Una
studentessa inglese con il visto in scadenza si innamorava di un
giovane americano. E, insieme ma distanti, scoprivano che le promesse per la vita non si
addicono ai vent'anni. Una studentessa, un'altra, s'innamorava –
corrisposta – dell'uomo che la ospitava. Neanche i compromessi,
neanche le responsabilità, giovavano alla relazione tra la pianista
dagli occhi verdi e il suo ospite. A ideale conclusione di una
trilogia sentimentale in cui d'amore si soffre, il Drake Doremus che
tanto stimo propone un'ennesima coppia in difficoltà, questa volta
sulla soglia di un futuro prossimo. Se erano i problemi di tutti i
giorni, la gelosia o l'assennatezza, ad allontanare prima Anton
Yelchin e poi Guy Pierce dalla dolce Felicity Jones, in Equals è
una società distopica a condannare Silas e Nia, amanti fuorilegge,
alla solitudine. Di bianco vestiti, rigidi e impassibili, si muovono
senza sfiorarsi mai in un mondo alla Delirium,
in cui guerre e pestilenze sono state debellate assieme al
sentimento. Cosa succede se, davanti all'ennesimo suicidio, lei
tradisce un moto di dispiacere? Cosa fai se scopri che saprebbe ricambiare il tuo bacio? E che futuro avreste mai, poi, in una città in
cui solo due robot su cento, mille, un milione, hanno riacquistato
l'anima? Cambia il genere, più alla moda, ma non l'occhio indie.
Drake Doremus, per la sua ultima missione, abbandona le luci
sfarfallanti delle metropoli e i pendolari, e si sposta su un set
dalle forme avveniristiche, nemmeno troppo originali però, che fa suo ugualmente: lo si nota nei colori che si animano,
nelle inquadrature geometriche, nella lentezza del risveglio
sensoriale. Non tanto nell'iperuranio, quanto in camera da letto con
Nicholas Hoult e Kristen Stewart. Equals ha
tagli e temi tutt'altro che inconsueti, ma il regista aggiunse
silenzi, l'intimità e quei finali sempre in bilico dei suoi. Con un
duo di belli e intensi, riscattati già tempo fa dal fantasy
adolescenziale, che lì per lì sembrano frettolosi e freddolosi. Il
rigore formale, l'approccio per nulla strappalacrime, gli pianta il
freddo dentro, e ci vuole un po' a scacciarlo. Si arriva perciò a un
finale struggente ma speranzoso, con uno sbalzo di temperatura che fa
scricchiolare la seconda parte: dalla monotonia alla sfiorata
tragedia, in cui i richiami a Shakespeare tormentano. Si perdona
l'escursione termica, l'imperfezione, in nome dell'emozione che
quando arriva, finalmente, minaccia di commuovere. E Drake Doremus, sensibile regista di
coppie tribolate e chiuse amarissime, con l'amore ci fa pace nel film
meno nostro; paradossalmente, quello in cui l'amore causa le guerre.
(6,5)
Vivono
in una casa di vetro immersa nel verde, un padre e le sue due figlie.
Eva, posata e matura, tempra il suo corpo notte e giorno a ritmo di
musica. Nell, piccola ma responsabile, si
impegna per l'ammissione al college: non vuole deludere le
aspettative del genitore. Così diverse e così indispensabili l'una
per l'altra, complementari, dovranno farsi forza all'indomani di
un'apocalisse sconosciuta. L'elettricità salta, si regredisce a quel tempo in cui
si viveva di caccia, agricoltura, affetti essenziali. E se la loro
casa iniziasse a crollare per le intemperie, esponendole agli agenti
atmosferici e alla violenza del prossimo? E se queste piccole donne
nell'occhio del ciclone, che ogni tanto si concedono il lusso del
generatore, una canzone o un video alla televisione, facessero gola a
lupi dall'aspetto umano? Appartenente a un filone scif i che fa facilmente breccia – la fantascienza umanistica di
un Perfect Sense, con domande senza risposta, contagi, effetti
speciali assenti e emozioni forti -, Into the forest è un
Hansel e Gretel al femminile, su due giovani donne vulnerabili.
