Due
persone di mezza età si incontrano in treno. Lei, sperduta, non ne
sa molto di viaggi. Lui, un tipo di poche
parole, per quel giorno le fa da Cicerone. Eric Lomax sa tutto di
ferrovie, e sposerà Patti di lì a poco. La donna, moglie paziente e
presente, accetta l'uomo e i suoi segreti, nella buona e nella
cattiva sorte. Ma c'è qualcosa che Eric non dice: un ritaglio di
giornale in giapponese, una divisa militare nell'armadio, urla
mattutine che sono il suo risveglio. Che colore hanno i suoi incubi?
The
Railway Man
è un dramma potente, su pagine di storia dimenticate dal mondo. Una sposa fedele, un marito e le sue omissioni, la
tragedia inspiegabile di una guerra che, dietro le quinte, richiese
capri espiatori, vittime sacrificali, schiavi. Non conosco altri
termini: questo è un film “giusto”. Una fotografia impeccabile,
una colonna sonora che va a nozze con i fotogrammi mostrati, prove
attoriali da applausi. L'amore, la vendetta, qualche lacrima a
portata di kleenex. E c'è un non so cosa che non me l'ha reso
fastidiosamente perfettino; un compito portato a termine in maniera
istituzionale o ossequiosa. I resoconti di torture inumane che
attorcigliano le viscere e un Colin Firth ancora una volta
clamorosamente bravo. Al suo fianco, in un ruolo secondario, una
Nicole Kidman bruna, dimessa e gentile, che per una volta torna a
recitare con tutto il viso. L'irriconoscibile Jeremy Irvine,
sorprendente, dimagrito, sofferente, è il Colin Firth di trent'anni
prima: quello prigioniero di un nemico con gli occhi a mandorla.
L'uomo da odiare a morte, per tutte le bastonate, le umiliazioni, le
preghiere vane, è un Hiroyki Sanada che ha tutte le colpe e nessuna.
La resa dei conti tra lui e il protagonista, oscillante tra punizione
e perdono, si vive come tappa dell'espiazione. La direzione sapiente
di Jonathan Teplitzky fa del film un prodotto assai curato,
dall'impostazione classica, ma dai punti di vista speciali. Una guerra vissuta a scoppio
ritardato, con la giusta distanza che permette all'epicità e al
patriottismo del cinema internazionale di tramutarsi, quando piove e
le cicatrici fantasma prudono, in commozione. (7,5)
Il
fatto che abbia trovato Lucy
davvero un brutto film mi intristisce. La Johansson nel
cast, il mio caro Luc Besson alla regia, incassi alle stelle, una
trama nuova. A fine visione, vedo che c'è pochissimo. Di tutto. Lucy
vuole
essere un film intelligente, ma è presuntuoso e sconclusionato.
Confuso e dal senso sfuggente. Io non l'ho capito. Parte come il
classico action movie; un Nikita
fantascientifico. Mi diventa, poi, una specie di
Limitless,
ma senza tutta quella noia; un Crank
senza divertimento e sesso; un esperimento con punte audaci, ma
praticamente insensate. Agli inseguimenti frizzanti, alle
manipolazioni mentali, alle sparatorie alla Resident
Evil,
seguono venti minuti che – insieme all'invincibile e infinita
protagonista – esplorano lo spazio, il tempo, il senso della vita.
Luc, ti voglio bene, lo sai, ma hai guardato una volta di troppo The
Tree of life o
letto un po' di puttanate new age. L'ho intuito nel momento in cui
Scarlett sembra finire sul set di un documentario di Piero Angela dal
montaggio velocissimo, e fanno capolino dinosauri, scimmie,
spermatozoi supersonici. Un film strafatto di adrenalina, e non
solo, che vuole strafare, solo. (4)
Sono
ragazze in attesa di sbocciare. In un ambiente di maniacale rigore, le fanciulle guardano
all'inarrivabile Miss G come modello: lei, che racconta loro di libri
proibiti, amanti, paesi lontani. Questo fino a quando le porte del
college si schiudono per l'arrivo dell'esotica Fiamma. Agile e
generosa, sottrae alla seducente Miss G attenzioni preziose. Cracks
è onomatopea del rumore. Anticipa la distruzione che sarà e
ipnotizza, lasciando inquieti e trasognati. Vittime di un fascino
inspiegabile che ti porti sulla pelle. Ancora più grande e bella
degli infiniti paesaggi brumosi, la superba Eva Green. Questo film è
quanto di più vicino a lei. Ipnotico, seducente, vago. Un dramma al
femminile, che analizza in uno specchio rotto il rapporto fragile tra
un'insegnante e le sue studentesse. Le influenze degli adulti, il
potere della fascinazione, la perdita del centro. Non so voi, ma a me
piace legare tra loro i film che guardo. E Cracks
guarda
negli occhi, con sguardo gelido, The
Dreamers.
