Jesse
Custer è un pastore per caso, in un Texas che sembra il deserto del
Sahara. Climi bollenti, sabbia e sale negli occhi, atmosfere
sonnacchiose. Turbolento è il suo gregge, però, così come il suo
passato: come ci è finito uno come lui, che ha il fisico da bullo e
precedenti per rapina a mano armata, a guidare le anime di una
comunità non così tranquilla, non così affidabile? All'inizio,
sono le piccole cose a rendere pepata una professione tra le più
rigorose: i pettegolezzi nelle confessioni, gli scandali in
miniatura, gli sporchi segreti delle vite degli altri. Poi, nel
mondo, succedono stranezze su stranezze. E pastori come lui, di
qualsiasi religione siano, muoiono per autocombustione: una forza
misteriosa ha provato a entrare in loro e, trovando la porta chiusa,
patapam, li ha fatti esplodere in tanti grovigli di sangue e
interiora. Questa forza, che viene chiamata Genesis, in Jesse riesce
a mettere le radici, però. Il potere lo rende coscienzioso,
ricercato e dannatamente persuasivo. Qualsiasi cosa dica è un ordine
a cui è impossibile sottrarsi: che badasse bene alle parole da
usare, nei suoi sermoni, perciò. Condannare alla sofferenza eterna
uno sprovveduto è questione di un attimo! Ma ha come una freccia
luminescente sulla testa e, in breve, la cittadina accoglie turisti
sgraditi: malintenzionati, angeli custodi, creature paranormali. Ed
ecco che si rivede Tulip, sua focosa ex, e che l'irresistibile
vampiro Cassidy decide di nominarsi suo migliore amico ad honorem.
Dio latita, ma c'è chi vuole restaurare l'ordine al posto suo. E
saranno bombe atomiche, rivelazioni da antico testamento, fulmini e
saette. Sangue: copioso. Volgarità e parentesi grottesche: chi ne ha
più ne metta. Fantasia: sempre. Noia: nei primi episodi, dunque
raramente. Ispirato a un celebre fumetto che tutti hanno letto
tranne il sottoscritto, Preacher è la serie che in tanti
aspettavano, in questa estate piatta in sala e iperattiva in TV.
Popolosa, scorretta e vagamente blasfema, è un'esperienza mistica –
realizzata con il beneplacito del simpatico Seth Rogen, che ne ha
diretto anche qualche puntata – coi suoi alti e bassi. Mi è
piaciuta, e pure tanto, a scoppio ritardato. Pare, infatti, faccia
liberamente da prequel al fumetto. Disturbava i fan veri. Mandava in
confusione me – ma talora, vuoi la colonna sonora bellissima e le
ispirate invettive di Cassidy contro il sopravvalutato cinema dei
Fratelli Coen, anche in brodo di giuggiole. A mancargli, i peli sulla
lingua, i freni, l'equilibrio. E quanti sbadigli nell'assistere ai
piani di un sindaco mefistofelico e nel guardare, scettici, i
flashback (che però flashback non sono) su un cowboy del selvaggio
West, che non si capisce bene che ci faccia lì? La scelta di
restargli fedele, nonostante tutto, è per le atmosfere con cui già
andavo a nozze ai tempi di quel True Blood rovinatosi
poi strada facendo; le prove perfette del fichissimo Dominic
Cooper, del suo iconico socio irlandese, Joseph Gilgun, e della
graziosa Ruth Negga, in odore di Oscar, stando ai più, per Loving;
il calderone ribollente di intenzioni e le risse da bettola. Preacher
è un pasticcio. Un oggetto non identificato che cade in una latta di
vernice rosso sangue e crea schizzi ovunque: su pareti, pavimenti e,
perfino, il soffitto. I ferventi cattolici scalpiteranno. I vicini si
lamenteranno per gli schiamazzi. La certezza che tutto sia una prova
per la stagione che seguirà e i comportamenti scriteriati – ci
vuole coraggio da leoni a convocare l'Altissimo in videochat - fanno
da garante, però, per un futuro pellegrinaggio tra catastrofi,
macchine ruggenti, inferno, paradiso e circondario. (7)
Londinesi
a flotte nell'uggiosa ma affascinante Glasgow per il matrimonio del
loro amico del cuore. Il loro collante convola a nozze e sono
invitati tutti. Anche, loro malgrado, il fratello della futura sposa:
timido, impettito, fuori posto, con lo smoking ben stirato e la
faccia da suola. Sarà la compagnia ideale per darsi a bevute – con
rutto libero incluso – nei pub scozzesi? Imbraccerà come si deve
il fucile, nella tradizionale caccia al cervo? La compagnia,
affiatata dopo anni e anni di scorribande, sa divertirsi, ma l'idea
di partenza – la battuta di caccia – va in malora, quando li
coglie di sorpresa la tempesta prima, la violenza del prossimo poi.
