Sono
una famiglia afroamericana di quelle fortunate. Abbastanza in alto
per permettersi una vacanza sull'oceano o tollerare con leggerezza le battute sarcastiche di una coppia di amici bianchi,
una sera ricevono una visita: la loro casa viene presa
d'assalto da misteriosi invasori. Sono quattro, come loro. E hanno le
loro identiche facce. Dopo il successo di Get Out,
Jordan Peele ritorna al cinema horror e a sembrarmi tremendamente
sopravvalutato. Dotato di uno spunto brillante ma di uno svolgimento
tutt'altro che originale, Noi ha
un impatto minore del film precedente: l'assunto di base, infatti,
viene sperperato in due lunghe ore e nella confusione di risvolti mai spiegati. I doppi dei protagonisti sono
le loro ombre infernali, o le loro controparti sfortunate? Siamo
americani, dicono. Vogliono gli
stessi diritti e gli stessi doveri. Reclamano sogni, pretese e ore
d'aria. In questa Invasione degli Ultracorpi al
tempo di Trump, sfugge il punto della situazione. Bastian contrario
benché appartenga alla schiera dei privilegiati, Peele fa antipatia: arraffone e ammiccante, attacca i soliti
conservatori con una verve che, al secondo giro, rischia di annoiare.
Per fortuna c'è un epilogo meno didascalico, in cui si confondono
vittime e carnefici. Per fortuna c'è Lupita Nyong'o, scream
queen che piacerà anche
all'Academy. Ma, per godersi meglio l'alta tensione, consigliabile abbassare
le aspettative. (6)
Anno
fortunato per Shirley Jackson. Dopo il successo di The Haunting of Hill House, la
maestra spirituale di King è tornata sugli schermi. Anche se
ormai non è più tra noi da un po'. Anche se Abbiamo sempre vissuto nel castello,
letto lo scorso autunno, va per i sessant'anni. Passato in
sordina in patria, accolto tiepidamente dalla critica, il film tratto
dal suo romanzo di culto è, a dispetto delle scarse speranze, una
trasposizione esemplare dove perfino i difetti vengono dal
romanzo. La casa delle orfane Blackwood, interpretate dalle
convincenti Taissa Farmiga e Alexandra Daddario, è la copia di
quella immaginata: bella e decadente, sembra una novella
dimora Addams che non disdegna i colori pastello, la
raffinatezza del mobilio, la fantasia della carta da parati. Le
sorelle trascorrono lì, in una gabbia dorata, una routine
destabilizzante. Isolate dal mondo, fantasticano di trasferirsi sulla
luna. Ma la Daddario, tentata dal cugino Stan, minaccia di
mandare tutto a rotoli puntando all'Italia. Della
Jackson, la trasposizione si tiene stretta i ritmi
lenti, le situazione piuttosto trascinate e quel climax finale di
grande cattiveria, qui con un tocco di violenza aggiunta. Lo immaginavo a torto televisivo. Inscenato sullo
sfondo di una campagna lussureggiante, risulta essere invece una
parafrasi fedelissima dalla fotografia cristallina e con un guardaroba
che farà l'invidia delle spettatrici. We Have Always
Lived in the Castle è una fiaba
nera che anche in questa veste funziona a metà, non facendomi
cambiare idea su un romanzo sopravvalutato. Ma anche
l'occhio vuole la sua parte e qui, fra malie e stranezze, ha
il suo bel da vedere. (6,5)
Era
un uomo bello e un abile oratore. Era un serial-killer. Ted Bundy, negli anni, Settanta frequentava Giurisprudenza e si
difendeva da un'accusa inequivocabile: l'omicidio barbaro di oltre
diciotto donne. Le prove erano tutte contro di lui, ma la giustizia
americana rende tutto spettacolo. Interpretato da un Efron al di sopra
delle aspettative, con la giusta faccia da schiaffi e una
parlantina sorprendente, il caso Bundy rivive in un'arringa accurata
e un po' televisiva, convincente ma non sempre coinvolgente. Senza
mostrare sangue, più attento alla dimensione processuale che al
marciume, il documentarista Berlinger scongiura ogni tentazione
voyeuristica e mette in scena un gioco retorico per sospettare di
tutto e di tutti. Perfino di una verità universalmente accettata: la
colpevolezza dell'accusato, messa in dubbio da un carisma di star
navigata. La compagna Collins, che all'inizio lo segue come una groupie innamorata, si stanca presto della bugie
e di un triangolo amoroso che culmina in una farsesca proposta di
matrimonio. Il verdetto? La scelta di preferire gli aspetti pubblici
e privati potrebbe far storcere il naso agli amanti dell'horror, ma i
protagonisti – a torto giudicati troppo glamour per i ruoli –
mettono comunque i brividi nel faccia a faccia finale. La nausea vera, di terrore e ingiustizia, arriva durante i
titoli di coda. Con la sfilza delle donne martirizzate. Con la
consapevolezza che l'incubo, con tanto di fughe picaresche e schiaffi
morali alle forze dell'ordine, sia pura verità. (6,5)
Quali
sono i segni particolari di uno psicopatico in erba?
