Qualche
giorno fa ho fatto l’albero. Mi sono subito accorto che
c’era qualcosa che non andava: era stato riposto di fretta e
qualche ramo si era spezzato; due delle quattro serie di luci led,
inoltre, erano fulminate. Rinunciare all’idea oppure montarlo come
andava andava? Storto e spennacchiato, adesso mi fa compagnia mentre
scrivo: non è il primo che metto in piedi da solo. Odio l’allegria
obbligata del mese corrente, e la conta degli alberi di Natale fatti
alla bell’e meglio mi aiuta a tenere a mente gli anni
trascorsi da quando siamo andati in pezzi. L’ultima immagine della
mia famiglia risale a dicembre. Quest’anno fanno quattro
anni: pensavo di più. Ripenso alla nostra vecchia formazione, e
sembra una vita fa. Mentre cercavo di
non cader vittima della malinconia, l’attesa alle stelle
mi ha spinto a vedere l’ultimo film di Baumbach – acclamato
a Venezia, ma tornato a bocca asciutta – in occasione di questa
amara ricorrenza. A dicembre, ho visto finire anche il matrimonio tra
Adam Driver e Scarlett Johansson. E la visione mi ha talmente
devastato che in sala, sentendomi singhiozzare, qualcuno
avrebbe chiamato un’ambulanza. Purtroppo o per fortuna, è soltanto su Netflix. La mia potrebbe sembrare
la cronaca di un dramma pesante e distruttivo, ma chi
conosce il cinema di Baumbach – io pochissimo, e ammetto di non
averlo mai apprezzato – non può che aspettarsi siparietti
esilaranti, vedasi ad esempio i piantonamenti dell’assistente sociale, o comprimari sopra le righe come l’avvocatessa
di un’inviperita Dern. Lui e lei all’inizio
restano in rapporti civili: legati da un sodalizio artistico lungo un
decennio, giungono a un crocevia nel momento in cui le loro carriere
prendono strade opposte – il primo scritturato a Broadway, l’altra assunta per una serie TV a Los
Angeles. Il goffo pigmalione e la sua musa entrano in
collisione per il bene dell’unico figlio. Chi lo crescerà, e dove?
Inizierà una lunga battaglia legale e, senza esclusione di colpi, ci
si farà male. Benché colti e divertenti, gli ex diventeranno delle
belve: una sorte che non risparmia nessuno.
Nemmeno il regista in persona, che in un film autobiografico commuove
parlandoci delle contraddizioni dell’uno e dell’altro. Allora
quanto odio per Scarlett: colei che fa il primo passo e sceglie infine
il tribunale. Quanto odio anche per Adam: un gigante buono che, in
una lite furibonda, vomita parole così oscene da farmi
sentire l’esigenza di mettere in pausa lo streaming. Da figlio di separati,
ho sentito ogni recriminatoria. Ma le lacrime sono scorse
più per la bellezza dei piccoli gesti che per la bruttezza delle
parole pesanti. Anche quando tutto è finito si
trova infatti qualcosa per cui sorridere: il ritornello di un musical
al karaoke; un foglio volante con su scritti i pregi della persona
amata; il dettaglio di quei capelli ormai da accorciare, o di una
scarpa sciolta. Come permettere che un nostro
caro inciampi? Non si può. E così io mi
preoccupo, faccio giri di telefonate, addobbo. Onorando il
padre e la madre, nella casa del matrimonio che hanno disonorato.
