Morto
un papa se ne fa un altro? E se finisce in coma, invece? All’indomani
dell’infarto del più bello dei pontefici, i fedeli sono riuniti in
preghiera. Risorgerà, si domandano, mentre il fanatismo raggiunge
picchi pericolosi e gli altoparlanti trasmettono i respiri del
dormiente? Le novizie, tutt’intorno, improvvisano danze ammiccanti
nella sigla già cult. Tocca correre ai ripari, e nel giro di poco si
succedono due sostituti: il primo, troppo ribelle, ha vita breve;
l’atro, abbastanza fragile da risultare manipolabile, sembra essere
perfetto. Il nuovo pontefice, affascinante e glorioso come John
Malkovich, ha un passato da punk, gli occhi bistrati di mascara e
contatti telefonici d’eccezione: Meghan gli chiede consigli
di moda alla cornetta; Manson e la Stone, in cameo esilaranti, sono
protagonisti di udienze con tutti i sacri crismi. Nonostante intrighi
e pericoli sparsi – lo sciopero delle suore, lo scandalo pedofilia,
i matrimoni omosessuali, il terrorismo e l’immigrazione –, le
attese erano per il ritorno di Lennie. Ci vorrà più del previsto,
però, per vederlo avanzare dalle acque con un Speedo bianco a metà
tra un modello d’intimo e una divinità marina. Non aspettatevi una
lotta all’ultimo sangue. Non aspettatevi
un Law protagonista: fino al sesto
episodio giace in un letto immacolato, nella venerazione delle masse,
e per via del carisma del collega non se ne sente nemmeno grande
mancanza. Sempre d’altissimo livello, ma più pasticciata del
previsto, la serie di Sorrentino ha questa volta intenti meno a
fuoco. E affastella sottotrame, argomenti, scene madri – spiegatemi
il senso, per favore, del personaggio della Sagnier – per poi
tirare rapidamente le fila nei titoli di coda del nono episodio. The
New Pope si prende i suoi tempi, si concede sequenze folli e
ritmi lenti, ma gli episodi – il primo e il settimo sono i migliori
–, con il senno di poi, sembrano soltanto un lungo preambolo per un
epilogo piuttosto insoddisfacente. Con il rischio che il papa del
titolo, purtroppo, appaia un semplice tappabuchi. A spadroneggiare,
allora, è l’irresistibile Silvio Orlando: burattinaio scaltro e
manipolatore, che a sorpresa commuove in uno struggente elogio
funebre. Che fumata bianca sia, grazie allo splendore della
fotografia di Bigazzi; grazie a una regia al solito funambolica. Ma, nel paragone, gli si preferisce l’alchimia dei Due papi di
Netflix – a colloquio, in lotta, in equilibrio. (7)
La
depressione è una malattia. Quando si guarisce, quanto dura? Se lo
domanda BoJack, ex attore di successo, da sei
anni a questa parte. Cavallo con fattezze da uomo, in un mondo dello
spettacolo popolato da animali antropomorfi, il protagonista non vede la proverbiale luce in fondo al tunnel. E noi
insieme a lui, nella bellissima e dolente serie animata che ha
sdoganato nel tempo una tematica tabù. Tra alti e bassi, svolte e
ricadute, l’incorreggibile BoJack ci prova e poi ci ricasca.
Anche a costo di venire un po’ a noia, nel tempo, con il suo
piangersi addosso; con il suo rifugiarsi presso gli
alcolisti anonimi, nell’alcol, in un passato idealizzato.
