Ispirata
al classico di H.G. Wells, la vicenda dell’Uomo invisibile è
stata portata più volte sul grande schermo, ma sempre dalla
prospettiva dello scienziato. Eccezionalmente, questa volta, il
reboot omonimo sceglie di concentrarsi su un comprimario. La vittima per
eccellenza dell’uomo: colei che ne divide il talamo nuziale. La
protagonista braccata, infatti, è la moglie di un ottico maniaco del
controllo che in gran segreto ha brevettato la tuta
dell’invisibilità. La vena orrorifica, soprattutto nell’ottima
parte introduttiva, è tenuta a bada per lasciare spazio alle
paranoie e ai silenzi di un thriller psicologico teso e
raffinatissimo. Il film non ha né eccessi gore né effetti speciali
in quantità. La protagonista punta il dito, farnetica, si rannicchia
su di sé, accende tutte le luci di casa e fissa intensamente il
vuoto. Se la trama è presto detta – una versione paranormale di A
letto con il nemico –, a far la differenza sono quei dettagli
inattesi nell'intrattenimento mainstream. Una regia sapiente, che fa
crescere la suspance nella desolazione dei campi lunghi o nei piani
sequenza più frenetici. La performance di Elisabeth Moss –
spaventata, delirante, spavalda – che regge queste due ore di visione
con una gamma espressiva da prima della classe. Gli si rimprovera, allora,
soltanto qualche buco di sceneggiatura nella conclusione; un epilogo liberatorio ma un po’ telefonato. The Invisible Man è
un aggiornamento sentito, femminista, intelligente, di cui si coglie
finalmente il senso. Ai mostri dello studio Universal, così, se ne affianca
un altro ben più diabolico: lo stalking. (7,5)
Un’isola. Un faro. Un apprendistato lungo un mese. Ma, alla
scadenza dei giorni, non arriva nessuna scialuppa. Non si
vedono mai la terraferma, né altre facce. La convivenza tra un
umile subordinato e il suo capo, già faticosa, diventa infernale. Si
fruga nei reciproci vissuti. Ci si scaglia contro il russare
dell’altro, i suoi ordini, i suoi umori, il suo tanfo. Soltanto
l’alcol, che scorre a fiumi, appiana le divergente. In
tutti gli altri momenti, invece, pesano i silenzi,
l’astinenza, le limitatezze del luogo. Come evitare di
trasformarsi in bestie a causa della solitudine? Ecco avvicendarsi
presagi, visioni, sospetti, cadaveri che riaffiorano, creature alla
Lovecraft. Paranormale o suggestione? La catabasi dei
protagonisti, tuttavia, è un’escalation di follia che punta
in alto: alla lanterna del faro, al centro della contesa maggiore.
Mènage a due, The Lighthouse –
odiato a Cannes, poi rivalutato dal pubblico – è giocato
sui contrasti tra Dafoe e Pattinson. Se il primo è un lupo di mare
dispotico e umorale, il secondo è un giovane senza passato che
minaccia di peccare di
hybris sovvertendo l’ordine. Il taglio e la fotografia
evocano il cinema muto. La scrittura, teatrale, vive di
faccia a faccia e monologhi dolenti. I personaggi incarnano tipi
umani brutti, sporchi e cattivi. In realtà, a ben vedere, è tutto
bellissimo. In realtà, senza sorprese, i due sono magistrali. Ma il film, lento e inesorabile, si lascia seguire
piuttosto passivamente: sin dalle premesse, infatti, immaginiamo che
i misteri del faro rimarranno inspiegati. Dopo The Witch, il
regista predilige l’ermetismo di alcuni film festivalieri e, a mio
dire, pecca di una spocchia che risulta inutilmente pretenziosa
trattandosi di un'opera seconda. Eggers non delude, ma nel
tentativo di fare il passo più lungo della gamba in uno sforzo
prometeico non va né avanti né indietro. Resta dove lo avevamo
lasciato ai tempi dell’esordio, giù talentuoso, ma in attesa di
essere messo meglio a fuoco. Perché nessun autore, nessun film,
dovrebbero rimanere isole. (7)
Il
buco è una prigione verticale dalla struttura dantesca. Si
sviluppa in altezza per oltre duecento piani, collegati tra loro da
un montavivande: all’ora del pasto, ogni giorno, i misteriosi
carcerieri fanno scivolare da un piano dopo l’altro un carrello carico
di leccornie da chef stellati. Gli occupanti più vicini al piano zero hanno pance
piene e vita facile, tutti gli altri si cibano di scarti. Spingendosi
al suicidio, all’assassinio, al cannibalismo. Il protagonista è un
sognatore con la mente zeppa di pensieri idealisti. Arrivato con una
copia del Don Quisciotte, spera di lottare contro i mulini a
vento del sistema; di educare i compagni all’equanimità, alla
parsimonia, al rispetto. C’è forse un inghippo nel sistema? C’è,
soprattutto, una via di fuga? Preceduto dalle lodi diffuse della rete, questo esordio
spagnolo è all’altezza delle aspettative: perfino il finale,
contestato sui social, mi ha emozionato all’inverosimile.
