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Resto qui, di Marco Balzano. Einaudi, € 18, pp. 192 |
La
punta di un campanile che sbuca da un lago, lo scatto bellissimo di
una sorta di miraggio: ma non si giudica un libro dalla copertina, o
così dice il proverbio. Alla prima impressione, scorcio triste e
meraviglioso che un giorno vorrei vivamente vedere di persona,
aggiungi anche la fascetta promozionale dei romanzi finalisti al
premio Strega: riconoscimento che di solito intimorirebbe un po',
vero, con il sentore di autorialità e pesantezza che porta con sé,
ma che questa volta eppure sembrava sin da subito fare positivamente
eccezione. Resto qui ha
l'aspetto giusto, le giuste menzioni e soprattutto, a una seconda
occhiata, la giusta trama. È un romanzo giusto, giustissimo –
questo l'aggettivo chiave –, ma quanto destinato a restare nel
cuore del lettore come promesso dal titolo? Siamo a Curon, provincia
di Bolzano: terra di confine e di lingua tedesca divisa tra l'Italia,
la Germania e la Svizzera; fra le camicie nere e i nazisti. Un paese
per vecchi. Se nati lì nei primi del Novecento, si vive una doppia
lotta, una doppia fuga: da un lato l'indecisione grande sul male
minore da scegliere – lasciarsi guidare da Hitler o forse dal Duce?
–, con la Seconda guerra mondiale che bussa alle porte a tempo di
marcia. Dall'altra, invece, la drammatica notizia della costruzione
di una diga che seppellirà sotto venti metri d'acqua due moderne
Pompei ed Ercolano. Quelle le montagne, quelli i pericoli, quelle le
questioni di vita o di morte di Trina: all'inizio adolescente, poi
moglie, che a una prima battuta rifiuta il destino di angelo del
focolare, il lavoro in bottega, la compagnia degli uomini, e studia
per diventare maestra prima che a Curon venga imposto l'obbligo
dell'italiano – una lingua esotica, pericolosa –, con il tedesco
relegato invece a lezioni clandestine per non dimenticare le proprie
origini. Infine compagna di Erich, madre di Michael e Marica, che nel
congedarsi da noi stringe al seno come può i cocci di una famiglia
disintegrata per sempre. Non mancano le lotte tra vicini di casa,
l'immobilismo generato dalla neve che cade, i moti di scetticismo
verso lo Stato e Dio. Conquista dalle prime pagine, invece, una
protagonista stoica e appassionata, condannata purtroppo a una
solitudine siderale: una Jo March di campagna, che ha tanto della
forza dei personaggi femminili di Michela Murgia e Donatella
Pietrantonio.
Io
invece credevo che il sapere più grande, specie per una donna,
fossero le parole. Fatti, storie, fantasie, ciò che contava era
averne fame e tenersele strette per quando la vita si complicava o si
faceva spoglia. Credevo che mi potessero salvare, le parole.
Marco
Balzano, scoperto qui, piace e commuove. Ha tutte le carte giuste per
funzionare, e senza cattive sorprese funziona, galeotti uno spunto
dall'impatto immediato e uno stile per fortuna sempre all'altezza.
Potrei dire che è furbo, che è perfettino. Potrei dire che
questa lettera aperta indirizzata a una figlia irraggiungibile –
Marica: assente ma presente, incarnazione di un egoismo infantile che
me l'ha presto resa presto detestabile – ricordi troppo altri
romanzi, perfino La madre di Eva, presente nella stessa
acclamata dozzina. Potrei dire che, dopo la complessità della prima
parte, a poco serva lo stillicidio dei capitoli conclusivi, con
battaglie vane e quei paesi dal destino già segnato in partenza.
Tutto verissimo, sì, ma Resto qui gioca
con sentimento e saggezza le sue carte scoperte. Emozionando con una
storia di ordinaria resilienza, in cui una memorabile mamma coraggio
si fa portabandiera di tutta una cultura sepolta e di ciascun
genitore lasciato indietro dall'ingratitudine del sangue del suo
sangue. Istruendoci sui torti e le prepotenze che i libri di scuola
saltano a pie' pari. Dando alla resistenza un significato alternativo
e il volto umano di un Beppe Fenoglio. Non servirà però farsi
crescere le branchie, no. La lettura infatti è di quelle affatto
accidentate, semplici e scorrevoli, che non troppo fanno dispiacere
per la mancata vittoria – a chi piace in fondo vincere facile?
Risulta scontato ma bello, tuttavia, andare alla deriva con Balzano.
Tornano a galla allora i ricordi dolce-amari, il senso di ingiustizia
profondissimo, le voci fantasma dei sopravvissuti all'abisso.
Anche
le ferite che non guariscono prima o poi smettono di sanguinare. La
rabbia, persino quella della violenza inflitta, è destinata come
tutto a slentarsi, ad arrendersi a qualcosa di più grande di cui non
conosco il nome. Bisognerebbe saper interrogare le montagne per
sapere quello che è stato.
Resto
qui: imperativo categorico di
chi si è imputato, con i pugni chiusi sui fianchi e lo sguardo che
non ammette repliche. È con piacere che non la si scontenta, Trina,
e le si fa dunque spazio all'interno delle nostre giornate. Con lei,
di conseguenza, c'è il bagaglio a mano di una storia che non è
soltanto sua. La stessa che riserva forse meno sorprese di una
narratrice avanti coi tempi, ma lascia con la curiosità,
l'indignazione e l'incanto di spingersi fino alle soglie di questa
moderna Atlantide sommersa. Con la speranza di scoprire altri
travagli, altri segreti, sotto una superficie che intanto brulica di
pesci e memorie.
Il
mio voto: ★★★½
Il
mio consiglio musicale: Roberto Vecchioni – Chiamami ancora amore
Adoro la canzone che hai scelto ma questa volta il libro mi incuriosisce poco!
RispondiEliminaIn effetti, Sara, lo vedo poco nelle tue corde.
EliminaMe lo ha detto anche Tessa! Devo metterlo in lista.
RispondiEliminaBella recensione. Pensavo, dopo averla letta, che gli accordassi mezzo punto in più.
Lea
Purtroppo gliel'ho negata, Lea. Resta un compito ben fatto, ma comunque eccessivamente a tavolino per i miei gusti.
EliminaAmbientazione, trama e ambizioni non fanno proprio per me. Il suggerimento musicale ancora meno.
RispondiEliminaMarco Bolzano resta qui, io me ne fuggo via ahahah :D
Fuggi, fuggi!
EliminaLo sai, a me è piaciuto senza riserve, devo ancora recensirlo, qui il tempo è tiranno, ma credo otterrà un bel numero di Converse ;)
RispondiEliminaTi aspetto. 😊
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