martedì 27 maggio 2025

Recensione: Le sorelle Blue, di Coco Mellors

| Le sorelle Blue, di Coco Mellors. Einaudi, € 20, pp. 432 |

Con alcune storie, forse, tocca soltanto litigare per entrarci in sintonia. Mi è successo con il nuovo romanzo di Coco Mellors. Da me attesissimo, si è lasciato leggere per buona parte in perfetto silenzio: non riuscivo ad ammettere nemmeno a me stesso, infatti, quanto mi stesse deludendo. Colpa di dinamiche familiari non sempre credibili — i genitori, all'indomani di un lutto terribile, sono completamente assenti —, di dialoghi talmente verbosi da rubare la scena al cordoglio, di un gruppo di protagoniste descritte tutte con i superlativi assoluti delle donne toste, forti, indipendenti. Per fortuna, ci ho fatto la pace nella seconda metà. Cresciute nel Upper West Side, Le sorelle Blue sembrano le figlie di Cleopatra e Frankenstein.

Ti voglio bene anch'io. Senza “anche”.

Nate da una coppia di genitori inseparabili e disfunzionali, ne hanno ereditato le dipendenze. Fuggite da un capo all'altro del mondo per scappare al dolore e ai rimorsi, si ritrovano nella casa in cui sono state bambine per l'anniversario della morte di Nicky. Da quando una overdose di antidolorifici l'ha portata via, le superstiti si sono trovate a fare i conti con una nuova formazione. Come funziona un terzetto? Avery, la primogenita, si è costruita una vita perfetta in un sobborgo inglese alla giusta distanza dal suo passato di eroinomane: da sempre punto di riferimento per le sorelle, si scopre pietrificata all'evenienza di diventare madre, rischiando di ricascare nelle antiche abitudini. Bonnie, la meno memorabile, è un'ex campionessa di boxe: l'attrazione segreta verso il suo allenatore l'ha spinta a trasferirsi in California, dove lavora come buttafuori. Lucky, la più piccola, è una modella a Parigi nella settimana della moda: dedita alle notti in bianco e agli eccessi, è cresciuta troppo in fretta in un mondo dove gli uomini sono predatori e alle donne è richiesta la massima frivolezza. Rotta per sempre l'armonia di un'infanzia di letti a castello e Spice Girls, possono riuscire a innamorarsi nuovamente della vita?

Si erano scritte pagine e pagine sull'amore romantico, sul legame profondo che unisce gli amanti. Ma anche quest'altro tipo di amore meritava estasi, meritava canzoni. Prima ancora di conoscere il corpo di un amante, lei conosceva già quello delle sorelle: si era specchiata nei loro piedi lunghi, negli occhi chiari, nelle membra eleganti e nelle orecchie arrotondate.

Di gran lunga più convenzionale del romanzo d'esordio, per me malinconico ed effervescente come alcune commedie newyorkesi di Woody Allen, l'opera seconda di Mellors è una parabola esistenziale imperfetta ma vivissima, che la speranza incrollabile e le simmetrie sottili trasformano in una versione contemporanea di Piccole donne. Peccato che protagoniste pretendano tutte indistintamente di essere Jo March. Alleate contro il mondo, ma per il resto acerrime rivali, serbano i peggiori segreti per loro stesse pur di proteggersi. Il rischio: isolarsi. Toccherà salvare un frigorifero rosa dalla nettezza urbana, convertire una lite in piena regola in una toccante occasione di confronto, per rivalutarsi. E rivalutarle. È una storia che parla di rapporti di sangue, d'altronde. Era necessario prima azzuffarsi un po' per diventare parte della famiglia.

Il mio voto: ★★★½
Il mio consiglio musicale: Billie Eilish - Birds of a Feather

lunedì 12 maggio 2025

Recensione: Scelgo tutto, di Valerio Mieli

| Scelgo tutto, di Valerio Mieli. La Nave di Teseo, € 22, pp. 432 |

La vita, spesso, ci pone davanti a un bivio. Ecco biforcarsi due strade destinate a non incrociarsi mai. Come sarebbe percorrerle contemporaneamente anziché scegliere? Può sperimentarlo Cosimo — diciannove anni, da sempre fidanzato con Sabina —, che cova il sogno di una vita sbadabam. Accontentarsi? Una parolaccia. Davanti a sé ha due opzioni: restare nella periferia romana, oppure spiccare il volo. Il regista di Dieci inverni e Ricordi?, questa volta in veste di scrittore, ci mostra in un montaggio alternato le vite potenziali del suo protagonista. Perfino l'impaginazione si adegua, per rendere ancora più cinematografico questo novello Sliding Doors. In una vita, così, Cosimo si ritrova padre di due gemelli e impiegato comunale, con un rudere nei boschi da ristrutturare. Nell'altra, parte per Parigi con lo zaino in spalla e frequenta i cenacoli culturali più elitari. Ci sono, ovviamente, delle costanti: è destino, infatti, che una tragedia metta tutto in forse; che la natura preservi un rifugio segreto in cui nascondersi a leccarsi le ferite; che, in un caso come nell'altro, faccia capolino una nuova donna. A metà tra Mary Poppins e Amèlie, Giacoma diventa un personaggio fisso nella seconda parte del romanzo: avventurosa e un po' mistica, figura ora come babysitter e ora come barista, diventando l'alter-ego di Cosimo. Ma mentre lui osa soltanto immaginare vite diverse, lei ne crea in prima persona, collezionando così esperienze e viavai.

Sai una cosa: invece la realtà non è tanto male. Dagliela, una possibilità.

