L’instancabile
Ryan Murphy ci riprova. Con l’inizio dell’anno scolastico torna
al liceo: mancava dai tempi di Glee. Riecco perciò i colori
sgargianti, le faide grandi e piccole, le strategie per primeggiare e
sì, perfino le canzoni, se il protagonista – la rivelazione Ben
Platt, venticinquenne dal talento sorprendente – ha il pallino
segreto del pianobar. Intelligente, affabulatore, bisessuale, al
contrario degli allievi di Will Schuester non sogna il musical bensì
la presidenza americana: essendo ancora una matricola, gli tocca
prima diventare rappresentante degli studenti. Dalla sua ha una
parlantina naturale, unita a un abbigliamento che gli ho invidiato
per tutte le puntate, e la ricca ma infelice Gwyneth Paltrow come
mamma adottiva. Quello che gli manca, a parte l’amore della sua
vita – il suo maestro privato di mandarino, morto suicida nel pilot
–, è un braccio destro all’altezza: perché non Zoey Deutch,
presumibilmente malata di leucemia, a cui la sempre subdola Jessica
Lange nasconde informazioni sulle sue reali condizioni? La scalata al
potere del protagonista, vittima presto della sua stessa ambizione,
prevede un tentato omicidio, tante parole di miele misto a veleno, il
trash del Murphy che più ci piace. Commedia nera nello stile di
Election, The
Politician si difende dagli eccessi con una palette degna di Wes
Anderson, un cast divertitissimo e il salto avanti di un epilogo alla
Scandal, con in campo altre mattatrici – Judith Leight e
Bette Midler – e lo skyline della spietata New York sullo sfondo.
La politica annoia. La politica non è un gioco da ragazzi. Non
ditelo a Platt e ai suoi simpatici scagnozzi, sopravvissuti agli
avvelenamenti più folli e ai luoghi comuni più ostinati, anche se
non completamente in salvo dal già visto. L’ape regina di Lucy
Boynton, ad esempio, somiglia tanto, troppo alla cheerleader Quinn
Febray – ve la ricordate? La serie, in sintesi, non è forse la
versione d’autore del guilty pleasure Insatiable? Pur senza
plebiscito, comunque, confido che le simmetrie perfette della regia e
la doppiezza del candidato rampante bastino per un altro mandato. Il
mio voto, intanto, lo ha. (7)
Seguitissime,
le lezioni di anatomia di Big Mouth sono arrivate alla terza
stagione. I giovani protagonisti stanno per tagliare un traguardo
importante, la terza media. E ormai tutti, nessuno escluso, hanno con
sé un Mostro degli ormoni, una cotta inespressa, una prurigine
da grattare. A scuola si fanno sfilate contro il sessismo. Qualcuno
alimenta un rapporto tossico con lo smartphone, qualcuno esplora il
vasto spettro della sessualità, qualcun altro assume pasticche per
combattere il deficit dell’attenzione. Le migliori amiche si
masturbano? La bisessualità è vista con simpatia soltanto fra ragazze? Come reagire alle mani lunghe di un prof? Inferiore
alla prima stagione, superiore alla seconda, la serie torna a
regalarci trovate memorabili – il musical scolastico ispirato al
thriller erotico Rivelazioni, l’episodio monografico
dedicato al fantasma di Duke Ellington – e spunti nonsense – la
Florida rasa al suolo da un terremoto da Antico Testamento –, con
tanto di amichevoli cameo: riusciranno le fate turchine di Queer
Eye a rivoluzionare l’esistenza di quel coach Steve in stato
d’abbandono? Restano una certa antipatia verso Nick, l’adorazione purissima per il personaggio di Lola e una
tenera curiosità verso la vicinanza fra Jay e Missy, gli outsider
agli antipodi che trovano rifugio in un mondo di
fantasie oscene e fanfiction. Il difetto? Una formula
consolidata, a cui manca da un po’ l’effetto sorpresa, che
comunque non rinuncia a piccoli colpi di genio per risultare
spassosa, schietta, al passo con i nostri tempi: a ben vedere,
perfino istruttiva. Prontamente rinnovata, sembra proprio che la
famigerata boccaccia della serie animata Netflix non la smetterà
presto di fare allusioni sporche. Riuscirà a
inventarsene anche di nuove? (7)
Bisognerebbe
partire dalla fine. Affidarsi al diciannovesimo episodio –
l’ultimo: un nostalgico backstage con interviste e retroscena –,
per lasciar parlare le lacrime del cast e le parole
degli sceneggiatori. Dura dirsi addio, soprattutto se significa
rinunciare al guilty pleasure per antonomasia: quello che piace alla
critica e, a sorpresa, in passato, perfino alla stagione dei premi.