Una timidezza a confine con la sociopatia, il pallino per gli animali
investiti in strada, una famiglia poco convenzionale. Avevano
personalità agli antipodi ma, in quanto a spietatezza, Ted Bundy e
Jeffrey Dahmer rivaleggiavano: quest'ultimo, dagli anni Settanta in
poi, terrorizzò in particolare la comunità gay di Milwaukee. Alle origini, però,
era soltanto un adolescente in cerca di sé stesso. Si
estraniava di frequente ma sapeva dissimulare. Amico di tutti e di
nessuno, indossava i panni di buffone del liceo pur di far pace con
la propria testa e, soprattutto, con la propria sessualità. Ispirati
a una graphic novel, i dolori
di un giovane serial-killer sono raccontati anche stavolta con un
approccio poco convenzionale. Rinunciando allo splatter, My friend
Dahmer sperimenta toni diversi
fino a somigliare a un dramma adolescenziale alla Van Sant. Senza
sporcarsi, il magnetico Ross Lynch – un caso sia uscito anche lui
da Disney Channel? – si trascina torvo e ingobbito in una
dissacrante pagina di diario che ricerca con successo i primi passi
di un folle che non ha ancora sperimentato il sesso, né fatto i conti con le macchie di una coscienza sporca: la banalità del male.
(7)
Ne
hanno fatto prima un film per la TV, poi una miniserie in otto
puntate. A un appuntamento romantico, Mrs Maisel andava a vedere
perfino un musical ispirato alle sue gesta efferate. L'assassina
Lizzie Borden, simbolo di un femminismo estremo, non smette di
affascinare la settima arte. A nemmeno cinque anni di distanza dal
film con Christina Ricci, le vicende della donna – riassumiamola:
uccise padre e matrigna a colpi d'ascia, e fu scagionata per assenza
di prove – torna a farsi raccontare dal cinema indipendente,
attento alle questioni di genere e alla verosimiglianza dei fatti. La
Borden di Chloe Sevigny va a teatro da sola, rifiuta il matrimonio,
scontenta i genitori con una lingua sferzante e una relazione con
Kristen Stewart, domestica sul punto di rottura. Come una trionfale
Medea, nuda e insanguinata, la protagonista si aggiunge ai nemici del
padre – viscido e temutissimo – e giunge a soluzioni deleterie
per liberarsi dell'orribile famiglia. Cupo e lentissimo, Lizzie
è una tragedia teatrale di zii usurpatori e passioni clandestine
che, classe a parte, poco aggiunge tuttavia a un ritratto di donna
già approfondito in precedenza. L'acqua cheta logora i ponti. Ma
all'ennesimo rimaneggiamento, centoventi anni dopo il massacro, non
fa notizia. (5,5)
La
trama è quella di un thriller di Rai Due. Una
ragazza di buon cuore restituisce a una vedova la borsetta dimenticata in metropolitana. La prima non ha più una
madre, l'altra non ha più una figlia: l'amicizia intergenerazionale,
quando si fa ossessione, diventa stalking. Classico, più che vecchio
stile, Greta rilegge
un canovaccio di sicuro fascino. Non corre mai il rischio di
rinnovarlo, eppure sorprende per la freschezza di Neil Jordan: settant'anni e l'ultimo film,
Byzantium, risalente a ormai sette anni fa. L'autore conosce bene le regole
del gioco, e lo stesso può dirsi del suo cast di attrici bravissime:
Chloe Grace Moretz, scream queen
per eccellenza delle nuove generazioni, e soprattutto Isabelle
Huppert, straniera dal fascino stregonesco. A metà tra Norman Bates
e Annie Wilkes, la sua cattiva è un cane rabbioso che non vuole
essere abbandonato. Manipolatrice e onnipresente, conosce
