Guardandole
non si direbbe. Una che si atteggia da gran signora, l’ombrellino
orientale e i vestitini griffati, e l’altra tutta nervi e tatuaggi. Che siano amiche, dico. E, soprattutto, che si
siano incontrate nella stessa gabbia di matti, in un rumoroso
casolare toscano. Beatrice, vanitosa e aristocratica, ha il numero di
George Clooney in rubrica, fa foto con il Presidente, millanta
parentele tanto importanti quanto improbabili.
Altezzosa e appariscente, starnazza, urla al complotto, ordisce – e
intuisce – piani superiori. Donatella, a un passo dall’anoressia
e dall’abisso, è tutta il contrario, con i modi rozzi, il fare
taciturno, il nome in un articoletto di cronaca nera. Scappano, con i
capelli al vento e le macchine rubate. Come Thelma e Louise sotto
Valium. Dai guai, dalle vane minacce dell’interdizione: verso una
gioia su misura. Per la prima, un bagno caldo, le bollicine, i
ristoranti stellati. Per l’altra, che parla poco e piange sempre,
il figlio che le tengono lontano. Non sanno tenere a bada gli sbalzi
d’umore e le ricadute: cosa combineranno con il cuore tuo,
spettatore medio, tra le mani? La pazza gioia, che arriva da
noi dopo la calorosa accoglienza a Cannes e il da me poco apprezzato
Il capitale umano, è il ritorno e la conferma di un regista
che ci rendeva fieri e soddisfatti ancora prima che un Mainetti, un
Genovese o un Rovere giungessero in sala, per farci gridare alla
novità. Virzì non si smentisce né si svende. E nemmeno sorprende,
a mio dire, con una tragicommedia che è perfettamente nelle sue
corde, e senz’altro alla sua risaputa altezza. Porta con sé due
fedelissime: Micaela Ramazzotti, che l’ha anche sposato; quella
Valeria Bruni Tedeschi che mi fa antipatia da un po’. Il
pregiudizio, però, lascia il tempo che trova. La prima avrà trovato sì un marito facoltoso, un nome, ma Virzì in lei ha incontrato la sua
musa: straordinaria, in particolare, in un monologo sul lungo mare di
Viareggio, in abito rosa confetto. L’altra, sorella di “Carlà”,
ci sfida a non trovarla esilarante e procace, questa volta, con la
parlantina a raffica, le scollature profonde, le arie da parvenu.
Sono in sincronia: opposte, ma inarrestabili. Non c’è camicia di
forza che tenga, non c’è sbavatura che le faccia sfigurare –
qualche ripetizione al centro, ad esempio, e un epilogo poco netto.
La pazza gioia fa affidamento su di loro, una scrittura preziosa,
un Virzì che per galanteria fa troppo spazio alla Archibugi
sceneggiatrice. E non si scappa, davanti a un’ilarità esagerata –
quella di chi un po’ ride e un po’ si strugge – e una
commozione che, se non fosse stato per un cinema pieno e la mia
discrezione, sarebbe giunta onesta e torrenziale. Con il
mare al mattino, l’intramontabile Paoli che concilia, tutta la
speranza del mondo. Anche se, inclini alla malinconia, i lieto
fine non ci piacciono, ma c’è chi – nonostante tutto e nonostante noi – si merita un bene possibile senza pastiglie.
(7,5)
Alice, non
richiesta, è tornata. Sulla terra ferma, dopo un viaggio presso i
confini del mondo. Nel Paese delle Meraviglie, usando uno specchio per portale. In sala, a sei anni di distanza, con un cast
riconfermato, un James Bodin che di Tim Burton scimmiotta il kitsch e
l’opulenza, un Johnny Depp che, come il suo Cappellaio, è in crisi
d’identità. Nei mondi vagamente ispirati ai capolavori surreali di
Lewis Carroll, infatti, c’è grande preoccupazione per le sorti di
colui che festeggia i non compleanni e anima l’ora del tè.