Giungono così a conclusione le disavventure di Jane Gloriana
Villanueva: protagonista di un’esilarante immacolata concezione e
di una serie TV che prima ancora del movimento metoo, del
politicamente corretto in risposta a Trump, includeva a
bordo donne resistenti agli urti e minoranze latine. Perché potrebbe
diventare un classico della commedia sentimentale? Gli ingredienti
sono una scrittura scoppiettante; un’irresistibile mescolanza
linguistica che a volte preferisce lo spagnolo, altre l’inglese; i
toni da fiaba profana, fra momenti di classico realismo magico e
bislacche sequenze musicali, che hanno conquistato anche gli ospiti
Bruno Mars, Britney Spears, Rosario Dawson. Bisognerebbe partire
dalla fine, si diceva allora, perché non basta l’affetto a
nascondere i difetti di una stagione conclusiva con pochi spunti e
troppi episodi. Scritta su misura dei fan, Jane The Virgin
mira al traguardo della centesima puntata – trascurabile il fatto
che ormai manchi pochissimo per arrivare all’ovvio lieto fine – e
al compleanno della protagonista, qui trentenne. Se l’unico
elemento degno di meraviglia è l’amicizia nascente fra Jane e
Petra, all’inizio sua storica nemesi, il resto ruota attorno a tre
temi lungamente diluiti: la carriera da scrittrice della nostra
eroina, in cerca della formula del perfetto romanzo rosa; la cattura
della trafficante Sin Rostro; la risoluzione di uno dei triangoli
romantici più sentiti del mondo delle serie TV, con un innamorato
tornato dall’oltretomba e l’altro diventato nel frattempo povero
in canna. Lunga la strada verso la conclusione, senz’altro
inutilmente. Ma si è ben contenti di arrivare a una cascata di fiori
d’arancio, accanto alla persona giusta – Jane no, non delude –,
facendo lo slalom fra saltuari rischi di cancellazione e pregiudizi
di sorta. (6,5)
Figo un protagonista bisex, così mi sento un po' rappresentato! XD
RispondiEliminaSarà interessante questa serie, mi sa che la vedo.
Quanto a Big Mouth, se mi dici che è meglio della 2 stasera stessa la inizio.
Moz-
Fra The Politician e Big Mouth, è il momento di dire che i bisessuali esistono, come i molisani!
EliminaCiao, sono una nuova follower del tuo blog. Piacere Alexandra!
RispondiEliminaTi aspetto da me La sabbia nella clessidra
Buona giornata
Ciao Alexandra, sono fra i tuoi lettori!
EliminaMr. Ink non ti fidare da Alessandra: è passata da me e da tanti altri, ha messo il follow e quando viene ricambiata lo toglie ;)
RispondiEliminaNon è davvero interessata al blogging e alla blogosfera, evidentemente.
Moz-
Grazie per l'avvertimento, Miki!
EliminaQuesti follow-unfollow proprio non li reggo. Fanno tanto scaramucce da scuola media...
Ero partita un po' prevenuta verso questa terza stagione di Big Mouth, e invece superiore alla seconda e allo speciale di S. Valentino lo è davvero. Con la voce di Lola da venerare, in casa si ride ancora.
RispondiEliminaNon mi avrà, invece, questo Murphy: lo immagino guilty pleasure ma conoscendo quanto dura la qualità per lui, e trovando insopportabili i protagonisti già dalle foto e dai trailer, concedo il mio poco tempo a serie più per me.
Per me, invece, Murphy non è da escludere. Qui è molto divertito, molto nel suo, e rischi di perderti la sigla più bella dell'anno: giuro, cercala su YouTube!
EliminaSulla sessualità di Mercury dice più la canzoncina del secondo episodio che tutto un film.
RispondiEliminaTrue Story.
con Jane the virgin purtroppo sono ferma a quasi la fine della seconda stagione e non l'ho più ripresa T_T sono secoli però che voglio farlo!
RispondiEliminaThe politician non mi ispira per niente. Nemmeno le recensioni più entusiaste mi convincono. Non so, mi dice pochissimo.
la terza Big mouth devo vederla assolutamente ;-;
Mettiti in pari con entrambe. :)
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