Delicatissimo e discreto, è
impreziosito dall'elegante regia della canadese Patricia Rozema, che
adatta un romanzo da noi purtroppo inedito, e dalle significative
interpretazioni di Evan Rachel Wood e Ellen Page: ex ragazze prodigio
del cinema indie - la prima bravissima ma incostante nelle scelte,
l'altra penalizzata da un'eterna giovinezza e da un outing che, un
po', le ha cucito addosso ruoli da dura -, sono le assolute padrone
di casa. La foresta è maestra di vita, e avere lo
stesso sangue in circolo scalda, d'inverno. Si inganna il tempo, non
si tralasciano l'ordine e le passioni di una vita fa. Se la corrente
ritornasse, vorremmo forse farci sorprendere allo stato ferino,
sepolti i rituali e la cultura, dimenticata per sempre l'umanità?
Eva non smette di muoversi, dunque, anche se al ritmo gelido del
metronomo. Nell studia, la testa china sui libri, anche se non
servono più le università e gli attestati. I fucili in pugno,
puntati contro l'ignoto, e una mano da stringere, nel bisogno estremo.
(7)
Ho seguito in silenzio le polemiche che sono toccate al reboot che, stando ai più, non aveva ragione d'essere. Si parlava del contrastato Ghostbusters, rifacimento di un film cult che ha spento trenta candeline e che, per forza di cose, ho visto quando già agli occhi delle nuove generazioni risultava datato: nasco a metà degli anni '90, infatti, ma soltanto nei Duemila sono conscio di ciò che guardo e di ciò che mi piace. E i film di Reitman, al contrario di un Ritorno al futuro, non hanno mai fatto breccia: sarà che non sono nella lista degli imperdibili stilata da un papà che gli anni '80 non li ha mai superati? E a lui, che al tempo eppure c'era, questo Ghostbusters in rosa è piaciuto. Commedia fantascientifica dalla comicità non tra le più raffinate, ma colorato intrattenimento per famiglie, ha le partecipazioni amichevoli di un'antica squadra che non serba rancore, una computer grafica all'avanguardia e un simpatico quartetto. Meritava gli impietosi paragoni mossi da spettatori che non hanno appeso al chiodo i paraocchi? Può dirsi una catastrofe, se consolida il solido duo McCarthy-Wiig, ci lascia scoprire il talento dell'eccentrica Kate McKinnon e mostra l'adone Hemsworth, qui segretario in prova, autoironico come non mai? Il divertimento abbonda e fuori luogo, in definitiva, appare tutto il gran rumore. C'è chi, chino sul cellulare, fiuta Pokemon e chi, nella classica New York avvezza a cataclismi e possessioni massive, caccia ectoplasmi, critiche gratuite e amicizie tra reietti. Le quattro colleghe, ad esempio, che abbandonano carriere sicure per il richiamo dell'avventura, incappando nel calore degli americani e nelle rimostranze degli italiani. Haters gonna hate. Serbo il mio odio per cose sporadiche e persone contate, io; figuriamoci per quattro professioniste che il loro lavoro – di comiche e cacciatrici – lo fanno, e sotto il fuoco incrociato di spettri arrabbiati e critici luciferini. (6,5)
Tallulah vive un'esistenza da nomade. Nel suo mènage, ha trascinato il borghese Nico: giovane di buona famiglia, in fuga da una mamma che gli aveva riversato troppe aspettative addosso. Da quella mamma, un giorno, decide che vuole ritornare; lascia la protagonista nel cuore della notte. Il viaggio in macchina fino a New York è per ritrovarlo: una mossa disperata per non perdere ciò che quel ragazzo, l'ennesimo che la abbandona, rappresenta. Casa. Nella City, Lu incrocia altre due donne e i loro rispettivi guai. E di un dolce guaio di nome Madison, quasi due anni e un pianto che spezza il cuore, si fa carico: anche se il prendersi cura della bambina, l'assecondare il suo bestiale istinto materno, somiglia tanto a un rapimento. Da una parte abbiamo, Margo, madre di quel Nico ormai uccel di bosco e piantata in asso, a cinquant'anni, da un marito che si è dichiarato omosessuale; dall'altra, invece, Carolyn, ricca moglie trofeo e madre incapace, privata di una bambina che starebbe forse meglio altrove. La scapestrata Tallulah unirà le loro vite distanti e darà un senso alla loro solitudine: ingannando Margo, le dirà che la minore rapita è in realtà una nipote sconosciuta; tormentando Carolyn, alticcia e bisognosa, le farà sentire la struggente mancanza della figlia trascurata. Cosa succederà, però, quando arriverà il momento di assumersi tutta la responsabilità? Scrive e