Eva Green in entrambi; Miss G e la maliziosa Isabelle legate da
tanto. Guardando la prima, ho pensato a una versione cresciuta – o
mai cresciuta – della seconda. In comune: il non sapersi
relazionare con l'esterno, l'attaccamento a un nido d'affetti, la
consapevolezza che l'eterno gioco potrebbe cessare. Totalmente
espressiva, ti succhia l'anima. Perché lei è quella su cui una
studentessa in particolare ha pensieri lussuriosi, ma è la stessa
donna che non guarda i maschi in faccia, che ha paura della
solitudine, dell'avvenire. Dea di un Olimpo in rosa che, come il
Vesuvio, potrebbe scoppiare e diventare cenere, anima questo tiaso di
fruscii, bisbigli, erotici desideri. Domina i sogni e gli spiriti e
abbaglia, nonostante un cast splendente. Le tengono testa le giovani
Juno Temple e Imogen Poots, lanciatissime, e un'ottima Maria
Valverde, vista da noi solo nel brutto Melissa
P.
Bagni notturni, accento british, i fumosi anni '30, la tragedia
greca. E la classe. Quella... incommensurabile. (7)
Capita
di svegliarsi tristi senza perché. E capita, a volte, di scoprirsi
allegri e di canticchiare una canzone d'amore a caso. E se il ritmo
della nostra giornata dipendesse da un'altra persona? In you eyes,
con la sua aria da film indipendente, in realtà, già lo conoscevo.
Era presentato come l'ultimo, misterioso lavoro a cui Joss Whedon
stava lavorando. La bella storia di questo amore metafisico è
stata scritta e pensata dal creatore di
Buffy
in persona, ed è difficile immaginarlo. Ha un regista sconosciuto,
costi ristretti, volti poco noti. Però fa compagnia che è una meraviglia e quando finisce
ti senti per un attimo smarrito. E niente... Whedon, in queste vesti
qui, pure mi piace. Firma la sceneggiatura di una commedia
sentimentale tra realtà e proiezione, e il risultato – romantico, divertente – conquista. La storia di queste due anime
gemelle rimanda a un Her,
solo in una dimensione reale. I dialoghi: incalzanti e dinamici, anche
se i protagonisti non sono mai racchiusi nella stessa inquadratura,
per un gioco del destino che nessuno sa. Sentono le stesse cose, si
prendono un momento per guardare il mondo dal loro reciproco sguardo,
si parlano, ma non hanno nemmeno mai calpestato lo stesso suolo.
Separati da due ore di fuso orario, vivono da un lato e l'altro
dell'America. Distanti, ma tutt'altro che sconosciuti. Lei,
infelicemente sposata con un medico e con una psiche assai fragile;
lui, avanzo di galera. In tutto ciò,
Michael Stahl David e l'adorabile Zoe Kazan (Ruby
Sparks, la
ricordate?) sono di una naturalezza che fa gioire. (7)
Al
filone di film interessantissimi, eppure mai usciti da noi, prendete
carta e penna e aggiungete l'importante Any
Day Now,
presentato al Giffoni Film Festival due anni fa. Un dramma toccante, un tema attualissimo. La vicenda di due uomini
che si improvvisano papà e accolgono in casa un adolescente down,
tra pregiudizi e lotte in tribunale. Anche se la legge non lo
permette, sarà il piccolo Marco - un diverso in mezzo ai diversi - a
far di loro una famiglia. C'è Rudy che sogna di incidere un album e si esibisce come drag queen, cantando in
playback famose hit degli anni '70. Racconta la sua vita fino a quel
momento come fosse un musical di Broadway a Paul, un avvocato che
vuole cambiare il mondo e che, forse, vorrebbe poter cambiare anche
se stesso. Finisce in quel bar in cerca di compagnia e in breve si
trova due persone alla porta: Rudy trascina a casa sua il piccolo Marco, con una mamma dietro le sbarre
e nessuno che si prende cura di lui, perché, con i suoi 21 cromosomi, è difettoso. Due persone che si sono conosciute così,
nella solitudine e nella vergogna, mettono da parte le loro sofferenze e, per Marco,
costruiscono un nido. Quel ragazzino non afferra tante cose, ma
sembra capire la più importante: quei due uomini si amano, e lo
amano. Per una volta, sono gli altri a non
capire. Tra piccoli sipari musicali, comicità e momenti intensi, si
giunge a un epilogo straziante. Emblematico e spiazzante. Sbagliato,
evitabile, ma realistico: una luce sull'ottusità.