Colpevole non di violenza domestica ai danni della sua bellissima
moglie bensì di avere procurato la morte della sua famiglia (o
almeno è quello che tra sé e sé si dice), si è immalinconito e va
sbiadendo. Ritornare indietro nel tempo, allora, per saperne di più,
scongiurare la catastrofe e, per la seconda volta, ricercare un lieto
fine che ai matti e ai lunatici non dona granché. Tra i pochi al mondo
ad avere abbastanza gradito il primo – quindicenne, lo avevo visto
in compagnia, in un pomeriggio in cui ero stato particolarmente
felice –, mi approccio al sequel scettico, annoiato e già messo in
guardia dalla critica. Come da programma, io che eppure di recente mi
sono goduto cosette come Il cacciatore e la Regina di ghiaccio,
lo trovo caotico, buonista, pacchiano. Ci sono quei salti nel
passato per cui ho un noto debole (e qui si vengono a sapere i
segreti del Cappellaio e le gelosie tra le due Regine rivali), e c’è
il non trascurabile fatto che la Alice del titolo sia poco più che
una figurante, in una trama pretestuosa, raffazzonata, piena zeppa di
coincidenze e buchi cosmici. Se una giovane lanciatissima come la
Wasikowska, data la pochezza del ruolo, non avrebbe dovuto
partecipare, fanno bene – o almeno, il solito – questo Depp in
caduta libera, una scoppiettante Bonham Carter, un Sacha Baron Cohen
insopportabile. Il resto è la pochezza più totale, infiocchetta ad
arte dagli scaltri arraffoni dei castelli Disney: se proprio ti
piacciono i ghirigori, i toni iridescenti, gli interpreti sopra le
righe di personaggi fuori dal Creato, le bomboniere senza anima e confetti. (5)
Cody, passato
da una famiglia affidataria all'altra, vuole una mamma e un papà che
si prendano cura di lui. Jessie e Mark vogliono in casa una piccola presenza che scacci il
vuoto – e gli spettri – del figlio defunto. Le carte per
l'adozione, una psicologa che fa da tramite e, in poco, la loro
storia può avere inizio. Ma Cody, posato e intelligente, ha un
segreto miracoloso: di notte, i suoi sogni diventano veri. Il
salotto, dunque, è invaso da farfalle variopinte, alberi decorati e,
infine, dal riflesso di quel bambino annegato ma che, dall'aldilà,
attraverso l'illusione, consola i due protagonisti. C'è un ma: a
trasformarsi in realtà, anche i suoi incubi. E, in precedenza, hanno
già divorato i vecchi tutori, svaniti nel nulla. Chi è l'Uomo
Cancro di cui tanto ha paura? Come fermarlo, se non assecondando i
rituali del piccolo: caffè forte, bibite energetiche, luce accesa
per non prendere sonno? Somnia, thriller paranormale che
giunge in sala nel momento più propizio, ha la firma e la direzione
di Mike Flanaghan – molto apprezzato altrove per Oculus e
Hush: da me, non troppo – e, nei panni dell'infante del
mistero, il prodigio dell'anno: un Jacob Tremblay meno impegnato che
in Room, ma che anche con un taglio netto della chioma, una
sceneggiatura semplice ma d'effetto e un doppiaggio pessimo,
dall'alto del suo metro e un po', assicura empatia e sconfinata
tenerezza.
Insieme a lui, una buona Kate Bosworth e un Thomas Jane che, al
contrario dell'irresistibile Tremblay, avrebbe bisogno sì di
cambiare parrucchiere. Il trio, in un'ora e trenta che
scorre senza sbadigli o grossi sussulti, con uno spunto narrativo
originale sfruttato né al meglio né al peggio, spinge furbamente
sulla presa emotiva che, alla lontana, si rifà agli horror del filone più commovente: The Orphanage, Babadook, La madre.
Il risultato, sebbene poco memorabile, mi è piaciuto: la fattura è
quella dei prodotti di genere che affollano le sale nella bella
stazione, né più né meno – comprimari non di prima scelta,
sceneggiatura alla buona, riferimenti di cui non si è sempre
all'altezza –, ma davanti agli occhi grandi dell'attore dell'anno,
troppo profondi per spaventare, e a un risvolto toccante, fiabesco,
qualche brivido sparso e qualche farfalla immaginaria, al risveglio in un nuovo mattino, l'ho ritrovata. (6,5)
Laura, bella
e popolare, accetta tra le sue amicizie – virtuali e non – la
schiva Marina: l’abbigliamento goth, una vita sociale non
contemplata, la passione per l’arte e l’occulto. I suoi amici
sghignazzano, ma la protagonista, non la solita adolescente
superficiale e senza cuore, dà corda alla ragazza che, a lezione,
siede sempre da sola. Finché non inizia a diventare invadente, a
chiedere troppo: la diplomazia di Laura si esaurisce e Marina,
rifiutata, si impicca, lanciando un video che diventa virale. Non va
via, però: il suo corpo non viene ritrovato, la bacheca della sua
nemica diventa un luogo di video truci postati dall’oltretomba, il
portatile – come lo specchio nero delle streghe – potrebbe averne
conservato l’anima e la malvagità. Se Somnia poteva essere
meglio, da Friend Request, horror estivo ambientato nell’era
Facebook, ci si poteva aspettare certamente il peggio. Invece, pur
nella sua mediocrità, si guarda con piacere e qualche raro sussulto,
fino a un epilogo, a onor del vero, scontato: un’escalation
di suicidi, una vendetta, il cyber bullismo della vittima verso la
sua aguzzina senza colpe. La ghost story più atipica si muove a
colpi di click e “mi piace”; isolamento e orrore, la fobia tutta
contemporanea di trovarsi tagliati fuori dai social, sono messi a
fuoco da una regia cupa, spunti discreti, risultati dignitosi.
