosa che va
oltre il manierismo e arriva al cuore. All’inizio scettico – mi
distraevano infatti i suoi occhi sgranati, la bocca a papera, il
mascherone di make-up –, sono diventato un suo fan strada facendo:
dotata di una forte ironia e di una vocalità splendida, già
sfoggiata in Chicago, soltanto lei avrebbe potuto
interpretarla. Hanno aiutato una regia raffinata, che incornicia
i personaggi in piccoli e grandi quadri di solitudine; le canzoni
intramontabili, su tutte una struggente Somewhere over the
rainbow; costumi meritevoli di un plauso ben più del trucco,
capaci di cogliere appieno lo scintillio dei fragili anni Sessanta.
Più interessante nella prima parte a cavallo tra passato e presente,
il film si perde poi nella ricerca della scena a effetto o
dietro l’ennesima relazione sbagliata. Quando imbocca il sentiero
di mattoni giallo, però, crescono la commozione e la magia. Piove a
lungo su queste due ore di visione, ma il famoso arcobaleno non le si
nega poco prima dei titoli di coda. Judy morirà sei mesi dopo, ma
qui ha il suo lieto fine: è tornata in Kansas. (7)
[Attrice non protagonista] Continua
l’indagine dell’ottantanovenne Clint Eastwood nell’epica che
più gli sta a cuore: quella degli eroi americani della porta
accanto. Dopo American Sniper e Sully, storie vere con
protagonisti troppo ingombranti e un rigore per me eccessivo, il
regista torna a convincere benché in sordina. Richard, dolcissimo
trentenne appesantito dai chili e dalle preoccupazioni di troppo, è
un cocco di mamma goffo e fanfarone, genuinamente candido e
fiducioso, i cui sogni di gloria diventano purtroppo incubi.
Poliziotto mancato, si è accontentato dell’impiego di guardia di
sicurezza: durante un concerto negli anni Novanta, intercetta una bomba e salva
innumerevoli vite. Dipinto
negativamente dai giornalisti, torchiato a tappeto dall’FBI, il
protagonista – all’inizio eroe nazionale – diventa un nemico
pubblico sotto sospetto. Gli agenti federali frugano nell’immondizia,
nei cassetti della biancheria, nei Tupperware, tra i vizi privati e
le pubbliche virtù. La gogna mediatica, frustrante, sarà
alleggerita dalla presenza dello scoppiettante e agguerrito avvocato
di Sam Rockwell e dalla mamma chioccia Kathy Bates, a pezzi
davanti all’impossibilità di proteggere l’unico figlio
dall’assalto mediatico. A dispetto del mio disamore per i drammi
d’inchiesta, Richard Jewell si rivela più che semplice
cronaca, ma una parabola accorata e toccante, con un interprete così
sincero – Paul Walter Hauser, che rivelazione – da sembrare
capitato nella pagina sbagliata del giornale. Goffo e imperfetto,
dotato di senso dell’umorismo e pacatezza grandi, è una figura
umana e imperfetta verso cui scatta immediatamente un’empatia che
porta il film a emozionare informando. Ha vissuto, però, l’ennesima
ingiustizia: quella di essere misteriosamente sottovalutato dall'Academy. (7+)
[Attori, Sceneggiatura non originale] Il
primo è severo e contestatissimo: amante del pianoforte e della
solitudine, sta perdendo l’ispirazione. Il secondo, popolare e
benvoluto, apprezza il tango, il calcio e le belle donne: ha un
passato da viveur e in patria, ai tempi della dittatura, era
una figura tutt’altro che semplice. Sembrano due amici al bar –
la colonna sonora, per altro, passa gli Abba, i Beatles, Bella
ciao e Besame mucho –, ma li tradiscono l’abbigliamento
e il tenore della conversazione. Indossano la tonaca immacolata, infatti. Parlano di aborto, omosessualità, celibato e pedofilia. Sono
Benedetto XVI e Francesco, il vecchio e il nuovo, all’alba di un
avvenimento epocale: la rinuncia di Ratzinger, travolto dall'ennesimo scandalo. Amici-nemici, gli anziani si
confrontano anche sugli acciacchi e i dilemmi morali: il dialogo
diventerà una lunga confessione. E lo spettatore, incantato da
cotanta bravura, presterà gelosamente ascolto nonostante i flashback
superflui sulla giovinezza di Bergoglio che tradiscono qui e lì la
provenienza argentina del regista. Come sopperire a una fede che dà
conforto, non risate, se non grazie a un buddy movie lieve
come una sitcom? Sincero e disinformale, per questo bellissimo, I
due papi ha il pregio immenso di risultare leggerissimo pur
ragionando di massimi sistemi. Lo stesso potrei dire in fondo dei
suoi protagonisti, Hopkins e Pryce: quando c’è il talento, il
trucco c’è ma non si vede. E neanche la fatica. Lo dimostra Paolo
Sorrentino, lo ribadisce Fernando Meirelles: i papi portano bene a
televisione e cinema. Mentre in questi giorni The New Pope è ancora in onda su Sky, qui si brinda alla comparsa di un’altra fumata bianca. (7,5)
[Attore non protagonista] Quello
di Fred Rogers è un nome che non dirà niente agli spettatori
italiani. Idolo generazionale in odore di santità, con
addosso un golfino rosso rimasto nell’immaginario collettivo, era
l’anima – presentatore, burattinaio, confidente – di un
programma in cui parlare tra un siparietto e l’altro anche di
morte, divorzio e guerra. Il cantastorie si fa eccezionalmente da
parte qui, per raccontare la vicenda di un giornalista:
Lloyd Vogel, un uomo perseguitato da un’ombra scura – suo
padre – e dalla convinzione di essere un genitore fallimentare. Tra
intervistatore e intervistato, a telecamere spente, nascerà
un’amicizia poco canonica che influenzerà entrambi. Matthew Rhys,
pensoso e amareggiato, lavora per sottrazione nel suo dialogo con Tom
Hanks: pacato e dal sorriso sempre pronto, gioviale ma mai esagerato,
l’attore candidato ha un fare così gentile e accondiscendente da
risultare perfino irritante. Quali pesi porta però? Come sfoga la
frustrazione? Che padre è stato per i suoi figli? Con un ruolo
cucito su misura, che soltanto lui o Robin Williams avrebbero potuto
interpretare con la stessa naturalezza, Hanks è il (non) protagonista di
una commedia intergenerazionale meno convenzionale del previsto:
vedasi lo skyline di plastilina, i frequenti sguardi in camera, i
viaggi del protagonista in parentesi surreali alla Kidding.
