|Tutto chiede salvezza, di Daniele Mencarelli. Mondadori, €
19, pp. 193 |
A
volte la mia testa è un brutto posto dove soggiornare. Dentro,
proprio sotto questa zazzera di capelli rossiccia sfuggita al mio controllo,
sento una polveriera. Basterebbe una scintilla per scoppiare in mille
pezzi. Materia cerebrale dappertutto, pugni chiusi, denti serrati. Le
mezzelune delle lune impresse sulla pelle tenera dei palmi e la
mascella che, a ogni risveglio, scricchiola puntualmente di malessere. Perché a
volte anche il corpo fa male di conseguenza, sta male: quando mi dico
che non è giornata – anzi, non è vita – e mi trovo a rimpiangere la stasi della quarantena, quegli arresti domiciliari
che mi ero fatto stare comodi. Per telefono lo nascondo. Devo
proteggere mia madre. Ma a me, invece, chi mi protegge? Nella
speranza di stare meglio, ho letto nel buio della mia mente e in
quella di Daniele Mencarelli. Per venire a capo di certi pensieri di
rabbia e sconforto; per ridimensionarli, senza il bisogno di una
diagnosi.
Magari
lo spiego male, ma lì ho capito che la scrittura non è un gioco,
‘na noia come me l’avevano sempre insegnata, ho capito a che
serve veramente e che è l’unico mezzo che può racconta’ quello
che vedo, che m’esplode dentro.
Nel
torrido giugno del 1994, anno della mia nascita nonché dei mondiali di
calcio, l’autore viene sottoposto al trattamento sanitario
obbligatorio. Gli amici sono all’oscuro di tutto. Per una settimana
Daniele semplicemente sparisce, ricoverato in mezzo ai reietti. A
differenza degli altri degenti, lui ha vent’anni, una famiglia
comprensiva, il tempo e la speranza di una pronta guarigione. Ma
esiste forse una cura alla malinconia di cui si ammala ogni autunno
per poi fiorire nuovamente in primavera? Hanno parlato di
bipolarismo, di disturbo borderline, di depressione. È colpa della
serotonina, che pare che in lui scarseggi. Stanco di star male,
Daniele – studente di Giurisprudenza in pausa dagli studi, che
intanto installa climatizzatori – ha cercato soluzioni tanto nelle
droghe pesanti quanto nella terapia, con mezzi illeciti e leciti.
Tutto pur di riuscire ad accettare la vita così com’è: fragile e
imprevedibile, talora ingiusta. Perché siamo nati per morire? Dotato
del forte sentire tipico delle anime belle, tenero e disperato, cerca
salvezza negli antidepressivi e nella poesia. Plateale sia nella
disperazione che nella gioia, con il TSO scoprirà la ricchezza
dell’ascolto e della condivisione. Fortemente provato nel momento
del ricovero, a sorpresa, lo sarà ancora di più in quello delle
dimissioni.
Salvezza.
Questa parola non la dico a nessuno oltre me. Ma la parola eccola, e
con lei il suo significato più grande della morte. Salvezza. Per me.
Per mia madre all’altro capo del telefono. Per tutti i figli e
tutte le madri. E i padri. E tutti i fratelli di tutti i tempi
passati e futuri. La mia malattia si chiama salvezza, ma come? A chi
dirlo?
Mario
è un maestro in pensione ghiotto di mele cotte, imbabolato a guardare gli
uccellini alla finestra. Alessandro è un manovale in stato
catatonico. Giorgio è un grande gigante gentile, con le braccia
percorse dalle cicatrici dell’autolesionismo, che di notte desidera
soltanto che qualcuno gli stringa la mano. Madonnina prega e se la fa
nel pannolone. Gianluca, sboccato e a corto d’amore, è una ragazza
prigioniera in un corpo maschile.
Sono questi i compagni d’avventura
di Daniele Mencarelli. Sono i buoni, quelli meno pericolosi.
Dall’altra parte del corridoio, invece, si levano le urla
strazianti dei casi gravi: fanno venir voglia di coprirsi anche col
caldo, alla ricerca vana di protezione. Dietro le sbarre e durante i viavai
estenuanti i protagonisti sognano un ghiacciolo, una relazione peccaminosa, una
nave da crociera sulla quale esibirsi come star d’eccezione. Mentre
i medici si appisolano vergognosamente o confondo un paziente con
l’altro, tra i matti – per sfidare l’insonnia comune a tutti –
si sviluppa un dolcissimo senso di fratellanza. Parlano la stessa
lingua dell’autore. La
libertà è con loro, o fuori da lì?
Io
credo che gli artisti, come certi matti, abbiano dentro di sé il
seme di un ricordo lontanissimo, qualcosa avvenuto prima di tutte le
storie. È la bellezza la scintilla di tutto. Io, ecco, credo che in
certi uomini sia rimasto un ricordo, sgranato, finito nel
subcosciente. Questi uomini guardano tutto per come era veramente,
prima di quella cosa che è successa, e che ha cambiato tutto.
Il
vincitore del premio Strega Giovani ribalta prigionia e libertà,
malattia e sanità. I folli sono i veri saggi? Qual è il discrimine
tra la malattia mentale e una personalità sopra le righe? Guarire,
se si può, significa uniformarsi agli altri? Per gusto personale,
avrei preferito una cronaca più asciutta e immediata, meno
didascalica. A tratti, non che sia un difetto, mi è sembrata la
tipica lettura che un insegnante di religione o filosofia
assegnerebbe ai suoi studenti per le vacanze. Commovente, delicato e
soprattutto mai pesante, proprio come mi si assicurava, allevia però gli
animi con una galleria di personaggi variopinti e con la simpatia
contagiosa dell’accento romanesco. Ventisei anni di distanza dagli
avvenimenti rievocati, inoltre, hanno permesso alla scrittura di filtrare
i disagi grandi e piccoli – il magna dell’inquietudine di Daniele
– per farne poesia.
Tutto chiede salvezza è stato il
romanzo giusto nel mio momento sbagliato. E sì, me ne ha data di
salvezza, insieme alla speranza che tutto passerà; che perfino
questa frustrazione che provo un giorno potrà tornarmi utile.
Il
mio voto: ★★★★
Il
mio consiglio musicale: Samuele Bersani – En e Xanax
Difficile commentare dopo una recensione così....
RispondiEliminaGrazie, Lory. Molto sentita.
Eliminacome forse ricorderai, mi colpì molto, per l'esperienza in sè - già forte di suo - e per la scrittura, autentica, empatica... <3
RispondiEliminaRicordo, ricordo, e comprendo. :)
EliminaSpero di leggerlo presto anche io 🤗🤗
RispondiEliminaTe lo consiglio!
EliminaQuesto post merita davvero.
RispondiEliminaIl libro? Forse anche quello. ;)
Grazie mille, Marco! Non da premio Strega, per me, ma bello!
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