Ispirato a Carrie e a un The Ring, meglio di qualsiasi
Ouija, ha dalla sua protagonisti tollerabili – il principe
di The Royals, il fratello minore di Gossip Girl, la
bella di Fearing the Walking Dead – e un’ora e mezza che
va, forse non si ricorda, ma lascia comunque intrigati il necessario. (5,5)
Ancora prima
che il mio spirito del Natale morisse del tutto, c'è una cosa che ho
sempre detestato: il cenone in famiglia. Solo io, tra
tombolate per cui uccidere e discorsi che proprio boh, mi sono
chiesto: ma sotto quale cavolo mi avranno mai trovato? Se lo chiede
anche il piccolo Max che, a dieci anni, continua a scrivere lettere a
Babbo Natale e a confidare nelle tradizioni. Tranquillo e sognatore,
va in bestia quando iniziano le liti con i cugini più grandi, le
frecciate degli zii, i silenzi sospetti di mamma e papà. Strappa la
lettera indirizzata al Polo Nord, esprime un fatale desiderio. E
sulla casa, al buio, scoppia la bufera: tagliati fuori dal mondo, non
sanno che hanno aperto le porte all'ombra di Babbo Natale e ai suoi
aiutanti. Perché la nonna, che parla solo tedesco e crede alle
leggende, non vuole che il fuoco del camino si spenga? Di chi sono le
risate, le minacce e gli squitti che precedono l'arrivo del
famigerato nemico delle feste? Krampus, atteso lo scorso
dicembre in sala e poi misteriosamente scomparso dalla
programmazione, spunta in rete. Odio i film a tema che affollano
Canale Cinque nel periodo fatidico, ma anch'io, come tutti, ho avuto
un'infanzia piena di cult. Un posto speciale nella mia
memoria, dunque, al Mamma ho perso l'aereo che eppure precede
di quattro anni la mia nascita. Un'altra rimpatriata, altri parenti
che scatenano il peggio di noi, e così il desiderio
dell'indimenticabile Kevin McCallister diventava realtà: feste
solitarie per lui, festeggiamenti di sangue per la commedia horror di
Michael Dougherty, che cita – nel raccontarci l'assedio di Max e
dei suoi familiari – il cinema per tutti di Columbus e,
soprattutto, Joe Dante. Krampus è un home invasion sotto la
neve, essenzialmente, i cui ospiti – omini di pan di zenzero
assassini, clown, elfi poco amichevoli – strizzano l'occhio ai
celebri Gremlins e ai giocattoli in movimento di Small
Soldiers. Se l'idea è stuzzicante, se il mix colpisce nel segno,
la scrittura fa il minimo indispensabile: ci sono paurosi cali di
tensione a metà, gli spauracchi e i sorrisi scarseggiano, il finale
risulta telefonatissimo. Anche Krampus, così affascinante quando
mostrato in uno splendido flashback a cartoni, pur essendo l'ospite
più atteso, a tratti (nonostante la totale mancanza di ironia e
la recitazione amatoriale di quel film lì) lo si preferiva nel b movie A Christmas Horror Story, che non a caso avevo evitato di recensire. (6)
Tra questi titoli ho visto solo "Somnia" che, pur molto diverso da quello che mi aspettavo, non mi è dispiaciuto affatto!
RispondiEliminaLa visione di "Alice attraverso lo specchio" l'ho rimandata a data da destinarsi, continuo a leggere pareri negativi quindi... mi sa che ne posso fare a meno per ora.
Mi incuriosisce "La pazza gioia" ;)
Alice è veramente bruttino ma, dato che neanche il primo brillasse chissà quanto, la delusione è poca.
EliminaVirzì, invece,è splendido. :)
di virzì mi era piaciuto più il capitale umano, somnia mi ha dato le stesse sensazioni che aveva dato a te hush e con krampus mi sono abbastanza divertito!
RispondiEliminaIo Il capitale umano l'ho trovato gelido, quando invece Virzì, sin dai tempi di Ovosodo, è sempre stato molto molto di cuore. Non tra i suoi migliori, questo, gli preferisco anche l'indie Tutti i santi giorni, però solidissimo. :)
EliminaSomnia e Alice prima o poi li vedrò, ma senza fretta visto che epici non sono. Credo che Virzì lo consiglierò al marito a cui piacciono i film italiani di questo genere. :) tnx
RispondiEliminaGrazie a te!
