Conor
ha una mamma che si sta spegnendo, una nonna che non sa come
prendersi cura di lui e un padre lontano, americano, che se n'è lavato le mani. Ha tredici anni. Se avete letto la fiaba di Patrick Ness, saprete già cosa succede: un
tiglio sbuca dal terreno e raggiunge la casa del
protagonista. Gli occhi fiammeggianti, la voce di Liam
Neeson e tre storie dal mancato lieto fine. Qual è
la verità contenuta nella quarta, quella che soltanto il protagonista conosce? A Monster Calls, metafora
struggente e originale, si fa cinema grazie allo spagnolo Bayona: uno
che prima con gli spettri di Orphanage,
poi con le onde anomale di The Impossible,
sa colpire. Trasposizione curata e fedele, si conferma
una meditazione sentita sull'elaborazione, gli stati della malattia e
il lutto. Come in Ness, si evitano le frasi fatte e alla violenza dei
bulli si risponde con la violenza. Si
distruggono le cose, le case, e nelle tazze rotte e nelle finestre
smantellate si cerca invano una specie di sollievo. Il dolore è
furia cieca. E' un mostro che ti strappa dal letto e ti espone al gelo dei mancati lieti fine. Aggrapparsi
all'illusione o
abbandonarsi all'inevitabile? Durante la visione, ho
trovato gli stessi spunti di riflessione e la stessa rabbia. Si
piange, molto, e si impara la lezione insieme a un ragazzino che
sta metabolizzando il tutto. La dolcezza di Felicity Jones incontra
il rigore di mamma Sigourney Weaver, e la fiaba sposa i prodigi di una computer grafica che avrei dosato con più
parsimonia. Le fiabe del mostro, infatti, sono mostrate con
un'animazione troppo roboante che qui e lì tende a distrarre. Tra
le pagine, invece, fioccavano bellissimi disegni in bianco e nero:
l'essenzialità di cui un film già così intenso, così carico,
avrebbe avuto bisogno. A Monster Calls si
prende esagerata cura del lato visivo, ma non scorda il cuore. E te
lo restituisce sciupato, come un foglio di carta con uno schizzo a matita sopra: un angelo custode che si fa mostro,
di questi tempi, per fugare i mostri del cancro, i bulli, l'insensatezza tutta umana del senso di colpa. (7,5)
Un
weekend da passare con i genitori di lei. Sbucare dal nulla, presentarsi come il fidanzato ufficiale, ma con l'aggiunta
dell'effetto sorpresa. Loro sono bianchissimi, tu no, e la tua
ragazza ha deciso di non dirglielo con la scusa del politicamente
corretto. Gli assalti della polizia raccontano un'altra storia però.
L'intolleranza è virale. Grazie al piano sequenza iniziale sappiamo
di non essere in presenza di una riscrittura di Indovina chi viene
a cena. Sappiamo che Get Out è un horror - uno di quelli acclamatissimi, sopravvalutati senz'altro, che
al botteghino fanno furore. Cosa andrà per il verso storto
nella storia d'amore tra Chris e Rose, se le presentazioni non hanno
creato ansie e imbarazzi - non più del solito? Una riunione
annuale, ospitata in giardino, piena di cibo e parenti molesti.
