Il
Papa giovane conquistava, con l'angelus in apertura in cui si
schierava a favore dell'aborto e delle unioni civili. Ma era solo il
sogno ad occhi aperti di un quarantenne capitato per caso sul soglio
pontificio. Pedina manovrabile, si rivelava poi un osso duro. Bello
come Gesù, non si concedeva ai fotografi. Previdente, raccoglieva
confessioni nerissime per ricatti e tornaconti personali. Il colpo di
testa iniziale era solo lavoro d'immaginazione: e il resto? Lenny
Belardo è un santo o un diavolo? Il suo pontificato è una farsa?
Sorrentino ci è o ci fa? The Young Pope ha
un inizio sorprendente, soprattutto se i manierismi e i vezzi del
nostro regista poco li si tollera. Prende
un sulfureo Jude Law, attore non più sulla cresta dell'onda, e lo
consacra. Prende la Chiesa Cattolica, istituzione di dubbia
limpidezza, e ne scandaglia i meccanismi segreti. Tutt'intorno,
personaggi che il nostro Papa lo allisciano e lo sabotano: Diane
Keaton, guida spirituale che sostituisce una figura materna
latitante; uno strepitoso Silvio Orlando, più interessato alla
formazione del Napoli che al suo gregge; le biondissime Cécile De
France e Ludivine Sagnier, la prima scaltra addetta stampa e la
seconda moglie di una guardia svizzera; Javier Càmara, a New York
per incastrare chi la Chiesa la infanga commettendo violenza, e uno
Scott Shepherd che in Honduras fa vita lussuriosa. Un cast in forma
smagliante e un perfetto capomastro, eppure spesso fa capolino il
Sorrentino che non capisco: se la vestizione di Lenny con I'm
sexy and I know it in sottofondo
ha del geniale, se Nada ringrazia per un suo pezzo passato
inosservato e rispolverato qui dall'accorto regista campano, meno
riconoscenza e meno stupore vanno a una scrittura fiume che, al
solito, sconfina qui e lì nel kitsch. Mi sono parse ridicole – non
so se volontariamente o non – le tresche di Dussolier con la
conturbante consorte di un immaginario narcotrafficante; si arriva
alle puntate conclusive, purtroppo non all'altezza delle prime,
curiosi e un po' stanchi. Paolo Sorrentino non perde la sua
infondondibile cifra stilistica: qualcuno se ne rallegra, io non
troppo. Impossibile però, pur avendo storto a tratti il naso e
nutrendo più dubbi sul suo finale che sull'esistenza dello stesso
Dio, non riconoscergli innumerevoli meriti: monologhi e dialoghi
potentissimi, quando non abbondano i silenzi o le canzoni pop; una
direzione impeccabile e il coraggio dei folli; memorabili scene madri
(la preghiera silenziosa sul fondo di una piscina, o quella tra il rombare dei camion). L'egocentrico Sorrentino
racconta l'umanità di un Pontefice che somiglia un po' a Bergoglio,
un po' a Luciani, un po' a Ratzinger, ma The Young Pope è
tale e quale a lui: supponente, misantropo, strabordante. Crederci è
un atto di fede. Non apprezzarlo – soprattutto se in dieci ore
complessive, da spettatori profani, c'era da temere maggiori
stranezze – è peccato mortale. The Young Pope non
ha convertito appieno uno scettico come me - se si parla di
religione, se si parla di presunto cinema d'autore. Ma nonostante i
nostri reciproci peccati - ermetico lui, in compagnia di un
fondatissimo pregiudizio io – è gaudio e tripudio per il
controverso Pio XIII. (7,5)
La
protagonista senza nome è
una trentenne non particolarmente fortunata in una Londra non
particolarmente ospitale. Proprietaria di un bar la cui attrazione
principale è un porcellino d'india, abbandonata da una socia in
affari morta suicida, la ragazza – single, anaffettiva, sarcastica
– si dipana tra relazioni di una notte e via, imbarazzanti cene in
famiglia, tentativi disperati di salvare dal fallimento
quell'attività in cui ha investito tempo e speranze. Poco
appariscente, sempre su piazza, accoglie nel proprio letto amanti
occasionali che, dopo la sveltina, hanno sempre di meglio da fare.
Sua sorella, madre di famiglia, al contrario, è la perfetta donna di
casa. Fleabag è immatura e
sola, ma ci ride su. Si concede e non pensa al futuro. Nei suoi
sguardi in camera, tanta simpatia ma un fondo d'amarezza. Sboccata,
leggera, irresponsabile, ci apre per venti minuti a settimana le
porte della sua vita a un bivio. E fa morire dal ridere, con
l'umorismo nero di Catastrophe e
gli spunti di un Girls
londinese, ma c'è altro. Tra siparietti e amplessi, il pensiero
fisso all'amica scomparsa. C'è un segreto, un dolore, che la
protagonista tiene infatti per sé. Fleabag
potrebbe essere la comedy rivelazione di questo 2016. Ha un'ironia
che adoro, un formato che non annoia e, soprattutto, una protagonista
perfetta. La giovanissima Phoebe Waller-Bridge, anche autrice, ha un
viso davanti al quale è impossibile restare seri: anche affascinante
a modo suo, con un accento che rende perfino i brutti anatroccoli
irresistibili, ha un'espressività – penso a Rowan Atkinson, a
Leslie Nielesen – straordinaria. Purtroppo, sei episodi son pochi.
