La
vita fa così. Non avverte mai, porca la miseria puttana. Picchia
all'improvviso, perché lo sa, lo sa che fa male il doppio.
Titolo:
Orfani bianchi
Autore:
Antonio Manzini
Editore:
Chiarelettere
Prezzo:
€ 16,00
Numero
di pagine: 256
Sinossi:
Mirta
è una giovane donna moldava trapiantata a Roma in cerca di lavoro.
Alle spalle si è lasciata un mondo di miseria e sofferenza, e
soprattutto Ilie, il suo bambino, tutto quello che ha di bello e le
dà sostegno in questa vita di nuovi sacrifici e umiliazioni. Per
primo Nunzio poi la signora Mazzanti, "che si era spenta una
notte di dicembre, sotto Natale, ma la famiglia non aveva rinunciato
all'albero ai regali e al panettone", poi Olivia e adesso
Eleonora. Tutte persone vinte dall'esistenza e dagli anni, spesso
abbandonate dai loro stessi familiari. Ad accudirle c'è lei, Mirta,
che non le conosce ma le accompagna alla morte condividendo con loro
un'intimità fatta di cure e piccole attenzioni quotidiane. Ecco
quello che siamo, sembra dirci Manzini in questo romanzo sorprendente
e rivelatore con al centro un personaggio femminile di grande forza e
bellezza, in lotta contro un destino spietato: il suo, che non le dà
tregua, e quello delle persone che deve accudire, sole e votate alla
fine. "Nella disperazione siamo uguali" dice Eleonora,
ricca e con alle spalle una vita di bellezza, a Mirta, protesa con
tutte le energie di cui dispone a costruirsi un futuro di serenità
per sé e per il figlio, nell'ultimo, intenso e contraddittorio
rapporto fra due donne che, sole e in fondo al barile, finiscono per
somigliarsi. Dagli occhi e dalle parole di Mirta il ritratto di una
società che sembra non conoscere più la tenerezza.
La recensione
Il
desiderio di leggere Manzini c'era dallo scorso inverno. Da
quanto, in ritardo, ho scoperto le
famigerate rotture di coglioni di Schiavone. Tra una cosa e l'altra,
infine, leggerlo per la prima volta con l'ultimo romanzo arrivato in libreria. Uno dei
pochi, forse l'unico, senza la Sellerio e le
risoluzioni poco ortodosse del vicequestore romano. Orfani
bianchi, ad occhio, ha il
Manzini che gli orfani del dissacrante Marco Giallini non si
aspettavano. Alle prese con un convincente punto di
vista femminile e una storia che, purtroppo, non vuole
conoscere leggerezza. Ho iniziato a leggere di Mirta e dei suoi
infiniti dispiaceri sull'autobus. Da quando faccio il pendolare ho un
libro sul Kindle che mi accompagna nella traversata e un altro a
casa, in versione cartacea. L'ebook di Orfani bianchi,
in teoria, era il mio libro da mezzi pubblici. Ma ho preferito
leggerlo tutto in una volta, anche da fermo, perché con il dolore è
così. Meglio sentirlo tutto insieme anziché spezzettarlo. La storia, quella di tante donne
dell'est. Di quelle che, borbottano, ci rubano il lavoro. Di quelle
che, ribadiscono, dovrebbero tornarsene al loro paese. E che intanto si assumono le responsabilità che nessuno vorrebbe. Guadagnano e mettono tutto da parte, come formiche.
In una giungla di razzismo, si erge Mirta: eroina
incontrastata nella cronaca di un viaggio a senso solo, di una
fatica immane, di una profonda solitudine. E' ancora giovane, ha un
figlio di dodici anni per cui stravede nonostante la lontananza.
Pensa al passato, ma soprattutto al futuro, e scrive lunghe email
all'amica del cuore, al figlio Ilie, al parroco che si prende cura
dei suoi cari. La chat e Manzini ne custodiscono i sogni, le
confidenze, le promesse. I bocconi amari. I pesi sull'anima, lo
stomaco a brandelli.
Dopo avere perso il lavoro, la protagonista
trova prima impiego in un'impresa di pulizie e poi, con l'inganno,
presso una ricchissima famiglia della capitale: duemila euro al mese
per accudire la capricciosa signora Eleonora, paralizzata da un ictus
in un castello in cui aspettare invano una morte rapida.
