Un
uomo ammattisce se non ha qualcuno.
Vi so dire che si sta
così soli che ci si ammala.
Titolo:
Uomini e topi
Autore:
John Steinbeck
Editore:
Bompiani – I grandi tascabili
Numero
di pagine: 128
Prezzo:
€ 7,90
Sinossi:
Pensato
per un pubblico - i braccianti della California - che non sapeva né
leggere né scrivere, "Uomini e topi" (1937) è un breve
romanzo, ricco di dialoghi, che, nelle intenzioni di Steinbeck,
avrebbe dovuto essere in seguito adattato, come difatti avvenne, per
il teatro e per il cinema. Protagonisti, due lavoratori stagionali,
George Milton, e l'inseparabile Lennie Little, un gigante con il
cuore e la mente di un bambino, che il destino e la malizia degli
uomini sospingono verso una fine straziante. Il ritratto di
un'America stretta dalla sua peggiore crisi economica nella
drammatica rappresentazione di un maestro.
La recensione
Mi
faccio impressionare da quei libri di cui mi si dice: va letto, almeno
una volta nella vita. Su Uomini e topi è stato detto questo e
altro ancora. Lo citano romanzi e telefilm sacri e profani; lo
consigliano indiscriminatamente gli appassionati di lunga data e i
lettori della domenica; lo mettono in scena il laboratorio di teatro
del liceo statale, il cinema d'autore, le leggende di Broadway –
per assistere all'ultima riduzione teatrale con James Franco e Chris
O'Down darei un rene e qualsiasi cosa resti del cuore. Sono state
spese tante, tante parole per un libricino che supera a stento le
cento pagine. Cos'altro aggiungere, ci si domanda, alla fine di una
lettura che strema? Per fortuna non passa mai per la mente un altro
dubbio: perché comprarlo e leggerlo, a ottant'anni dalla sua
pubblicazione? Scopro la grandezza di John Steinbeck un giorno di
metà giugno, su una sedia di plastica in balcone. Torno a
sperimentare la reverenza motivata (ma in questo caso ingannevole)
per un titolo molto più grande di me e la poesia di queste parabole
americane che, da qualche anno a questa parte, ho imparato ad amare
profondamente. Le mie storie di campagna preferite, amate perché
raccontate a bassa voce, partono da qui. La semplicità di Haruf, le
amicizie al maschile di Butler, si rifanno a questi campi di grano
assolati. A questi poveri diavoli in blue jeans che camminano spalla a
spalla, si rovinano e si migliorano la vita, non si tradiscono.
George e Lennie sono due figure all'orizzonte che, da sfocate,
entrano man mano nel nostro campo visivo. In viaggio, in fuga. Il
primo è secco, sveglio, riflessivo. Il secondo, invece, è grosso e tonto: un
gigante buono che ignora qualsiasi malizia e accarezza cuccioli fino a
stritolarli – le mani pesanti, il cervello minuscolo. Si conoscono
da Dio solo sa quanto. Si accampano sotto i sicomori, sulle sponde di
un lago limaccioso, e mangiano fave in scatola alla luce di un falò.
L'indomani è un altro ranch.
«Per
noi è diverso. Noi abbiamo un avvenire. Noi abbiamo qualcuno a cui
parlare, a cui importa qualcosa di noi. Non ci tocca di sederci
all'osteria e gettar via i nostri soldi, solamente perché non c'è
un altro posto dove andare. Ma se quegli altri li mettono in
prigione, possono crepare perché a nessuno gliene importa. Noi
invece è diverso». Lennie lo interruppe: «Noi invece è
diverso! E perché? Perché... perché ci sei tu che pensi a me e ci
sono io che penso a te, ecco perché».
I
braccianti dividono una stanzetta, l'ossigeno, le speranze.
L'apprensione condivisa verso la giovane moglie del padrone – una
femme fatale dai vestiti leggeri e dal trucco marcato, che
vorrebbe fare l'attrice. Le donne e il gioco d'azzardo sono un
pericolo da scongiurare. In Steinbech ci si spezza la schiena. Sullo
sfondo, l'America ignorante e povera di spirito della Grande
Depressione. Introducono i capitoli rare descrizioni paesaggistiche e
il resto son dialoghi e soliloqui d'ispirazione teatrale. Si parla
poco, e per lamentarsi perlopiù della paga misera, di trucchetti pratici per sfangarla, di infortuni sul posto di lavoro che sbarrano il cammino. Si
spara ai cani per proteggerli dall'inoperosità della vecchiaia. Il
classico di Steinbech, essenziale e
laconico com'è, puzza e impreca, non fa cerimonie, ma resta impresso
per una delicatezza impensata. E, come Lennie, per una forza
animalesca di cui non si accorge quasi. Ti strugge, anche se tutto è
un presagio della fine e pagine passeggere vorrebbero invano impedire
l'attaccamento ai personaggi. Intenerisce, anche se preferirebbe la tua indignazione. Cosa scontata ma tant'è, Uomini e topi
è una lettura bellissima. Pur con una traduzione a tratti
compassata, non me ne voglia la memoria del nostro Cesare Pavese, e i tempi
che cambiano. I protagonisti sono l'eccezione alla regola
dei solitari. Il loro rapporto, impari solo in apparenza, li
completa. George spiega all'altro cos'è bene e cos'è male male (e spesso
e volentieri perde la pazienza). Quanto sarebbero facile le cose senza
di lui? Lennie gli insegna l'immaginazione, amica stretta della
speranza, e la tenerezza (e spesso, mortificato, minaccia di
andarsene). Quanto sarebbe vuota, però, la vita? E solitari i viaggi a
piedi, e scarse le speranze, e mal riposti i guadagni? I colleghi
della coppia, altrettanto male in arnese, aguzzano le
orecchie sentendo certi discorsi. Quell'inutile desiderio di
ricominciare, infatti, li tenta ancora – soprattutto l'acciaccato
Candy e Crooks, isolato dagli altri perché nero.