Mimetizzato nei boschi, c'è un assassino dalla mira impeccabile. E
loro, da cacciatori, diventano in fretta prede. Cronaca di un
tranquillo weekend di nuvole temporalesche e paura, Stag è
una miniserie BBC in tre parti che si pone come un faccia a faccia,
parzialmente vincente tra l'altro, tra The Hangover e
Dieci piccoli indiani.
Sanguinaria commedia gialla, tira fuori dal cilindro qualche omicidio
ben orchestrato, i colpi di scena più o meno a sorpresa dell'epilogo
e un'eccellente compagnia di interpreti. Un po' seria e un po'
sarcastica. Il resto lo fanno i sinistri spettacoli naturali e
l'umorismo nero all'inglese, verso la cui scorrettezza (non
scordiamoci, però, la loro perfetta idiozia ingiustificata) ho un
noto debole. Dopo essere scampati a una mina, perciò, qualcuno
deciderà di festeggiare saltellando e, oplà, salterà in aria
ugualmente; il protagonista indosserà per tre ore una tuta rosa e
acrilica a forma di alce; i moventi, conditi dall'ironia, non saranno
tra i più inattaccabili. Stag,
che tra me e me pensavo potesse essere una di quelle serie a
sorpresa, sbucate dal nulla, è invece un intrattenimento piacevole ma che non lascia lunghi strascichi. Una gita nel verde
fine a se stessa, in cui si trovano a colpo sicuro risate passeggere,
misteri grandi e piccoli, testimoni di nozze sui generis e una chiusa
che, davanti a un twist di troppo che stroppia, lì per lì, lascia
confusi. Serve mandare indietro veloce, leggere le interpretazioni
sui Social, per chiarirsi le idee. E qualcosa va al proprio posto,
così, e qualcosa no. Come dopo una notte di bagordi di cui si
conservano flash, indizi e cerchi alla testa. E nei vuoti di memoria,
profondi come tombe, ecco che ci scappa il morto. (6,5)
Vabbé, giassai, io Preacher l'ho amato alla follia, con tutti i suoi difetti (e ce ne sono, per chi ha letto la graphic novel) e non ho percepito neppure un momento di noia. Ma 'sto povero sindaco e il Santo degli Assassini, in definitiva, che ti hanno fatto? XD
RispondiEliminaNon capivo cosa facessero, ahahahah!
EliminaLi guardavo e dicevo boh. Gli ultimi episodi hanno sciolto i dubbi, anche su di loro. :)
Ah, allora correggo: fumetto!
RispondiElimina(Nella mia ignoranza, pensavo che graphic novel fosse un modo più colto per chiamarli, diciamolo :-P )
Con Preacher sono fermo al primo episodio, che a me non è piaciuto quasi per nulla: spero non si riveli troppo da bottigliate con il resto della stagione.
RispondiEliminaA me il pilot aveva divertito parecchio, il resto insomma.
EliminaSi redime verso la fine, in cui aprono la strada - e Cassidy, sopra, lo conferma - per i collegamenti col fumetto. ;)
Mai letto il fumetto di "Preacher", per cui sicuramente la serie tv non riuscirà a mandarmi in confusione! :P
RispondiEliminaSai che non vedo l'ora di vederla?! *____* Spero solo che non mi faccia sbadigliare, tipo "Outcast"! XD
Be', se non l'hai letto, secondo me, lì per lì la confusione ci sarà. Outcast noiosooo: l'ho abbandonato!
EliminaPreacher lo sto finendo, e qua e là ha annoiato pure me... mi aspettavo più risate e più velocità, ma mi aspetto di tutto dagli episodi finali!
RispondiEliminaStag mi ricorda la non troppo riuscita Harper's Island, anche lì un matrimonio, vecchi amici che si ritrovano e un serial killer in agguato. Ma qui sembra esserci più umorismo e meno seriosità, quindi me la segno.
Sì, più soft e più breve.
EliminaPerò Harper's Island è una delle prime serie che mi avevano davvero appassionato, nel lontano 2009. :-D
A me Preacher ha fatto la stessa impressione del grande Lebowski con Cassidy... :)
RispondiEliminaBravissima però Ruth Negga. Se il prossimo anno sarà in corsa agli Oscar non mi stupirei.
Stag potrebbe ritagliarsi un posto tra le visioni estive, però c'è tanta concorrenza e non sembra così imperdibile...
Ahahahah, però le cose interessanti ci sono.
EliminaSì, lei bella e brava.
Spero che agli Oscar non riciclino i soliti nomi: anche se, be', la Vikander diretta da Cianfrance già la vedo in lizza. :)