vini pregiati, suona il pianoforte e si apposta negli angoli. È in
ogni squillo, in ogni messaggio, in ogni ombra. A cosa spinge la
solitudine? Se tutto va esattamente come dovrebbe, due protagonisti in
forma smagliante sanno farsi comunque ricordare grazie a una perfetta
alchimia e qualche dettaglio raccapricciante. Greta
è in cerca di un'amica, o forse di un'altra vittima? Ha
borse identiche a quella perduta. Ha usato già quelle stesse parole,
letto da quello stesso copione. Non siamo speciali, no, e lei non si è
presa la briga di ordine un inganno su misura. L'esca è la solita, il canovaccio abusato. Ma, intanto, abbocchiamo. (7)
Christopher
Abbott, noto tanto la serie Catch 22 quanto per la somiglianza innegabile con il collega Kit Harrington, ha l'aria di un verginello alle prese con l'ansia della prima volta. Guardate quant'è impacciato mentre fa le prove, prende appunti,
coreografa nel dettaglio parole e movimenti. Nella sua camera
d'albergo aspetta l'arrivo di una prostituta e questa, puntualissima,
non si fa attendere: è Mia Wasikowska, irriconoscibile tutta impellicciata
e con un caschetto aggressivo. Lui è un sociopatico che vuole darsi
all'omicidio, lei una provocante autolesionista. Il piano sfugge di
mano. Quella che a una prima occhiata sembrerebbe una coppia di
disadattati da commedia indie si pone al centro di un rapporto
sfuggente e perverso, che giunge picchi di goduria indicibili quando
Nicolas Pesce – giovane regista da tenere d'occhio – inizia a
scherzare con lo split screen di
Brian De Palma o la colonna sonora di Dario Argento. Guilty pleasure di cinefili e feticisti, Piercing è
un gioco delle parti stilizzato e intriso di cose – sangue,
umorismo caustico, citazioni alte – che funziona, sì, ma
esclusivamente nella dimensione dell'omaggio. Per il resto, è troppo
strano e troppo aperto. Ha personaggi troppo esagerati e troppo
tagliati con l'accetta. Ipnotizza e diverte, stilosissimo dall'inizio
alla fine, ma lascia violenza in quantità, qualche ottima
interpretazione, cicatrici semipermanenti e un pugno di mosche. (6)
Quattro ingenui amici in sella a una bici: aspiranti Sherlock Holmes con alle spalle
famiglie in crisi, una cotta comune per la bella del quartiere e il
coprifuoco fisso. Un vicino di casa poliziotto, insospettabile ma non troppo.
Tutto è un gioco. Tutto ha una fine, anche l'estate del cuore.
Perché tutti i serial killer, in fondo, sono i dirimpettai di
qualcun altro. Partita a nascondino classica e sdoganatissima, Summer
of 84 fa leva su quell'effetto
nostalgia venuto francamente a noia da un po' e su misteri feroci ma
intuibili, che non conoscono nessun colpo di scena ma a sorpresa, nel
finale, minacciano di strappare brividi duraturi. Amaro e spietato,
sbucato non a caso dal preziosissimo circuito del Sundance, in realtà ha
poco a che spartire con il candore pop di Stranger Things.
I Perdenti di Stephen King, qui, conoscono la cattiveria: quella
umana, quella vera. La loro perdita dell'innocenza appassiona e
stordisce più delle rivelazioni mancate, più di un canovaccio che
con la scusa dell'omaggio poco s'inventa di sana pianta. E questa
estate di metà anni Ottanta, stagione per eccellenza di scottature,
ci brucerà per sempre. (7)
Che ti dirò, a me "Noi" era piaciuto, l'ho trovato sicuramente meglio del precedente. "Piercing" invece... Tutto molto bello, ma preferirei passare al dolce.