Particolarmente attuale nel clou della pandemia, tra convivenze
forzate e resse nei supermercati, Il buco caldeggerà il
pessimismo o strizzerà l’occhio alla speranza? Torbido e cruento, è una allegoria sanguinosa e ispirata che ricorda le
atmosfere di The Cube e Snowpiercer. Ma ha
argomentazioni attuali, tutte sue, e una visione personale che si
esprime dal gusto estetico alla scrittura. Prodotto a basso budget, con
il minimalismo della migliore fantascienza indipendente, il film
premiato a Torino brilla per una sceneggiatura da
applausi sorretta da un manipolo di attori votati alla causa –
il vecchio compagno di branda, in particolare, regalerà non pochi
incubi. Feroce, poetico, politico, si conferma uno dei migliori film
di genere presenti sul catalogo Netflix. (8)
Biglie,
viti, aghi, batterie. Sono soltanto alcuni degli acuminati passatempi segreti di
Hunter, una giovane e bella moglie trofeo che ha sviluppato un
singolare disturbo ossessivo per cercare attenzione: ingoiare oggetti. Dagli
angoli più disparati della sua lussuosa villa con piscina, la
chiamano ninnoli e utensili. La tentano. Da dove arriva quella fame
d’amore che la spinge a rimpinzarsi di corpi contundenti? Avvolta
da uno stile anni Sessanta, sia nell’eleganza del design che nei
colori pastello, una Haley Bennett degna di nomination è la
sorprendente padrona di casa di un’ordalia psicologica senza fine.
Se tutt’intorno abbondano le simmetrie maniacali, all’intero
della protagonista si agita un magma spaventoso. Sottostimata, sola,
mite, osa far rumore nell’atto dell’ingoio. Assordante, il suo
disagio ha radici tutte da scoprire. Nell’abbraccio di un collega
ubriaco. Sotto un letto dove appisolarsi con un tuttofare dagli occhi
umidi. A colloquio con un grande Dennis O’Hare, in un faccia a
faccia sul perdono e sulle eredità letteralmente commovente. Esiste
guarigione? Forse, ma non passerà attraverso un finale consolatorio: ne
avrei immaginato uno diverso, per la povera Hunter, ma avrebbe fatto meno male
nell’assestarsi l’ultimo schiaffo. E guarigione e digestione, pare, passano da altro dolore. Grido d’aiuto femminista, profondo e
perturbante, Swallow è il primo film davvero memorabile visto
quest’anno. Difficile da mandare giù, altrettanto da scordare. (8)
Potremmo
riassumerlo in poche parole. The Hunt è un Hunger Games
ad alto tasso splatter, vietato ai minori non accompagnati. È
la versione disimpegnata di Get Out e quella più
politicamente schierata di Finché morte non ci separi.
Una classica partita a nascondino in cui a cambiare, questa volta,
sono puramente le relazioni tra cacciatori e cacciati. I primi
liberali, di sinistra. Gli altri repubblicani fedeli a Trump e alle
armi, gretti e razzisti per natura. Lì dove gli elettori
statunitensi hanno visto un attacco al loro Presidente, al punto da
arrivare a sabotare l’uscita del film in sala, in realtà si
nasconde una satira scalmanata che bacchetta parimenti entrambi i
lati della barricata. Non c’è chi ha torto e chi ha ragione.
Se abbondano i volti presi in prestito dal piccolo schermo – Emma
Robert, Justin Hartlley: un consiglio, non affezionatevi troppo alle
loro sorti –, la vera lotta è tra Betty Gilpin, una Rambo
al femminile già apprezzata in Glow, e l’autoironica Hilary Swank.