Incontrastato, l'istrionico Alan Cumming:
poche volte protagonista, poche volte tanto bravo. Un film da recuperare, da doppiare e da mostrare agli spettori più
intolleranti e
omofobi dell'universo. Aperto, educativo, altruista: una strada accidentata verso casa, qualunque essa sia. Non perdetevi, voi. (7,5)
Il
giardino delle parole è
un adorabile corto animato, in cui i sentimenti sono concentrati come
in una poesia delicata, ma brevissima. Il film narra dello strano
amore inespresso tra un quindicenne e una donna adulta. Trovano
riparo dal cattivo tempo nello stesso posto, in un parco. Lui, con un
taccuino sempre in tasca, sogna di disegnare scarpe per grandi
marchi; lei, con una vita segnata dallo scandalo e un castello di
bugie, beve troppo e dà troppa confidenza agli sconosciuti. Si
parleranno, si consoleranno, si salveranno. Si incontreranno, sotto
la pioggia, ogni giorno, anteponendo l'importanza del loro incontro
al resto. Ma prima o poi esce il sole; la pioggia finisce. Che sarà,
allora, di quelle chiacchiere al parco che nessuno capirebbe, senza
gridare allo scandalo? E' l'haiku dei film, questo; un aforisma
illustrato. Stupisce per la sua delicatezza, per una galanteria un
po' attempata e tematiche che sembrano alquanto fuori posto nel
cinema a cartoni che noi conosciamo. L'oriente è un mondo a parte.
Un mondo che, in punta di piedi, cammina nel traffico e negli uragani
delle stagioni delle piogge, ma in cui ti perderesti a occhi chiusi.
Con i colori di Monet e inimmaginabili tecnologie, spiazza per il
curioso contrasto tra i movimenti legnosi dei suoi fragili personaggi
e i dettagli dei paesaggi circostanti: realistici, sembrano foto. Ci
pensano artisti abili, una regia ottima, brani di musica strumentale
cristallini. L'emozione, però, si perde spesso al servizio della spettacolarità. (6,5)
Da
qualche tempo, lo noto. La commedia francese si sta americanizzando.
Piacevolmente snob e lontana, cavalca adesso le mode e fa suoi usi e
costumi d'oltreoceano. Babysitting,
commedia di un certo successo arrivata al cinema agli inizi
dell'estate, è francese, eppure di francese non ha nulla. Sembra un
prodotto di importazione... o semplicemente pensato per
l'esportazione. Pellicola classica, divertente e frenetica, con un
bambino pestifero, un adulto impreparato e una festa colossale.
Breve, non annoia: cosa tutt'altro che scontata. Corre via sui go
kart, schizza in aria sulle giostre, si tuffa a bomba nelle piscine
delle ville di lusso. La dolciastra e ovvia morale è in agguato,
confermando che quello che abbia visto già l'abbiamo visto altrove.
Però funziona. Con personaggi fuori, il biondo Philippe Lacheau e
più di qualche gag tutta da ridere. Big
Daddy,
una notte già finita da ricostruire all'incontrario come in The
Hangover,
l'espediente della telecamera a mano così abusato, ma raro nel
cinema comico. (6)
Perché
la mamma del protagonista è in overdose sul divano, suo padre è
accusato di essere un mafioso, i prof di latino stanno morendo con
una velocità impressionante, le sorelle spogliarelliste sono ammesse
a pieni voti all'università, la verginità si perde con la mamma del
migliore amico, la ragazza dei sogni ha il volto dell'adorabile
Selena Gomez? Scopritelo guardando Comportamenti...
molto cattivi:
una commedia con un buon cast, ma scollacciata, sopra le righe,
eccessiva. Una barzelletta sporchissima e raccontata da attori dalle
facce note. Un incrocio casereccio tra un Risky
Business
e American
Pie, con
una maliziosa Elizabeth Sue in veste Milf, una esilarante Mary Louise
Parker con ben due ruoli e la star in ascesa Nat Wolff, pupillo del
nostro amato John Green.