Da Valerio Mieli mi aspettavo qualcosa di simile e di opposto. Nella lettura ho trovato il passo sognante e frammentario del suo cinema — in particolare del secondo film, che mostrava la stessa storia d'amore dalle prospettive di Luca Marinelli e Linda Caridi —, ma anche un gusto per l'accumulo di dettagli e storie, aneddoti e immagini, che hanno reso la lettura troppo prolissa. Felice o infelici, affollate o ascetiche, le vite di Cosimo hanno le gioie e i dolori delle nostre, ma anche piccoli momenti miracolosi che potrebbe ricordare Sandro Veronesi. Irrequieto come Il colibrì, il protagonista si affanna inseguendo l'eccezionalità. Ingegnere con la vocazione dell'architetto, vorrebbe fare della sua esistenza un capolavoro. Ma è impossibile opporsi al caso, al caos, e all'amara consapevolezza che il nostro destino influenzerà anche quello altrui. Esiste davvero il libero arbitrio? Siamo protagonisti del nostro film, o spettatori inconsapevoli? Davanti al famoso bivio, dunque, Mieli posizione una macchina da presa. E la punta sul mondo. Il tempo scorre in presa diretta, incerto e dolcissimo, ma senza un vero plot né un regista a salvare gli attori dall'empasse. Cercavo il cinema, ho trovato la vita.

Il mio voto: ★★★
Il mio consiglio musicale: Olly – Balorda Nostalgia

martedì 6 maggio 2025

Recensione: Il giorno dell'ape, di Paul Murray

| Il giorno dell'ape, di Paul Murray. Einaudi, € 22, pp. 664 |

A casa Barnes non c'è nessuna foto incorniciata a ricordare il matrimonio tra Imelda e Dickie. La colpa è di un'ape che la mattina delle nozze si intrufolò sotto il velo, pizzicando il viso alla sposa. Come può nascere una famiglia felice sotto simili auspici? Siamo in Irlanda. La crisi economica ha intaccato la fortuna dei protagonisti, condannandoli al declassamento, ma non la magia del folklore locale. C'è chi legge i fondi di caffè, chi vede cani neri all'alba delle dipartite più tragiche, chi pensa che alle cerimonie i fantasmi si mescolino agli invitati. Mai trascurare i segni. È l'assunto di partenza del romanzo più chiacchierato dell'anno — per qualcuno, già il migliore. Sempre scorrevole e appassionante, nonostante la mole minacciose, è per me più debitore alla HBO che alle saghe di Jonathan Franzen.

I tempi cambiano, dice Victor. E poi tornano com'erano prima.

Strutturato come una serie TV dal complesso montaggio alternato — immancabili, a tratti forzatamente, le tematiche dettate dall'algoritmo: privilegio bianco, omosessualità, ambientalismo —, Il giorno dell'ape restituisce i punti di vista dei diversi membri della famiglia, senza renderceli amabili a tutti i costi. Ci sono Cassie, la figlia adolescente, ossessionata dai confronti con la migliore amica bella e facoltosa; PJ, il timido secondogenito vittima della disattenzione degli adulti. Poi Imelda, l'indimenticabile madre, che in un flusso di coscienza si racconta come una novella Miss Havisham: sopravvissuta a un'infanzia miserabile, si è resa protagonista di una sudata scalata sociale con il solo passaporto della bellezza. Peccato che alla morte di Frank, il promesso sposo stella del calcio gaelico, sia finita insieme al fratello del defunto. Quanto ci si può sentire soli in un matrimonio? È la domanda che si pone infine anche Dickie — il padre dei suoi figli, il rimpiazzo —, che vende automobili ma preferisce andare in bicicletta e nasconde un ammanco nei conti, un segreto negli anni universitari, un bunker nel bosco.

Immagino che chiunque lo vorrebbe. Essere come gli altri. Ma nessuno è come gli altri. È questa la cosa che abbiamo in comune. Siamo tutti diversi, ma pensiamo tutti che gli altri siano uguali, disse. Se ce lo insegnassero a scuola, il mondo sarebbe un posto più felice, credo.

I capitoli sono personalizzati, lunghi, quasi indipendenti, se non fosse per sottili simmetrie interne rintracciabili soprattutto col senno di poi. Fino a un passo dell'epilogo, i Barnes sono irraggiungibili gli uni agli altri: barricati nelle loro rispettive solitudini. A stringerli insieme sarà un finale fortemente sospeso, angoscioso e polifonico, dove misteriose forze centripete sembreranno volerli nello stesso posto, nella stessa notte di lampi. Se ne scriverà in lungo e in largo: benissimo e malissimo, come capita soltanto ai bestseller. Io stesso, nel corso della lettura, ho rimproverato il manierismo della scrittura e gli ammiccamenti di troppo, tra dialoghi senza virgolette e tematiche calde non sempre approfondite a dovere. Sono sottigliezze, però, nell'ottica di un romanzo che, per il resto, è un invidiabile congegno a orologeria retto interamente dalla bravura di Paul Murray. Con stile acido e brillante, anche capace delle concitazione del thriller, lo scrittore irlandese firma una tragicommedia sull'impossibilità di tornare alla normalità quando la carrozza della fiaba torna a trasformarsi in zucca. Alluvioni, siccità, animali in via d'estinzione: il mondo è alla deriva, e le nostre famiglie ne sono lo specchio esatto. Lo scoiattolo rosso non si trova; la serenità familiare altrettanto. Entrambi appartengono, forse, a un mondo che non esiste più. È possibile però costruire un rifugio contro disastro, chiamarlo “casa”, quando il disastro siamo noi?

Il mio voto: ★★★★½
Il mio consiglio musicale: The National – Sleep Well Beast