Domandano al protagonista (un Daniel Kaluuya dalla faccia di gomma) se gli afroamericani siano più bravi a letto, più forti nelle
competizioni, se si sentano più alla moda con Obama presidente per due mandati. Solo i domestici hanno la pelle del suo stesso colore: strani e ingessati, sono i custodi dei segreti
di famiglia. L'horror di Peele, regista che viene dal mondo
del cinema comico, è popolato da zii sui generis e inserti
grotteschi. L'inquietudine è la padrona di casa, il rumore
di un cucchiaio che picchia contro una tazzina da tè fa gelare il
sangue, ma si è combattuti tra domande e ghigni davanti alle
stranezze di una mamma ipnotista e un papà chirurgo. Divertentissimo e
claustrofobico, intelligente nel suo copia-incolla, Get Out è
attuale nel messaggio ma mai serioso. A tratti, manca della crudeltà
che ci si aspetterebbe: la realtà, soprattutto nell'epilogo,
serberebbe di certo orrori maggiori. Con cenni alla Fabbrica delle mogli, ha fughe per la
libertà annunciate sin dal titolo e un agghiacciante bingo a fine
pasto. Dotato di un lampante sottotesto politico, appare dunque una
satira – il prodotto giusto nell'anno sbagliato – in cui tutto è
a rovescio. Ipotizzando un nuovo arianesimo, tra le righe, e il
ritorno ai demoni dello schiavismo. (7)
Qualche
anno fa, complici i pareri della rete, avevo visto I guardiani
della galassia. Cinecomic fracassone con splendida colonna sonora e trama da poco, mi era sembrato
tale e quale agli altri del filone – non l'eccezione alla regola, se preferisci altro e magari soffri di una
qualche forma di daltonismo (per distinguere un personaggio
dall'altro, occhio, tocca affidarsi unicamente ai colori a fantasia della loro pelle). Avendo rimosso la visione del primo, trovavo
tutt'altro che indispensabile concedermi il secondo capitolo. Mi è
toccato accompagnare papà: uno che il cinema in solitudine non lo concepisce. In una sala non particolarmente
partecipe ho visto un sequel che in fondo mi ha divertito: di certo più dell'altro, visto in una distratta visione domestica. Seduto in poltrona non
mi annoio, anche se due ore e sedici sono troppe. Seduto in
poltrona, dove tutto è più bello e più grande, guardo a cuor
leggero anche cose che non fanno al caso mio. I guardiani della
galassia è come lo immagini. Tutto luci ed esplosioni, tutto botte da orbi e rumori. Che dovresti dire, nel bene e nel male, che non sia
intuibile? La trama, ma non azzardatevi a chiedermela domani, ruota
attorno alla scoperta della natura semidivina di Star-Lord: un Pratt eclissato dal carisma di Kurt Russel, che
vorrebbe antipaticamente apparire bello e simpatico a tutti i costi. Il Groot danzerino
in apertura, il procione che si credeva un boss e un
indelicato Batista, vera rivelazione della pellicola, sono la
causa delle risate più sguaiate – non mancano i cameo folli, poi,
tra i vari Stallone, Hasselhoff e Stan Lee. Contano più i legami di
sangue o chi, senza nulla in cambio, ha abbracciato le nostre
battaglie perse? Meglio la guida del burbero Youndu o l'affinità con un padre redivivo? Possono la Saldana e
la Gillan, sorelle agli antipodi, odiarsi?
Rumoroso, veloce e un po'
stucchevole per via di quella sua morale tipicamente disneyana, ha
momenti spassosi e in cuffia un Cat Stevens da brividi. Il resto,
un falso cuore di ricotta (spoiler: in CGI pure quello) sullo sfondo di
indistinguibili ammutinamenti intergalattici. Papà, dalla sua, è d'accordo. Cosa non si fa per la famiglia?