Peccato per l’ultima mezz’ora all’insegna della riconciliazione
immancabile, molto più didascalica del resto, dove la narrazione si
fa tradizionale e le atmosfere, purtroppo, spiccatamente natalizie.
Restano la malinconia delle luci che si spengono e una nota stridente
al pianoforte, nella chiusura di una sigla tivù; un personaggio
criptico e aggraziato, che resta volutamente un mistero. Pur
presentando un programma per bambini. (6,5)
Per me Richard Jewell non va molto oltre la cronaca. Un fatto di cronaca sicuramente interessante, ma raccontato in stile troppo alla Clint Eastwood per quanto mi riguarda.
RispondiEliminaGli altri film mi sanno troppo di roba preconfezionata per gli Oscar, ma potrebbero anche sorpendermi. Magari Renée.
I due papi potrebbero annoiarmi quanto l'ultimo Sorrentino...
Ti assicuro, invece, che I due papi sono umani e spassosissimi. Secondo me, a sorpresa, ti conquisteranno. Pensa che, accanto a Parasite e Storia di un matrimonio, è il film che ho preferito di questa caccia all'Oscar.
EliminaQuello che attendo di vedere di più di questi quattro è Richard Jewell ;)
RispondiEliminaStranamente, nonostante non entusiasmi troppo in giro, a me ha convinto. ;)
EliminaSono molto curiosa di vedere Judy ☺️☺️☺️ ho la sensazione si rivelerà un gran bel film ☺️☺️
RispondiEliminaBiopic canonico, però non è un male. La Garland, tanto tribolata in vita, poverina, si meritava l'omaggio.
EliminaQuattro film diversi e interessanti, in particolare i primi due son quelli che vedrei volentieri!
RispondiEliminaBelle storie vere, sì!
EliminaChe i Papi siano finiti fra i tuoi favoriti ancora fatico a crederlo, non sono male, per carità, però ecco... meglio Jojo ;)
RispondiEliminaJudy e la sua Somewhere over the rainbow mi hanno ridotta in lacrime, chi se l'aspettava una Renée così, e adesso chi si tifa come miglior attrice?!
Unico mancante (nonostante qualche straniero introvabile) è proprio Tom Hanks, ho ancora qualche giorno per farcela!
Io continuerò a tifare per Scarlett, invano, ma se la spunta la Zellweger come previsto comunque non me ne lamenterò.
EliminaJojo dolcissimo, però mi è mancato l'effetto sorpresa. Con 1917, non parliamone.
Di questi quattro mi manca solo Richard Jewell.
RispondiEliminaJudy: Non capisco tutto l'entusiasmo sull'interpretazione della Zellwegger, sì brava, ma non proprio straordinaria. Il film poi a me non ha emozionato quasi mai, se non nella scena finale, che tra l'altro mi è sembrata tronca...
I due papi: piaciuto parecchio come sai, ho adorato i dialoghi e le interpretazioni dei due attori protagonisti. Si parla di religione, ma anche per una bestia di Seitan come me i temi trattati non sono stati per nulla pesanti.
Un amico straordinario: l'ho proprio appena finito, detto sinceramente mi ha annoiato come poche altre cose. Salvo giusto Tom Hanks e i brani della colonna sonora, che mi sono piaciuti parecchio.
Judy, nella sua classicità, è un biopic atipico perché più asciutto e teatrale. Secondo me, a suo rischio e pericolo.
EliminaHanks bravissimo e malinconico, ma il film insomma. Soprattutto dopo Copia originale, sempre della regista.
Judy non mi ha detto davvero nulla. Molto brava lei a cantare, ma come biopic è di una banalità sconcertante.
RispondiEliminaRichard Jewell mi ha emozionata ben di più e lo stesso vale per I due papi, soprattutto l'ultimo l'ho trovato meno convenzionale del previsto e mi sono molto divertita guardandolo.
Un amico straordinario lo sto guardando (beati voi che avete tutto sto tempo libero ç___ç) ed è uno dei film più interessanti visti in previsione per l'Oscar, anche se onestamente Mr. Rogers mi inquieta non poco!
Lo pensavo anche io, l'ho adorato fino a metà, ma quel finale da Canto di Natale, dai... Da carie!
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