Qui, con un ruolo semplice e scemo, non fa poi tanto, ma spicca per
la normalità che ha conquistato gli adolescenti. Accanto a lui, l'ex
fidanzatina della pop-star più chiacchierata. E occhio, che dietro
le sbarre – per un attimo – si nota un biondino particolarmente
simile a Bieber: fateci caso! L'autoironia del tutto gasa. Ma giusto momentaneamente. (5)
Volevo leggere il libro Le Due Vie del Destino!
RispondiEliminaMah, io non so. Non ho capito se è tipo un "memoriale", o è un po' romanzato. Nel caso sia valida la prima ipotesi, come penso, non mi ispira troppo. Già è una storia triste, non credo riuscirei a reggerla per 400 pagine. In un'ora e quaranta si può fare. ;)
EliminaMa quanti bei film e alcuni non li conoscevo. Grazie a te so sempre cosa guardare quando non ho idee XD
RispondiEliminaSono certo ti piaceranno :)
EliminaIl giardino delle parole da noi l'hanno mandato in anteprima questa primavera: mi è stato riferito che è molto bello dal punto di vista tecnico, anche se un po' povero di contenuti.
RispondiEliminaIo odio i film lunghi, soprattutto quelli giapponesi (che siano animati o meno), ma questo avrebbe potuto avere qualche dettaglio in più effettivamente. Mi ha emozionato poco: si ha l'impressione che la storia non decolli... Ma è comunque una bella immersione in quei paesaggi resi in maniera spettacolare.
EliminaLe due vie del destino e In your eyes mi attirano non poco (il secondo per Whedon, fondamentalmente). Il giardino delle parole ce l'ho in lista da un po' per l'esercizio tecnico, per così dire: la trama non è nelle mie corde, ma quell'animazione... cavolo, sì.
RispondiEliminaMeritano entrambi. In quanto al Giardino delle parole... è talmente breve che una visione la merita comunque ;)
EliminaVoglio vedere assolutamente "Le due vie del destino", come ben sai, ma anche (e forse soprattutto!) il film di Whedon! *___* "Cracks" mi aspetta questa sera ;D, mentre "Any Day Now" potrebbe rivelarsi una piacevole scoperta: adoro Alan Cumming con tutto il cuore! <3
RispondiEliminaE non scordarti il film di Eva Green, che lei si offende ;)
EliminaCumming è un ottimo caratterista (lo ricordo nei panni di Floop, in Spy Kids: ci sono cresciuto!), ma raramente l'ho visto in ruoli importanti. Qui si rivela un grande attore e un cantante fantastico. Il finale è una vera e propria mazzata, ma dà da pensare. Non a me, che sono comunque favorevolissimo alle adozioni per le coppie di fatto, ma a tutti coloro che pensano l'opposto. Avranno filo da torcere, 'sti idioti.
di questi ho visto solo comportamenti molto cattivi che, pur essendo una vaccata colossale, non mi è dispiaciuto.
RispondiEliminail melodrammone con colin firth in odore di sparks invece sono pronto a odiarlo :)
Non è dispiaciuto neanche a me :)
EliminaE invece il film con Firth è molto bello, ma molto alla Philomena. Tu, acidone, non ti smentirai ahahah
Non ho ancora visto nessuno di questi film, ma Lucy, Comportamenti molto cattivi e Babysitting ce li ho in lista da un pò.
RispondiEliminaPurtroppo sono i più bruttini, Dean. Dà un'occhiata agli altri, piuttosto ;)
Elimina"le due vie del destino" mi incuriosisce moltissimo! Adoro Colin Firth!
RispondiEliminaLui sempre bravissimo. Qui lo è particolarmente.
EliminaAvendolo visto in lingua, ho apprezzato anche di più!
Non c'entra niente col post, ma ti ho nominato qui: http://paginemagiche.blogspot.it/2014/09/the-very-inspiring-blogger-award.html :D
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