(6,5)
Assayas,
nel bellissimo Sils
Maria,
ci aveva mostrato l'intensità di Kristen Stewart. L'attrice, lontana dallo sfarvallio dei vampiri di Twilight,
conquistava il premio César. Il regista che ha il pregio di avercela
mostrata nel pieno delle sue potenzialità poteva rinunciare a lei
nel suo lavoro successivo? Americana a
Parigi, la Stewart è ancora una volta l'assistente di una donna
capricciosa. Personal
Shopper significa
fare la spola tra faccende da poco e lunghe attese. Acquistare abiti
firmati su commissione, indossarli di nascosto per il brivido del
proibito, e tormentarsi in completa solitudine. Maureen non ha mai
smesso di piangere la morte del fratello: erano medium, complici,
gemelli. Aspetta da allora un suo segno dall'aldilà. Aguzza le
orecchie e mette in pausa la propria esistenza. Ma la fidanzata del
defunto ha trovato un altro amore. E la sua casa, forse infestata o
forse no, è già sul mercato. Una Stewart sempre padrona della
scena, arruffata ma bellissima, è in cerca di scricchiolii
significativi e della propria identità – un look definito, una
sessualità inesplorata, un lavoro che la appaghi. Interroga le
stanze buie. A testa bassa, studia i messaggi di uno sconosciuto che
incalzano sul suo cellulare. Occultismo, stalking, un omicidio a
metà e, infine, un viaggio. Una confusione di uomini eleganti e
fantasmi, hall e atelier, mentre il motorino semina il traffico e i
dettagli si annebbiano. Maureen, per tutto il tempo, è perseguitata
da malintenzionato o da uno spirito? A infrangere i bicchieri è quel
fratello desideroso di comunicare o il nervosismo di una giovane
insonne? Domande retoriche, inappagate, che fanno parte del mistero
di Personal
Shopper – fascinoso
e frustrante. Un dramma metafisico, dalle atmosfere hitchcockiane, che
riflette sulla malinconia dei sopravvissuti senza darci le giuste
chiavi di lettura. Chiedendo, forse, un'esagerata sospensione
dell'incredulità. Le certezze, quando tutto è astrazione, sono una
classe sconfinata, la tensione alle stelle per l'insospettabile
trillo di WhatsApp, le cuciture impercettibili sulla silhouette di
una attrice che cresce. (6,5)
Il
ritorno di Pif. Una conferma in cui riponevo fiducia, in un
anno – quello passato – in cui gli italiani hanno saputo stupirci con storie confezionate
con cura e cuore. Non faceva eccezione la serie ispirata
all'opera prima del regista. La mafia uccide d'estate,
tra fiaba e cronaca, toccava anche a puntate. Fedele al suo
percorso, legato alla sua terra, Diliberto è tornato con In guerra
per amore. Con lui: un asino
volante, le ricostruzioni dei borghi degli anni '40 e una
fidanzata bella come Miriam Leone. Pif torna, sì, e veste ancora i panni di un Giammarresi. Ancora, si parla di
mafia. Ma la si affronta partendo da lontano: dalle origini, da New
York. Arturo, travolto da vicende rocambolesche e comprimari buffi –
su tutti, la strana coppia (di fatto) formata da un cieco e uno
zoppo –, fa da spettatore all'avanzata degli alleati. Ma
i tedeschi erano forse il male maggiore, se il loro arrivo porta all'amara restaurazione dello status quo ante? In guerra per amore è una commedia più ambiziosa del
previsto: troppo, nonostante la nobiltà delle intenzioni.
Se il comparto tecnico è di tutto rispetto, la sceneggiatura rivela
innumerevoli ingenuità. Partiamo da una storia d'amore superflua, che da
titolo apparirebbe invece centrale. Abbracciamo, poi, coprotagonisti pieni
di potenziale e sketch comici fini a loro stessi. Quante
storie? Quanta carne al fuoco? In guerra per amore è
fatto meglio del precedente, ma è meno convincente. Storie che
cominciano senza finire, rimanendo sospese. L'amore: nella messa in
scena e, per dirlo storpiando una canzone, mai nell'aria. Anche se,
difettoso e tutto, leggero ma mica tanto, gli si vuol bene comunque.
(6)
Attendo con grande impazienza "Sette minuti dopo la mezzanotte", visto che adoro il libro.