(8,5)
Dopo
il dramma della Ruota della fortuna, dopo lo scandalo
dell’infamia, il prolifico Woody Allen ha voglia di voltare pagina
e dimenticare. Tornando a un passato d’oro: ossia quello dello
skyline di Manhattan, del jazz in filodiffusione, dei bellimbusti
galanti e nevrotici. Lo fa con una commedia come non ne dirigeva da
un decennio, sabotata in patria e salutata con affetto in Italia: una
sorpresa. Invecchiando, infatti, ci si inacidisce. Il regista
ottuagenario è invece protagonista di una novella fioritura. In
forma smagliante, compone un puzzle romantico con ogni pezzo al posto
giusto e una sceneggiatura talmente brillante da rendere gli zigomi
doloranti per il ridere. Poligono sentimentale perfettamente in linea
con il suo stile, ma riadattato a favore delle nuove generazioni, può
contare su una scrittura a orologeria e su un autore quanto mai al
passo con i tempi. Divertenti, divertiti e meteoropatici, i
protagonisti passano un giorno in città: il prezzemolino Chalamet,
elegantemente fuori moda, è figlio dell’Upper East Side ma come Il
giovane Holden rifugge i salotti e l’ipocrisia; Elle Fanning,
attrice dal talento comico finora inespresso, è una reginetta di
bellezza la cui ingenuità suscita ilarità nel pubblico e mai
biasimo: desiderosa di essere una reporter, si perde appresso a
scandali da rotocalchi, contesa da un regista in crisi, uno
sceneggiatore tradito e un attore traditore; Selena Gomez, amica di
famiglia, stupisce invece piacevolmente per le risposte acidissime e una sensibilità affine a quella del protagonista. La
pioggia spariglia le carte in tavola, cambia le relazione e il colore
del cielo. Imbottiglia le automobili in code infinite. Qualcuna la
ama, qualcun altro la odia. Ma in un film delizioso e scintillante
come questo – Storaro, illuminami d’immenso; Allen, mi
trasferisco in una tua commedia – vien voglia di buttare l’ombrello
e di saltare nelle pozzanghere. Per godere del futuro arcobaleno: una
visione in mezzo allo smog. Per concedersi un altro amore: una
salvezza dal solito cinismo. (7,5)
Non
avendo rapporti idilliaci con Tarantino, ho affrontato
piuttosto spaventato le due ore e trenta del suo film più divisivo.
Confuso dai pareri discordanti, al tempo dell’uscita ho preferito
evitare noie e delusioni: conservo infatti ricordi pessimi
dell’interminabile The Hateful Eight, visione che ricordo
particolarmente faticosa. Poteva andarmi meglio. Poteva andarmi
peggio. C’era una volta a Hollywood è costituito da storie
che viaggiano a velocità sostenuta e che non si incontrano mai sullo
stesso binario. Storie di ricadute e rinascite, con lo star system sullo sfondo, dove invenzione e verità si mescolano a
piacimento ma senza un disegno preciso. Qual è il punto di questo
film: lungo, popoloso, ondivago? La prima ora e mezza è occupata da
un piacevolissimo andirivieni di bella gente. DiCaprio, talento della
recitazione intrappolato in ruoli da antagonista, sgomita per
brillare in western dimenticabili; Pitt, controfigura e autista
part-time, lo scarrozza a destra e a manca; Margot
Robbie, sempre al centro della scena a passo di danza, è invece la
splendida moglie della casa accanto. Il delitto di quest’ultima,
Sharon Tate, è appena marginale. Il ranch di Manson è intravisto in
una tappa fugace e, se non fosse per un trascurabile cameo, Charlie
sarebbe assolutamente assente. Ci sono gli anni Sessanta però:
dappertutto attori glamour, finanche fra le comparse – Pacino,
Fanning, Hirsch, Olyphant –, radio e televisori ad alto volume. Una
Los Angeles polverosa e trafficata, zeppa di figli dei fiori,
caravan e inattese proposte di lavoro. La prima parte mi è piaciuta moltissimo. Peccato per quel salto