Ho
veduto centinaia di tipi arrivare per la strada e per i ranches, coi
fardelli sulla schiena e la stessa idea piantata in testa. Centinaia.
Arrivano, si licenziano e se ne vanno, e tutti fino all'ultimo hanno
il pezzetto di terra nella testaccia. E mai uno di loro che ci
arrivi. È come il paradiso. Tutti quanti vogliono il pezzetto di
terra. Qui io leggo molti libri. Nessuno trova il paradiso e nessuno
trova il pezzetto di terra. È solamente nella testa.
Gli
uomini e i topi condividono una favola dopo dodici ore spese nei campi. I
piani mandati amaramente a monte. Fantasticano su una terra promessa, al bando l'indiscrezione dei curiosi. Un fazzoletto di terra, il calore di una
stufa, ferie quando vogliono: conigli e carezze in quantità, su un pavimento di erbetta alfalfa. Con
l'indomani che è un altro ranch, sì, e lo stesso sogno impossibile prima di
coricarsi.
Il
mio voto: ★★★★★
Il
mio consiglio musicale: Bob Dylan – Blowin' in the Wind
L'ho adorato, davvero un libro più grande di noi!
RispondiEliminaRicordo la tua recensione a pieni voti, infatti.
EliminaGrandissimo, sì, però non ti fa sentire non all'altezza. Non è uno di quei romanzi - chiamiamoli pure classici - che non ti senti in grado di poter sostenere. Cosa importante.
si, devo ancora affrontare "Furore", quindi non so. Sta di fatto che come stile è molto scorrevole, fluido. Dovremmo riflettere: forse i grandi autori non sono quegli scrittori impossibili da avvicinare per stile e tema ma quelli che non ti fanno sentire il loro peso.
EliminaConcordo pienamente. Un altro autore che mi impressionava molto è Roth. L'ho letto lo scorso dicembre e, davvero, il timore era infondato.
Elimina"Furore" già ha una mole diversa... Chissà. Ci vorrà più pazienza, ma sono certo che è una lettura da fare. Spero di comprarlo presto.
L'ho letto una decina d'anni fa e ricordo solo che lo adorai. Mi hai fatto venire una voglia immensa di rileggerlo :)
RispondiEliminaTi ringrazio, Katerina!
EliminaPer me un capolavoro, amo molto la narrativa di Steinbeck.
RispondiEliminaMi fa piacere ti sia piaciuto^^
Moz-
Di Steinbeck, da oggi, ho in lista tutto! ;)
EliminaAnche a me manca, sai? Da sempre in TBR. Mi è tornato in mente proprio quando ne abbiamo parlato e, niente, finisco il secondo della Ferrante e poi mi sa che lo leggo, mi hai messo addosso un'urgenza pazzesca. Ora, mi chiedo se il problema è la mia scarsa personalità o, piuttosto, il potere persuasivo delle tue bellissime recensioni... devo rifletterci bene XD
RispondiEliminaIl pensiero già c'era quella volta in chat, ricordo...
EliminaE io, su tuo consiglio, ho preso proprio in questi giorni Il giovane Holden. Ho letto una pagina e già lo adoro, ma ho deciso che me lo concederò alla fine della Estiva. :)
Ciao! Questo è uno di quei libri che devo assolutamente recuperare!
RispondiEliminaChi dice "Va letto, almeno una volta nella vita" non mente. ;)
EliminaL'ho letto parecchio tempo fa, ma l'effetto che mi ha fatto è stato simile.
RispondiEliminaC'è poco da fare, va letto almeno una volta nella vita.
Alle storie di campagna e alle parabole americane però a parte qualche eccezione io non è che poi mi sia appassionato più di tanto... :)
In realtà sono una roba lontanissima da me - odio la campagna, bleah, e le americanate esagerate -, però certe prose mi emozionano tanto. Poco da fare.
Elimina(NB. Ho pianto come un vitello.)
Devo leggerlo pure io. Un classico ogni tanto fa bene all' anima.
RispondiEliminaSoprattutto questo, vedrai.
EliminaLibro brevissimo ma stupendo!
RispondiEliminaRecupero subito Furore se non l'hai fatto, perché è persino meglio.
Lo farò, è da poco uscita anche l'edizione integrale. :)
EliminaDai prima o poi lo leggerò, anche xk siete in troppi a parlarne bene!
RispondiEliminaPerò adesso fammi tornare da Furore... mica così smaltisci più di 600pp?? :-D
Invidio sempre la tua voglia di darti a questi "mattoni".
EliminaRicordo con lo Strega dell'anno scorso... Gesù...
Una volta nella vita va letto, sì. Da quando anni fa mi sono avvicinata a quest'America polverosa e classica, ci vado a stare almeno un po' all'anno, anche se in questo periodo proprio lì mi sono impantanata. Steinbeck è una meraviglia, sempre, qui doloroso e schietto come non mai, e bravo che ne hai parlato, e così bene :)
RispondiEliminaGrazie mille! :)
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