RispondiEliminaDevo invece ammettere che il secondo volume dei guardiani mi ha entusiasmato meno del primo. Premtto che in genere i cinecomic mi piacciono, al contrario tuo, però mentre il primo, per quanto fosse bene o male sempre la solita storia di origini ecc, mi aveva conquistato, per le risate, la musica e altre cose, questo l'ho trovato eccessivo. Perché è sempre in bilico tra una 'presa in giro del genere' e un 'crederci troppo'. Non so se mi spiego. è divertente e tutto il resto eh, però a volte calca troppo la mano.
Anche papà ha preferito di gran lunga il primo, ma io non lo ricordo proprio e l'ho visto, appunto, con un occhio sì e l'altro no. Assolutamente promossa la trasposizione di Ness, anche se mentre frignavo (in quello è riuscita, sì), i troppi effetti digitali mi hanno un tantino disturbato. Fammi sapere, poi. ;)
EliminaBei titoli, proprio belli ^_^
RispondiEliminaGrazie, Arwen!
EliminaPasserò a leggere le tue impressioni. ;)
ovviamente, e io aspetterò i tuoi commenti ^_^
EliminaTenero e doloroso A Monster Calls, identico al libro e quindi vederlo fa un bel po' male. Anch'io non ho trovato eccellenti le animazioni delle tre "favole", avrei preferito qualcosa di più simile agli schizzi a china del romanzo, ma qualcuno non l'ha pensata così...
RispondiEliminaMa sono belle anche le parti animate, eh, ma il rischio "troppo tutto" era dietro l'angolo.
EliminaPoco male, comunque. :)
Concordo su Batista, vera rivelazione di questo volume 2 (e poi vabbè, viva Baby Groot, sempre e comunque!). Sulla morale un po' troppo stucchevole sono d'accordo (mi sta bene la storia di Star-Lord... un po' troppo forza quella tra sorelle, secondo me). Però a me ha divertito parecchio, non posso proprio negarlo :)
RispondiEliminaMa The Circle non l'hai ancora visto? :P
Baby Groot, come mi diceva un'amica in chat, era pensato un po' troppo a beneficio del merchandising (ma il suo Funko Pop lo voglio, perché si sa che mi faccio far fesso), però quant'è tenerello. In generale, nel non essere mai d'accordo, siamo d'accordo. I bambini non capivano la crudeltà di Batista e, niente, in sala mi sentivo ridere solo io.
EliminaThe Circle da me non l'hanno dato, a espatriare non espatrio per quella faccia di cavolo di Emma Watson... Aspetterò le famose vie traverse. ;)
Allora!!! Non si parla di Get Out prima che esca, mi costringi a saltare il paragrafo cavandomi gli occhi per non vedere neppure una lettera di recensione >.<
RispondiEliminaDetto questo, A Monster Calls per me è già il film dell'anno. L'argomento trattato mi ha molto coinvolta, per motivi personali, e sono uscita dalla visione distrutta. Non so se avrò il coraggio di mettere mano al libro né se tornerò al cinema a guardare il film ma nel mio cuore conserverò il ricordo di un film davvero meraviglioso.
Guardiani della galassia è molto carino, più autoriale rispetto agli altri film Marvel o, perlomeno, quello con più personalità (il trash di Gunn stavolta va a briglia sciolta e sono persino riuscita a piangere sul finale) e anche il film di Pif mi era piaciuto molto, anche se continuo a preferire il suo primo film.
Personal Shopper l'ho perso al cinema e devo recuperarlo al più presto.
Ma sai che, scherzi a parte, tutto il mistero di Get Out non lo capisco? Nel trailer c'è tutto il film. Che è carinissimo, senza dirti troppo, ma spero non l'horror/thriller dell'anno.
EliminaTi consiglio vivamente la lettura del romanzo di Ness: dolorosissimo, ma merita anche solo per le illustrazioni a china, splendide, che fanno impallidire l'animazione un po' pacchina scelta da Bayona. Ma ero in una valle di lacrime, quindi chissene.
ciao Mik! film di pif a parte che proprio non m'interessa gli altri li ho tutti in pronta visione anche se prima vorrei recuperare il libro di Ness che a dire di tutti è una perluccia! :) sempre ottimi consigli!