temporale di sei mesi: con Leonardo di ritorno dalle riprese in
Italia, l’intromissione di un’orribile voce
narrante, l’arrivo della famigerata notte del massacro – qui
messa in ridicolo e affrontata in un trip inutilmente
sanguinoso, con mosse alla Bud Spencer. Lieve e autoironico, a
confine tra omaggio e fiaba, l’ultimo Tarantino
usa il cinema – fabbrica dei sogni per eccellenza – per
riscrivere la storia. Ma il suo film, sentito ma piuttosto sbavato,
dubito che scriverà la storia della settimana arte. Soltanto i fan, di parte, potranno reputarlo riuscito. (6,5)
Altro
film d’autore passato in Laguna, altro grande ritorno, L’ufficiale
e la spia non è tornato in Francia a mani vuote: contestatissimo
dalla stampa a causa dell’ennesima denuncia a carico di Polanski,
il thriller d’inchiesta ha preso Venezia in contropiede guadagnando
a sorpresa il Gran premio della giuria. Alla contentezza generale, a
scatola chiusa, mi sono aggiunto anch’io: è necessario scindere
l’artista dall’essere umano; condannare l’uomo senza censurarne
il lavoro. A fine visione, reduce da un film tanto solido quanto
scolastico, purtroppo ammetto a malincuore un po’ di delusione
davanti a una ricostruzione nient’affatto memorabile. Forte di un
irresistibile fascino polveroso e dell’interpretazione di Jean
Dujardin, ci fa dimenticare a colpi di eleganza il disastro che fu
Quello che non so di lei. Ma benché tecnicamente esemplare,
per me resta piuttosto modesto sul piano narrativo. Avvincente ma
schematico, si sfilaccia e si appesantisce nella parte conclusiva.
Perde gradualmente potenza, fino a risultare una cronaca
enciclopedica in sede di processo: la parte clou, ridotta purtroppo a
una piccola parentesi nella quale ci si scorda della vittima Dreyfus.
Interpretato da un irriconoscibile Garrel – purtroppo, rispetto a
lui, sulle scene è più presente la pessima Seigner –, l’ufficiale
ebreo accusato d’alto tradimento viene prima recluso su un’isola
deserta, poi riscattato dalle indagini del suo superiore.
L’antisemita Dujardin, infatti, dichiara la propria fallibilità di
uomo e di statista davanti alla falsità dell’accusa e trascina in
tribunale i servizi segreti. Seguire il proprio orgoglio, o l’onestà?
Leggibile tra le righe anche in chiave autobiografica – Polanski si
dichiara innocente –, quest’atto di accusa risulta ancora
attuale, ma mi è parso freddo e informativo. Restano quadri
bellissimi, con simmetrie vagamente hitchcockiane, e la sensazione di
trovarsi al cospetto di un’opera da museo. E in un museo non si alza la voce. Non ci si arrabbia. Non ci si indigna. (6)
Nooo, cattivissimo con Quentin!
RispondiEliminaChe invece per me ha fatto il suo film migliore (e non sono un fan di parte XD)
Moz-
Davvero? Io gli riconosco sempre meriti palesi, ma questa volta mi sono mancate tante cose. Dialoghi memorabili compresi.
Eliminabei film, di questi ho visto soltanto c'era una volta a hollywood
RispondiEliminaPiaciuto? Io, purtroppo, l'ho trovato riuscito a metà.
EliminaStoria di un matrimonio lo voglio vedere!!
RispondiEliminaquello di tarantino non mi attira molto, e sinceramente pure il film sull'affare dreyfus...
buona domenica carissimo :)
Vai di Baumbach!
EliminaC'era una volta a Hollywood a me è piaciuto molto.
RispondiEliminaIl trucco sta nel viverlo come un'opera favolistica, e lo si apprezza molto di più.
Come si intuisce da Storia di un matrimonio, sono uno che i film lì vive moltissimo.
EliminaMa con Tarantino mi è stato impossibile. E la ragazza sfracellata contro il camino, francamente, l'avrei evitata a tutti.
Tutti film che devo trovare il tempo di recuperare, soprattutto il primo mi ispira moltissimo.
