| Il paese dalle porte di mattone, di Giulia Morgani. Harper Collins,
€ 18, pp. 346 |
Quando
i fratelli Lumière proiettarono uno dei loro primi cortometraggi,
gli spettatori abbandonarono le postazioni urlando. Sul telone veniva
proiettato l’ingresso del treno nella stazione di La Ciotat e
l’immagine appariva così realistica da generare inquietudine: il
mezzo avrebbe forse travolto il pubblico in sala trapassando il muro?
Nell’immaginario, da allora, i treni rappresentano il dinamismo e
la modernità: il progresso che alletta ma spaventa. Per me non è un
caso che la salernitana Giulia Morgani – attrice e sceneggiatrice
qui al suo esordio – abbia voluto un capostazione come
protagonista del suo primo romanzo, conciliando così la sua
formazione cinematografica al simbolo per eccellenza del progresso.
Il paese dalle porte di mattone, su carta un horror alla Pupi
Avati, racconta infatti le difficoltà di un uomo di mondo alle prese
con concittadini chiusi al nuovo.
Non è
cosa per noi, la città. Siamo quello che siamo, non si può
sfuggire. È come per questa nebbia, ti viene a cercare e ti ricorda
chi sei. Non la vogliamo la città.
A
Centounoscale Scalo, un borgo fittizio in un Sud imprecisato, nessuno
si ferma mai per restare. Il treno passa soltanto due volte alla
settimana. Non ci sono né chiese né scuole. La natalità è in
stallo. La maggioranza delle case, per di più, presenta misteriosi
sbarramenti: muri di mattoni che impediscono l’ingresso in camere
specifiche e che dietro, scavando, nascondono tragedie
indimenticabili. Quale futuro potrebbe esserci lì per Giacomo,
giovane di belle speranze che nel secondo dopoguerra, con la sua
bella divisa inamidata, sogna un impiego sereno e remunerativo?
Accolto in malo modo, fa fronte a scortesie grandi e piccole e
affitta una stanza a casa di una coppia di fratelli poco
raccomandabili: isolati dal resto della comunità, Pantaleno e
Basilio hanno i coltelli in camera da letto, le finestre sbarrate e
degli asini con le orecchie mozzate. Dieci anni prima è accaduto
qualcosa di terribile. Indagare lo condurrà a una verità triste e
polverosa. Perché i muri a volte proteggono, altre nascondono, altre
ancora tagliano fuori.
Una volta
in quella fornace cuocevamo vasi, piatti, brocche. Poi mattoni,
mattoni, nient’altro che mattoni. Nell’illusione che avremo
dimenticato. E ci avremmo chiuso dentro anche il dolore. Ma quello
continuava a uscire fuori. Nessun muro poteva contenerlo.
L’autrice
attinge agli archetipi e alle suggestioni di un genere
consolidatissimo, ma aggiunge i colori tipici del nostro folklore.
Alcuni capitoli scritti in corsivo, narrati dal punto di vista degli
abitanti, mi hanno ricordato inoltre le lamentazioni dell’Antologia
di Spoon River: voci rotte e drammi privati, in un’intensa
carrellata di storie complementari. Il fascino diffuso, per fortuna,
contribuisce a coprire anche i difetti di un intreccio fragile e
ripetitivo. Nella seconda metà il romanzo diventa qualcosa a cui la
veste grafica dark, un po’ fuorviante, non mi aveva preparato.
Anziché scandagliare a tappeto le ombre, Giacomo le combatte.
Desidera riportare il paese in vita, cerca alleati, dà il via a una
ristrutturazione graduale e utopistica. Il gotico che all’inizio
prometteva brividi di paura si stabilizza su sentieri meno impervi,
ma al contrario comodi e rassicuranti. Perde l’elemento horror
all’insegna di un dramma corale sulla perdita e sulle piccole
rivoluzioni, con un paesino sinistro a fare da sfondo a una vicenda
che ha finito per ricordarmi Klaus – la favola di buoni
sentimenti targata Netflix – sia per il linguaggio pulito sia per
il messaggio di rinnovo. Prevedibilmente, a fare la differenza sarà
la generazione rappresentata da Roberto e Malvina: bambini vittime
della superstizione e dell’analfabetismo. Quando il treno di
Giacomo fischierà, Centounoscale si metterà finalmente in cammino?
Il lieto fine rischia di deludere chi, come me, si aspettava al
contrario una vicenda torbida. Ma una volta venuti a patti con in
contenuti – più rassicuranti del previsto –, quello nel Paese
delle porte di mattone resterà comunque un soggiorno piacevole,
grazie alle atmosfere caratteristiche e alla bontà dell’anfitrione.
Il
mio voto: ★★★
Il
mio consiglio musicale: Le rondini - Lucio Dalla
Questo mi intriga in modo incredibile *^*
RispondiEliminaAtmosfere bellissime. Lo sviluppo un po' meno, però a un esordio glielo si perdona. :)
EliminaDa tutti i riferimenti da te fatti nel post, direi che non è proprio una cosa per me.
RispondiEliminaPoi magari, oh, potrebbe sorprendermi. Cosa che quest'anno in particolare è assolutamente probabile.
Ma manco Klaus ti è piaciuto, bestia di Satana?
EliminaNon l'ho visto. Nonostante tutti i pareri positivi, mi sono tenuto alla larga da tutte le cose più o meno natalizie. :)
EliminaAl prossimo Natale, ti tocca...
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