Diverte vedere le due attrici darsele di santa ragione in cucina,
in un corpo a corpo che ricorderà quello tra Uma Thurman e Vivica A.
Fox in Kill Bill. Nonostante le citazioni orwelliane, però,
non aspettatevi grandi riflessioni: The Hunt brilla per acume
e umorismo soltanto a sprazzi incostanti. Il resto è un divertissement nella
norma: breve, spassoso, ultraviolento, dove la satira iniziale cede
ben presto il passo al rosso arterioso tanto apprezzato dagli amanti
dell’horror. Dardi, bombe, pallottole. Una carneficina impegnata in
teoria, ma senza grandi pretese nell’atto pratico. Tanto rumore per
nulla? Anche se soltanto per lo sgranocchiare dei popcorn in sottofondo e per
qualche risata fra amici lontani, potrebbe valerne la pena.
(6,5)
Film che mi ispirano, alcuni di più come Swallow altri di meno visto che temo la pesantezza come The Lighthouse, ma che non so se sono emotivamente pronto a vedere, in questo periodo.
RispondiEliminaIn particolare Il buco, che sembra proprio il nuovo The Cube, mi inquieta al solo pensiero di guardarlo. :)
Potrei provare a farmi coraggio, magari partendo da quello che sembra in teoria il più divertente e forse meno pesante, ovvero The Hunt.
The Hunt e The Invisible Man, in questo periodo, probabilmente sono i più soft.
EliminaSwallow mi incuriosisce davvero tanto. Spero di vederlo presto anche io ☺️☺️
RispondiEliminaSperiamo abbia una distribuzione italiana. È una perla.
EliminaUn'isola. Un faro. Già sentito spesso, ma un altro viaggio me lo farò presto ;)
RispondiEliminaPrendi Shining, spostalo al mare.
EliminaTutto già visto, ma tanto fascino e troppa tecnica.
Per ora ho trovato tempo solo per Il Buco che ho apprezzato per l'idea e il metaforone sociale.
RispondiEliminaGli altri li ho in lista da un po', giusto il tempo di finire di vedere qualche serie e li recupero.
Fammi sapere. ;)
EliminaDevo ancora vedere gli ultimi due. I primi tre li ho apprezzati moltissimo, ognuno per motivi diversi. The Lighthouse a me è piaciuto oltre ogni aspettativa (e avevo già aspettative alte) e l'ho trovato coinvolgente e ipnotico come poche cose viste negli ultimi anni.
RispondiEliminaDiciamo pure che la tecnica, se fine a sé stessa, mi fa antipatia. L'ho trovato senz'anima.
EliminaProbabilmente hai riunito il meglio del thriller-horror recente, cinque film uno più bello dell'altro, ognuno a modo suo. Inutile dire che li ho adorati tutti ma il mio preferito resta El Hoyo, col meraviglioso Trimagasi in testa. "Obvio!"
RispondiEliminaEhm... io l'ho abbastanza odiato quel film, ma ammetto che l'idea può essere stata buona. Solo che pensavo di vedere un altro film (Hole) e ho beccato questo
EliminaCome odiato?!
EliminaTitoloni di un certo peso, di certo per stomaci forti. A sorpresa, Il Buco mi ha preso più di Swallow, anche se l'estetica di quest'ultimo non si batte. E meglio di tutti (ancora più a sorpresa) L'uomo invisibile, che unisce brividi a bravura.
RispondiEliminaIn ogni caso, hanno tutti effetti collaterali fisici difficili da smaltire in questi tempi.
Credo di essere rimasta fra i pochi a non aver visto The Witch, e ora che ho capito che occhio sopraffino ha Eggers (anche quando ha a che fare con due brutti ceffi) so già cosa mettere quest'estate fra gli horror.
Mi resta fuori solo The Hunt, che inizialmente pensavo di scartare ma se dici che si lascia guardare e troppo male non è (mi era sfuggita poi la sceneggiatura di Lindelof), lo inserisco fra i recuperi.
The Witch va visto, assolutamente. E a differenza di The Lighthouse ha il grande pregio di innovate il genere.
EliminaThe Hunt insomma, rapido e indolore. Non penso ti piacerebbe.
Recuperalo assolutamente. I sottotitoli li hanno curati gli amici del Buio in sala :)
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