RispondiEliminaTra i migliori dell'anno.
EliminaStoria di un matrimonio penso che lo guarderò oggi. Un giorno di pioggia a New York sicuramente questa settimana (devo riuscire a trovare un pomeriggio libero per andarci). Tarantino è Tarantino, se non ti piace particolarmente di solito, è abbastanza lecito che non ti sia piaciuto molto questo. Polanski ancora mi manca, ma conto di recuperarlo assolutamente.
RispondiEliminaEppure, primi film a parte, di Tarantino ho visto praticamente tutto. E qui non l'ho riconosciuto granché, nascosto dietro il proprio autocompiacimento.
EliminaNe ho visto solo uno su quattro, ma promettono tutti bene.
RispondiEliminaSperiamo di recuperarli in tempo per le classifiche di fine anno.
Confido in te! ;)
EliminaLa Seigner non è piaciuta nemmeno a me, a volte mi chiedevo cosa ci stesse a fare. Il resto del film, invece, l'ho trovato molto interessante.
RispondiEliminaTarantino più ci ripenso più l'ho amato, omaggi così grandi e sentiti solo lui sa farli e riesce persino a raddrizzare quello che è andato storto, lasciando commossi. Peccato per lui, è arrivato Scorsese a spodestarlo dal primo posto in classifica.
Io ho apprezzato la salvezza del finale di Tarantino, ma il livello di gore ai limiti del grottesco per una volta mi ha infastidito.
EliminaInteressante Polanski, sì, ma dov'è il cuore? In una storia vera, cerco quello.
Non sono fan di Allen quindi il suo film me lo recupererò con calma... Le altre visioni ce le ho tutte! Decisamente diversa la mia percezioe su l'Ufficiale e la spia (già eri passato da me) perché per me non è stato un problema che Dreyfuss non fosse il fulcro, anzi narrativamente era la cosa migliore da fare secondo me.
RispondiEliminaSe riesco parlerò di Marriage Story...discorso lungo ;)
Storia di un matrimonio magari non l'ho sentito in maniera personale come te, però mi ha colpito comunque. Un po' dramma, un po' commedia, fa un effetto strano. Ma un buon effetto.
RispondiEliminaUn giorno di pioggia a New York anche per me delizioso!
Una commedia leggera, dove la parola "leggera" non deve suonare come un insulto. Anzi.
Da fan di Quentin Tarantino, C'era una volta a... Hollywood non mi è sembrato del tutto riuscito. Un signor film, però non tutto funziona perfettamente. Nella parte finale, come dici tu, ma forse pure nella prima in cui viaggia, per quanto splendidamente, un po' a vuoto.
Dopo tanti pareri più che positivi, la tua recensione de L'ufficiale e la spia conferma i miei timori. Non so se sarà la visione per me...
Oddio, ma non ti avevo commentato? A quanto pare no.
RispondiEliminaMi spiace che Polanski non ti abbia convinto, io mi aspettavo sbadigli e invece la vicenda mi ha preso e coinvolta, nonostante la Seigner quota rosa quasi forzata.
Se Woody e Tarantino si lasciano guardare senza creare l'entusiasmo alle stelle che di solito comportano, Marriage Story è lì, a meritarsi tutte le parole belle e profonde che gli hai dedicato. Devo ancora rivederlo (tempo tiranno, l'ho già detto?) ma me lo devo.
Leggendo la recensione di "Storia di un matrimonio" si nota la tua emozione e ti confesso che ha emozionato pure me. Spero di recuperarlo presto!
RispondiEliminaAll'inizio "Una giornata di pioggia a New York" dal poster pensavo fosse uno di quei film per ragazzi per passare il tempo. Mi avrà ingannato l'ombrello che ho visto in tanti romanzi rosa ^^" comunque sembra abbastanza carino.
di C'era una volta a Hollywood mi ispira più il cast che la trama in sé...