Da casa, però, arrivano brutte notizie. Ilie non ha nessuno che si
prenda cura di lui e Mirta, a fin di bene, lo affida a un internat:
un collegio che puzza d'ospedale, in cui ci sono altri orfani bianchi come
lui – figli con genitori in vita, vale a dire, ma incapaci di
allevarli. Gli fa una promessa: dovranno
resistere altri tre mesi. C'è una vecchia che implora la morte, un
galante polacco che chiede invece la sua mano, un appartamento
abbastanza grande per stare finalmente insieme. Mancano ancora
i soldi necessari, serve giusto un altro po'. Manzini
descrive con occhio clinico il Tevere ribollente, i quartieri
residenziali, i tram stipati di accenti diversi e speranze in
assonanza. Donne forti, come l'intensa Mirta, che scendono a
compromessi in una guerra fra poveri, si piegano, (non) si spezzano. Lontano dalle nevi del
settentrione, l'autore ti tiene compagnia con gli invisibili, i
diseredati, i moderni miserabili. Dà visibilità, mai giustizia, a
un mondo da cui distogliamo distrattamente lo sguardo.
Il compito di
uno scrittore è però limitarsi a prenderne atto? Riportare le
sofferenze in fila indiana, non concedendoci né un giudizio né una
speranza? Mi prendo in giro spesso. Ricordo più i mancati happy
ending che il resto. I miei romanzi preferiti, i film che guardo e
riguardo, non finiscono bene. Però Orfani bianchi è
disperato in maniera inderogabile, perfino per i miei parametri.
Tristissimo, soprattutto nella prima parte e in un epilogo così
drammatico da avere dell'inverosimile. Buca lo stomaco, minaccia
lacrime a non finire e, anche se a volte stai meglio, ti rinfaccia la
lontanza. Lo finisci, così, con un senso
d'angoscia crescente. Fissi il muro per mezz'ora. Conseguenze di un
libro tragico e senza respiro, verghiano, con un intreccio che ha il
sapore della verità. Misteri di una lettura ben scritta,
pesantissima, che si fa leggere in una giornata. Con più di qualche
passo ispirato, molti luoghi comuni, troppi drammi. Che accalcati in
duecento pagine appena, in un pomeriggio, fanno stringere i denti sì,
ma anche storcere il naso.
Il
mio voto: ★★★½
Il
mio consiglio musicale: Les Misérables – I dreamed a dream
Un'opera davvero inaspettata, da uno come Manzini.
RispondiEliminaIo mi sa che preferisco le rotture di coglioni di Rocco Schiavone. :)
Pare essersi ispirato alle esperienze della badante che, in un periodo critico, si prese cura della nonna. Spero che questa signora, però, se la passi meglio della povera Mirta. Parlando di rotture di coglioni... Un paio, in Orfani bianchi, poteva pure risparmiargliele. :)
EliminaAnch'io mi ero messa in programma di leggere manzini in virtù del vicequestore,ma intanto pure sto libro mi aveva attirato, proprio perché alcune amiche che l'hanno letto lo avevano descritto come tosto, straziante addirittura...Il che mi incuriosisce, perché lo strazio non mi lascia indifferente e così le tue parole :-D
RispondiEliminaPrima o poi lo leggerò... (???)
Lo strazio piace anche a me, che sono decisamente masochista, però qui ne succedono così tante, di cotte e di crude, che dopo un po' perdi il conto e subentra una specie di indifferenza. Il troppo stroppia, davvero.
EliminaSchiavone voglio leggerlo anch'io. Magari passando direttamente ai romanzi che la serie non tocca. :)
Io ho amato, senza distinzioni, sia le rotture di coglioni di Rocco che questo straziante romanzo. Non so, mi ha lasciata lì imbambolata, dolorante, devastante. Troppo? Forse, ma impossibile non farsi male con una storia così.
RispondiEliminaE mi ha fatto malissimo, quello sì, ma le troppe sciagure lo rendono quasi una rottura di coglioni del decimo livello (cit.) Però Rocco lo devo leggere, per forza. E Manzini è bravo, molto, anche in un terreno non suo. :)
Eliminala frase che hai scritto subito sotto il titolo è una recensione di per se abbastanza valida perché questo libro debba essere letto...
RispondiEliminaConcordo, dice tutto.
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