Elimina(Ma i film belli, Saya, piacciono a tutti: vedrai.)
Sono proprio curioso di vedere La Pazza Gioia, mentre sul sequel di Alice girerò a largo, mi è bastato il primo capitolo. :)
RispondiEliminaIl primo già era vagamente accettabile, sarà che avevo (ma mica tanto) l'età. Questo si guarda, eh, ma mi hanno disgustato questi colori forti, io che già trovo vomitevole il gusto di un autorone come Anderson :)
EliminaSomnia lo devo vedere mentre Alice l'ho trovato carino a parte l'inizio lento... decisamente meglio il primo ;)
RispondiEliminaE già il primo non è che fosse una pietra miliare... ;)
EliminaHo visto la pazza gioia e non ti nascondo che la scena della spiaggia,quando lei raccoglie il suo vestito rosa e se ne va tutta sporca di sabbia,ha provocato un pianto irrefrenabile.
RispondiEliminaTroppo dolore troppo rimpianto,lei bravissima.
Come anche l'altra protagonista.
A me è piaciuto tantissimo,mi ha emozionato come non mi succedeva da tempo.
Gli altri titoli appartengono a una categoria per me impraticabile.
Effettivamente, non ti perdi niente.
EliminaSì, quella scena è molto molto commovente.
Già con La prima cosa bella, Virzì e la sua Ramazzotti, mi avevano giocato un brutto scherzo di questi. Film molto tenero, quello.
Friend Request da me non è passato e non riesco a trovarlo, mortacci. Ci avrei tenuto a stroncarlo come merita.
RispondiEliminaSomnia è una favola nera particolare, che è riuscita a commuovermi come non aveva fatto nemmeno La madre. Flanagan sta diventando uno dei miei autori horror preferiti e il piccolo Jacob Tremblay lo porterei a casa per coccolarlo fino allo sfinimento, santo pulcino!
Krampus, per finire, mi aveva divertita tantissimo, più per il contorno da incubo della famiglia che per la (pur cattivissima) componente horror.
Ma Friend Request non è male, l'ho preferito a un The Boy. Purtroppo, d'estate, i parametri di giudizio tocca abbassarli...
EliminaLo trovi sui soliti siti!
Considerando il mio buon rapporto attuale con il cinema italiano, il nuovo di Virzì sembra avere le carte in regola per farmi dare alla pazza gioia. :)
RispondiEliminaSomnia carino, anche se Jacob Tremblay a questo giro mi è sembrato un po' addormentato. Sarà per via della parte... :D
A Friend Request darò una possibilità. A Krampus probabilmente anche, ma non prima del prossimo Natale. Per me la stagionalità del cinema è Sacra.
Considerando che al primo Alice io avevo dato 3, il tuo 5 mi sembra parecchio generoso. E lo dico sulla (s)fiducia, non avendo ancora visto questo...
Per via della parte, e del doppiaggio da ergastolo.
EliminaKrampus scommetto ti piacerà più che a me, Friend Request è molto teen (quindi potrebbe essere un bene).
Il primo Alice, per me, era sufficiente sulla fiducia. Lo ricordo poco e non lo rivedo giusto per non darti completamente ragione ;)
Tralasciando horror minori e Alici che non mi invogliano nemmeno un po', felice che ti sia piaciuto La Pazza Gioia, anche se già sapevo e già potevo intuire :)
RispondiEliminaBe', si va a colpo sicuro. ;)
EliminaVirzì mi è piaciuto moltissimo e in realtà non mi ha mai delusa. Devo recuperare il Capitale umano (che pare non esserti piaciuto)e anche Tutti i santi giorni. Ero rimasta a La prima cosa bella.
RispondiEliminaValeria Bruni Tedeschi è stata una rivelazione.
un saluto da Lea
La prima cosa bella era bellissimo, dovrei rivederlo.
EliminaKrampus a me è piaciuto molto di più.
RispondiEliminaGli altri mi mancano, ma penso che darò una possibilità solo a Virzì, evitando accuratamente soprattutto Alice.
Virzì ti piacerà.
EliminaSu Krampus, forse ne avete parlato così bene che mi avete fatto pretendere qualcosa in più: molto carina la prima parte, ma quel tripudio di computer graphica, sul finale, mi ha un po' annoiato.
E in Somnia si parla di figli, Ford! E Tremblay è un figlio tanto tenerello, ormai è assodato. ;)