RispondiEliminaGrazie Saya! Recupera assolutamente Ness, devi.
EliminaE' anche breve, tra l'altro, e non ti ruberò troppo tempo. ;)
Ammetto che la prima volta che vidi I guardiani della Galassia rimassi parecchio delusa, probabilmente per le aspettative altissime. Di recente invece l'ho rivisto in attesa dell'uscita del sequel e mi è piaciuto tantissimo! Non vedo l'ora di vedere il secondo "volume" :3
RispondiEliminaAh, dici che se lo rivedo mi farà la stessa impressione?
EliminaChissà. Purtroppo, è proprio Pratt che non digerisco.
Ma anche quando era trippone, eh. Così che non dicano che sono razzista verso i belli (bello, poi: mi pare un quarto di bue). :)
I primi due li vedrò senz'altro, nonostante il cuore che sussulta per un nonnulla (l'ultima puntata di Doctor Who, per dire, mi ha terrorizzato), così come vedrò con poche aspettative Assayas nei prossimi giorni.
RispondiEliminaSalto i supereroi del momento che non fanno per me e no, nemmeno il giovine accompagno in sala, e salto pure PIF, che fin dal trailer mi faceva storcere il naso... non mi convince, e vedo che ci vedo bene ;)
Tranquilla per Get Out, nonostante la tensione non manchi, e munisciti solo di fazzoletti per Bayona (c'è il mostro, sì, ma nessuna paura). Assayas è affascinante e incomprensibile come dicono. Avrei voluto leggere in qualche modo tra le righe del film, ma mi è stato impossibile. Mi dirai. ;)
EliminaCon A Monster Calls spero che Bayona sia tornato dalle parti di The Orphanage, che avevo adorato, e da quel che dici sembrerebbe di sì...
RispondiEliminaGet Out negli Usa in effetti è stato un po' sopravvalutato, comunque è una visione niente male.
In guerra per amore ho cominciato a vederlo, ma non l'ho mai portato a termine. A quanto pare non ho fatto troppo male.
Peccato che Personal Shopper non sia (almeno per te) allo stesso livello di Sils Maria, però mi incuriosisce decisamente. Il sequel dei Guardiani invece mi attira meno ed è strano che alla fine ti sia piaciucchiato. Dev'essere stata l'influenza di tuo papà. ;)
Ma anche l'influenza in generale, Marco, perché siamo andati in motorino e abbiamo beccato lo tsunami. A proposito di tsunami: di Bayona mi aveva commosso anche The Impossibile, ma questo - per quanto costoso e mainstream - forse è più vicino all'esordio, sì. Pif puoi saltarlo senza sensi di colpa, mentre Assayas (con tutto il bene che voglio alla Stewart, di recente) è abbastanza insalvabile. Anche se le sufficienze le strappa, perché ha una regia impeccabile e immagini che ricorderò (non solo gli spogliarelli). :)
EliminaA Monster Calls mi interessa, così come I Guardiani 2 visto che tutti ne parlano bene ( il primo non mi aveva esaltato, ma mi aveva divertito molto ).
RispondiEliminaDel primo metto in lista anche il libro, magari se lo becco in futuro in paperback scontato potrei farci ben più di un pensierino.
Già dovrebbe esserci il paperback, il prezzo non è esagerato mi pare. :)
EliminaA monster calls ancora mi manca, i Guardiani, come sai, li ho adorati, mentre ho dei dubbi su Personal shopper.
RispondiEliminaGet out niente male, anche se sono d'accordo che un pò di cattiveria in più non avrebbe guastato!
A Monster Calls lo adoretete in famiglia, vi so. ;)
Eliminaquesta volta hai beccato bei film. Avevo dubbi su a moster calls mi sa che una occhiata la merita ;-)
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