Insegnante di recitazione all’università, adesso, ha l’ennesimo
ostacolo tra sé e la stabilità: una coppia di reporter
sulle tracce dei suoi scandali, in particolare sugli scomodi
retroscena dell’ultima notte della sfortunata Sarah Lynn. Come
accaduto a Bill Cosby dopo lo scandalo, il protagonista perde perfino
i diritti sullo show che l’ha lanciato: vogliono tagliarlo fuori,
vogliono cancellarlo. Altrove, lontani ma vicini, Diane ingrassa, si
trasferisce e realizza che non serve essere tristi per vendere copie;
Peanutbutter, sfortunato in amore, inaugura un ristorante
chiacchierato; Todd si riavvicina ai genitori, galeotta Margo
Martindale; Princess Carolyn, addolcita dalla maternità, si gode
finalmente la compagnia di un uomo fedele. Il lieto fine sembra
essere possibile per tutti tranne per BoJack. Che ha paura di
scomparire per sempre oltre una porta buia. Che, nella vita vera,
farebbe la fine sciagurata di quegli artisti morti in una pozza di rimpianti. Gli sceneggiatori gli regaleranno un briciolo di
speranza dopo l’ennesima sbandata? Ottima ma a corto di genialità,
la sesta stagione trova smalto negli ultimi due
episodi e in una decisione coraggiosa: chiuderla qui, prima di
annoiare, dal momento che erano stati esauriti gli argomenti. Giusto così, inutile trascinarsi ulteriormente, anche se comunque dispiace di vero cuore. La stagione si conclude nel migliore dei
modi, in cima al tetto sul quale tutto ha avuto inizio, con un
dialogo intimo e perfetto che emozionerà i fan di lunga data. Sulle
influenze, positive e negative, che ci rendono quello che siamo. Sul
fatto che nessuno si salvi da solo e la felicità, a volte, spaventi.
Sulla necessità di abituarsi pian piano a una nuova normalità. In
un mondo senza BoJack Horseman, ma con tutto – quasi – al
proprio posto: compresa l’ultima lettera della parola “Holliwoo”.
(7,5)
I primi episodi di The New Pope mi sono piaciuti molto, poi il patatrac. Il personaggio della Seigner è odio puro. Silvio Orlando meraviglioso.
RispondiEliminaLa Seigner incomprensibile. Non la salva neanche il fatto di essere bellissima, perché l'altra francese la batte a mani basse per eleganza.
EliminaNon ho visto nessuna delle due serie: la prima, nonostante tutte le recensioni positive, non mi attira. Di BoJack ho visto i primi episodi, ma colpisce un filo troppo vicina a casa e mi deprime troppo. Forse in un futuro non meglio precisato troverò il coraggio di guardarla.
RispondiEliminaCi vuole coraggio, però ne vale la pena, Kate. Nessuna serie parla di depressione e dintorni con tanta forza. Buttati.
EliminaBojack rimarrà sempre uno dei prodotti televisivi più potenti mai trasmessi. Già mi manca.
RispondiEliminaMancherà molto anche a me.
EliminaTocca andare in rehab per riprenderci?
Lenny per me riesce a rubare la scena anche in quel lettino d'ospedale. Non me ne voglia Malkovich ma il suo personaggio proprio non mi è andato giù.
RispondiEliminaQuanta confusione, quante sottotrame superflue, poi!
Meglio BoJack, che si risolleva con un finale pieno di poesia ma soprattutto di realtà. Mi mancherà, e proprio come fosse un amico, spero possa stare davvero bene, ora.
Malkovich, a sorpresa, mi ha divertito da morire. Il problema è la seriosità che porta ogni volta Lennie. Lui, con quegli Angelus lunghi e filosofici; lui, con le coppie sterili che lo ospitano. Peccato, poi, che tutt'intorno ci siano pastrocchi grandi e piccoli...
EliminaCi fidiamo della resilienza di BoJack, sperando che abbia imparato dai suoi errori. Una volta per tutte.
Rispetto al primo ho trovato The New pope molto più lento e pesante, non vedevo l'ora che si rivedesse Jude Law. Sulla Saignier sono d'accordo con te, nessun senso. Quanto a Voiello, lo adoro!
RispondiEliminaPiù Voiello, meno sottotrame inutili!
EliminaPer me due discrete delusioni.
RispondiEliminaThe New Pope per ora l'ho abbandonata dopo quattro episodi, e non so se ci ritornerò sopra. Il mio idillio con Paolo Sorrentino sembra essere finito...
BoJack Horseman sì, migliora con gli ultimi 2 episodi. Come stagione conclusiva però si poteva fare di più, anziché sprecarla quasi interamente con episodi riempitivo non proprio fenomenali...
Nel complesso, in ogni caso, resta una delle serie animate e non solo a cui ho voluto più bene in assoluto, sia chiaro. :)
Sia chiaro, per me la sesta stagione di Bojack è la peggiore delle sei. Ma il peggio di Bojack è comunque meglio di molto altro. :)
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