dirige Sian Heder, creatrice di Orange is the new black, che di vite al limite e donne a pezzi ne sa senz'altro qualcosa, e il risultato è una produzione che se ne infischia dell'originalità, sì, ma anche un triplice e intensissimo ritratto di signora. Le eroine, abbandonate dal prossimo e in cerca di calore, ugualmente vinte, ricordano tanto quelle dell'ultimo Virzì: le risate esagerate, la ricerca della felicità e la strada che, meglio di qualsiasi scuola, insegna. Se Ellen Page ci prova (e fa sorridere la sensazione di vederla quasi alle prese con il prosieguo ideale di Juno) e la televisiva Tammy Blanchard – qui, bionda e ispirata – sorprende, non c'è dubbio che su tutti svetti la magnifica Allison Janney: già alle prese, nel piccolo cult di Reitman, con le bizze di una Page in cerca di ruoli nuovi e delle carte d'adozione; già pessima genitrice, ma straordinaria caratterista, nella sitcom Mom. Sono diverse, le tre, talora nemiche giurate: ma c'è un pianto – un bisogno – che le porta allo stesso punto; davanti al medesimo finale. Dove si riversano una sfiorata tragedia; le speranze che per una volta le proverbiali mele cadano lontane dagli alberi e rotolino lungo il crinale di un collina, verso la salvezza; la visione di rinunciare alla gravità e di librarsi su Central Park. Ma la volontà di farcela, di ritentare, le porterà ad allungare la mano, aggrappandosi al primo ramo. Quando abbandonarsi al vuoto e naufragare nello spazio, invece, sembrava l'unica scelta ammissibile. (7+)
Per le strade, l'inferno. Sangue e pazzia. Ragazze dalle auto sfavillanti che, con Party In The Usa in sottofondo, brandiscono mitraglie e macheti; turisti in cerca di morte; anziane donne che uccidono i mariti e guardano i cadaveri bruciare; rivali ghigliottinati in piazza; faide e vendette. Una volta l'anno, tutto è concesso. C'è la Purga. E, una volta l'anno, in sala, ecco i capitoli aggiuntivi di una distopia a tinte forti che, partita a sorpresa con l'interessantissimo La notte del giudizio, tenta come può, volta per volta, di mostrare volti inediti e angoli nascosti di uno spunto raro e di un'America allegorica. Negli Stati Uniti è tempo di elezioni: nella finzione, così come nella realtà. E non ci vuole poi troppo a individuare i facsimili di Hillary Clinton e Donald Trump, nello scontro tra progresso e privilegio, donna e uomo, vecchio e nuovo. Chi vincerà? Tutto è in forse, se si deve sopravvivere a una parentesi anarchica che è un'ottima scusa, in realtà, per sbarazzarsi di colei che appoggia il cambiamento. Da una parte c'è una governatrice, protetta dalla guardia del corpo; dall'altra, ci sono il proprietario di un piccolo alimentari e il suo braccio destro che, le armi in pugno, difendono il loro scampolo di american dream. I cenni alla cronaca non si contano, e ogni riferimento a fatti e persone non è puramente casuale, in Election Year: terzo film di una fortunata serie che, dalla sua, ha la puntualità delle allusioni, sangue freddo e scarsa concorrenza, in sale poco affollate. L'ultimo, quantomai satirico nelle intenzioni, ha però una sceneggiatura non all'altezza del soggetto. L'inquietante quadretto che vi ho descritto in apertura? Puro suppellettile. The Purge sceglie la fuga, pretese di alta tensione, bruciandosi l'idea di antagonisti iconici – le sanguinarie e sguaiate dame che ascoltano la Cyrus, ad esempio – e analizzando le buone intenzioni di un quartetto penalizzato dai pessimi attori. L'azione si somma allo splatter, e finisce per diventarne un rimpiazzo; la morale, amarissima, è diluita da lungaggini e grandi gesti eroici. Election Year, che quasi sicuramente non resterà senza eredi, è peggiore dei due predecessori – in parte, prevedibili difetti del brodo allungato – ma dà da pensare, sì. Cosa che non si può chiedere a tutti gli horror estivi. Cosa, però, che potevamo chiedere eccome, e meglio, a chi tira il sasso e, per fretta e buonismo, nasconde poi la mano. (5,5)
Visto ieri "Tallulah", e devo dire che sono d'accordo con te su tutta la linea: Allison Janney è la vera star del film (anche se pure la Page se la cava bene), fosse per me le darei almeno una particina in ogni singolo film attualmente in produzione! :D
RispondiEliminaSono contenta che ti sia piaciuto "The Forest": finora sono stata un po' titubante, ma quasi quasi provo a dargli una possibilità...