RispondiEliminaGli altri tutti dei titoli molto interessanti :)
Ma almeno Piercing ha lo stile, e i difetti sono imputabili a un regista del 1991 (parliamone). Us, purtroppo, manco quello. Sospetto con paura che lo rivedremo agli Oscar.
EliminaNiente, siamo agli antipodi XD
RispondiEliminaHo adorato visceralmente Us, Lizzie mi è piaciuto molto, Extremely Wicked ecc. mi ha esaltata a più riprese mentre Summer of '84 è stato un bel diludendo, ho faticato a rimanere sveglia e si è ripreso giusto sul finale.
Un po' poco.
Gli altri non li ho visti ma My Friend Dahmer era in lista da un po' e Greta... me lo segno, non lo conoscevo :)
Peele, purtroppo, per me è veramente un mezzo disastro. Mi vado a rileggere il tuo post dei tempi, magari, per capire cosa non ci ho visto.
EliminaLizzie, a parte la lentezza snervante, non è malvagio, ma io ho visto tutte le trasposizioni e quindi ciao, noia.
Greta ha una sceneggiatura risibile, ma loro... Jordan... Insomma, come non adorarlo segretamente? :)
Jordan Peele comincia ad apparire sopravvalutato anche a me. Noi è un pasticcio che non si sa dove voglia andare a parare...
RispondiEliminaTaissa Farmiga e Alexandra Daddario insieme in una casa alla Hill House? Non so perché non l'ho ancora visto, davvero non lo so. :)
Quello su Ted Bundy purtroppo mi è sembrato un filmetto senz'anima e, almeno per quanto mi riguarda, senza brividi.
Quello su Dahmer spero sia (molto) meglio e (mooolto) più cattivo. E c'è pure il tipo di Sabrina!
Lizzie Borden l'avevo già tracurata ai tempi di Christina Ricci, mi sa che continuerò a farlo anche ora. Seppure come personaggio potrei gradirla.
Greta sembra il thrillerino da Rai Due però autoriale che d'estate calza a pennello...
Con Piercing, anche se non l'hai esaltato particolarmente, mi hai incuriosito parecchio.
Summer of 84 è uno Stranger Things più perfido e thriller: come potevo non adorarlo? :D
My Friend Dahmer ha l'aria dei film festivalieri che piacciono a te. Ma non avevo riconosciuto l'attore di Sabrina!
EliminaAbbiamo sempre vissuto nel castello, invece, ti annoierebbe. Ricordo la visione mollata di Marrowbone.
Una carrellata di sangue non male questa, in cui concordiamo abbastanza, almeno in quello visto. A Us però darei dei punti di più, per la paura che mi ha fatto, per l'occhio da applausi di Peele. Peccato solo per il finale.
RispondiEliminaMi segno invece gli ultimi 3 che non conoscevo (Summer of 84 sì, e gli dedicherò spazio sicuro in questa estate) e che promettono bene, almeno per gli attori coinvolti!
Pensa che il finale, almeno per me, è la cosa buona di Peele, per il resto sin troppo didascalico.
EliminaDi film segni di nota, in coda, ce ne sono pochi, ma il cast merita davvero moltissimo!
Alcuni di questi li vorrei proprio vedere, Summer of 84 e We have always lived in this castle, su quelli che ho visto:
RispondiEliminaSu Noi non sono d'accordo, per me uno dei migliori horror dell'anno, commedia, paura e home invasion si sono mescolati alla grande.
Più o meno le stesse sensazioni invece su Ted Bundy, penso che uno spettatore ignaro dei fatti potrebbe capirci poco, però i due protagonisti veramente in formissima.
Spero davvero non resti, per la critica, l'horror dell'anno altrimenti mi metto a piangere.
EliminaDai, che presto ritorna Ari Aster!
Ciao caro titoli tutti molto interessanti soprattutto Noi anche se a quanto pare non ti ha convinto molto e Summer of 84... magari con le ferie mi dedico un po' a recuperare qualche film ehhe
RispondiEliminaL'estate e gli horror, si sa, vanno a braccetto!
EliminaDi questi ho visto solo quello su Dahmer e mi sono anche ripromesso di leggere il fumetto da cui è tratto. Noi, nonostante tu l'abbia smontato, devo necessariamente vederlo.
RispondiEliminaSono in minoranza, a proposito di Noi, ma sarà. Io l'ho trovato proprio mal scritto.
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