E finisce senza che tu te ne accorga, quasi. La settimana successiva
ero lì che, invano, ne aspettavo un altro. In attesa che la
Waller-Bridge ritorni, con il suo trucco a pezzi e la sua tragicomica
vita privata, con un segreto messo finalmente a nudo, si aguzzano le
orecchie in attesa di un ronzio. Chi avrebbe mai detto che avrei
aspettato con tale impazienza l'arrivo di una dolce parassita? (7)
Nella
miriade di comedy che ho sedotto e abbandonato, You're the
worst – che eppure parla di
due amanti allergici alla serietà, alla relazioni a lungo termine –
ha avuto un destino ben diverso. Mi fa compagnia da tre anni. La prima stagione, sexy e
innovativa, era una commedia rosa che abbracciava un intero spettro
di colori. La seconda, più riflessiva, mostrava i protagonisti a un
bivio: si rimaneva amici di letto anche nella cattiva sorte? Si
finiva con un ti amo,
quella volta lì; con la voglia di non scappare a gambe levate
dall'altra parte. Jimmy e Gretchen sono tornati con l'estate che
finiva. Con loro, un Edgar che tenta la strada dello youtuber e cura
i suoi traumi di guerra con la scusa della marijuana terapeutica; una
Lindsday sempre irresponsabile e svampita che, in dolce attesa, si
riprende il vecchio marito e propone di aprire la camera da letto a
un terzo incomodo. Jimmy, romanziere dall'eterno blocco, scrive
recuperando il tempo sprecato: l'improvvisa morte del padre, uomo
profondamente odiato, da una parte lo motiva e dall'altra gli dà
nuove rogne. Voleva diventare autore di best-seller e trasferirsi in
America solo per fargli un dispetto? Gretchen, in cura da un'analista
a cui rivolge insulti su insulti, uscita dal baratro, prova a essere
una buona compagna e un'amica affidabile: difficile, se non
addirittura impossibile, abbandonare il suo sregolato, consolidato
modus vivendi. Stessa squadra vincente, stesso umorismo pungente, meno ammiccamenti e più responsabilità in ballo. Ma
questo nuovo appuntamento con You're the worst, nonostante
i suoi tredici episodi complessivi, non porta purtroppo a nuove
svolte. Si sorride e, qui
e lì, se gli episodi contemplano le vicessitudini di personaggi
secondari che poco abbiamo a cuore, li si salta per noia. L'inglesino
Chris Geere e l'adorabile Aya Cash non maturano, eludendo per il
terzo anno consecutivo doveri e scadenze. Quando si passa da
impegnati a fidanzati ufficialmente? Quando si cresce? Se non si va
né avanti né indietro, perché allora non ci si lascia per sempre?
La serie di Stephen Falk resta realistica, cinica, brillante. Nel male, la solita. (6)
Seguo solo Pio XIII, e arrivato alla settima puntata devo dire di essere abbastanza d'accordo. Partenza fortissima, ora sta rallentando. Spero nel finale.
RispondiEliminaAlcune sottotrame sono proprio risibili. Colpa mia, che ragiono per libri? Mi dirai. Il finalissimo è d'effetto. Quello che c'è prima, insomma. ;)
EliminaIo sorrentiana DOC, Young Pope l'ho amato di più, e certi dialoghi li inciderei sul muro, e Jude me lo guarderei per ore, anche papa, resta una meraviglia.
RispondiEliminaFleabag è lì che aspetta il suo spazio, troppe serie lasciate in disparte e che ora sto recuperando, la precedono, ma la vedrò!
Mezza delusione, invece, You're the worst, che non sapendo dove andare concede troppi episodi laterali, un finale che non ci si aspetta, anche se il penultimo è un tripudio di regia. Peccato, ma a Gretchen e Jimmy voglio sempre un gran bene.
Ha indubbiamente cose splendide, però Sorrentino non può fare sempre come gli pare. Nella scrittura, avrebbe bisogno di una mano; un angelo custode che, qui e lì, gli dice: ma che diamine scrivi? La tresca del rosso ci ha lasciato davvero così, in famiglia...
EliminaFleabag la amerai di certo; concordo su Jimmy e Gretchen, ma Lindsday farebbe incazzare pure Gandhi. :)
The Young Pope fenomenale!
RispondiEliminaE' vero che negli ultimi episodi cala un po', e la sottotrama col narcotraffico era evitabile, però nel complesso si è rivelata comunque la serie più sorprendente oggi in circolazione.
La terza stagione di You're the Worst a me è piaciuta parecchio, molto più della seconda. Gli episodi dedicati ai personaggi minori poi sono stati davvero scritti alla grande e anche a livello registico è migliorato parecchio.
Di Fleabag ho visto il primo episodio: divertente, ma non mi ha ancora convinto del tutto. Vedrò con i prossimi...
Ah, vedi?
EliminaIo quest'anno mi sono proprio annoiato. E, tralasciando il bellissimo episodio dedicato ad Edgar, qualcuno l'ho pure saltato. :-P
... Allora dovrò immergermi nella sorrentinitá televisiva...
RispondiEliminaPenso che piacerà più a te, tra l'altro. :)
Elimina...ancora non ho visto la prima di "Young Pope", dovrò portarmi avanti in queste vacanze natalizie...
RispondiEliminaEh, sarà un lungo recupero.
EliminaSe si accumulano le serie tivù, oh, mi viene il panico!