Lì la Page la troverai più brava ancora.
EliminaIn Tallulah non male, no, ma tra riferimenti a Juno e l'aria un po' mascolina che si porta dietro dal melodramma con la Moore, sembrava di vederla alle prese con ruoli già visti. La Janney è una fuoriclasse: speriamo nella rivincita dei caratteristi, prima o poi, com'è successo agli Oscar con il Simmons di Whiplash. ;)
Per me, mi perdonino gli appassionati, Ghostbusters è sempre stato un film per bambini con un cast d'eccezione.
RispondiEliminaHo accolto il reboot senza colpo ferire, e mi sono molto divertito. Ieri, alla faccia del pregiudizio, anche il Drago Invisibile mi ha intrattenuto ad arte. E mi sono sciolto anche in una pozza di lacrime, ma è un'altra storia. :)
mi hai incuriosito tellullha... equals accettabile non me lo aspettavo, cmq questi film che hai elencato credo che bene o male li vedrò tutti . La notte del giudizio 3, b movie... niente altro
RispondiEliminaEquals lo aspettavo da Venezia, complice Lisa di In Central Perk, quindi ero positivamente prevenuto. Non un trionfo di originalità, ma mi ha emozionato nel finale: colpa di quello, e di Doremus che mi piace proprio. Mai quanto in Like Crazy, però. Con Tallulah vai a colpo sicuro: la Netflix punta sui cavalli, e i film, vincenti. ;)
EliminaEquals nonostante i difetti, la freddezza dei colori e quel già visto, sa emozionare, come sai c'è riuscita in una giornata fisicamente difficile con me.
RispondiEliminaSe la doppietta Ellen Page mi interessa parecchio, sequel e reboot mi lasciano indifferente, c'è sicuramente di meglio da vedere dopo una settimana di digiuno!
E la doppia "Juno", ci scommetto, ti piacerà molto. ;)
EliminaHo visto solo La notte del giudizio e sinceramente non mi é per nulla dispiaciuto, anzi, l'ho trovato pure meglio dei due precedenti.
RispondiEliminaPer il resto Tallulah, Ghostbusters e Equals li voglio vedere
Io ho passato un'ora e mezza a insultare tra me e me quella cagna maledetta di Elizabeth Mitchell. Manuela Arcuri, c'è speranza anche per te.
EliminaE la Rachel Wood che ti ha fatto, oh? :)
Into the Forest io l'ho trovato inverosimile e a tratti ridicolo, non per lo spunto di partenza, ma per com'è sviluppato. E poi si prende troppo sul serio.
RispondiEliminaSpero che l'altro film con Ellen Page sia meglio...
Il Ghostbusters originale pure io lo considero parecchio datato e incapace di sopravvivere al passare del tempo come un Ritorno al futuro, quindi questo nuovo episodio potrei salvarlo anch'io.
Equals altra incognita...
La notte del giudizio, nel bene e nel male, è ormai sempre la solita minestra riscaldata.
Mi dirai...
EliminaDa uno che mette Tutto può succedere come serie della settimana, guarda, mi aspetto di tutto, ahahahah! ;)
Di questi ho visto, per ora, solo Ghostbusters: onestamente la polemica del paragone con il primo e mitico capitolo è sterile, ma il film io l'ho trovato davvero inutile, uguale a tanti altri inutili di questi ultimi anni. Peccato. :)
RispondiEliminaChe è inutile sì, senz'altro, ma gli si chiedeva un po' di simpatia... E mi è stato simaptico il giusto. :)
EliminaGhostbusters voglio recuperarlo! Quelli originali nemmeno li ricordo (ricordo solo la sigla xD), perciò sarebbe come vedere un film "nuovo" per me.
RispondiEliminaInto the forest non lo conoscevo, ma sembra molto carino :)
Meglio così, allora. :)
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