Può una miniserie sulla morte scoppiare di vita? È la scommessa, vinta, di Shannon Murphy. Già premiata a Venezia per Babyteeth, la regista torna a declinare la malattia in chiave umoristica trasponendo la storia vera di Molly Kochan: quarant'anni, due tumori, nessun orgasmo, abbandona il marito imbelle pur di realizzare i suoi desideri più inconfessabili. In francese, d'altronde, chiamano l'orgasmo così: petit mort. Dovremmo quindi stupirci se assisteremo al sesso più libero e pazzo dell'anno in Dying for Sex, storia di una malata al quarto stadio, anziché nel patinato Babygirl? Tragici e spregiudicati, gli otto episodi seguono l'odissea della protagonista dalla diagnosi fino all'ultimo respiro, senza mai staccarsi dal viso di una Michelle Williams radiosa come non mai — sarà colpa della radioterapia? In scena: l'assoluta centralità del corpo femminile. Nel piacere. Nel dolore. Vittima di abusi da bambina, continuamente in balia dei medici da adulta, Molly esercita il pieno dominio di sé stessa soltanto nelle vesti di mistress. Tutto è scoperta, perfino i kink più assurdi, ma potrebbero esserci effetti collaterali: rompersi il femore prendendo a calci gli attribuiti del vicino di casa, ad esempio, o finire per innamorarsi di lui. Ma quella diretta da Murphy è soprattutto una grande storia di sorellanza: l'amicizia tra Williams e l'inseparabile Jenny Slate si candida a rimanere la storia d'amore più struggente dell'anno. (8,5)
Dopo l'esageratissima Unbreakable Kimmy Schmidt, Tina Fey torna come sceneggiatrice e interprete di una nuova dramedy approdata su Netflix sotto silenzio – almeno in Italia. Questa volta più amara e misurata che in passato, vicina alle atmosfere del cinema di Woody Allen, raduna tre coppie di amici di mezza età mostrate in quattro diverse stagioni dell'anno e della vita. Nonostante vantino matrimoni longevi, nessuno è al sicuro: la crisi dei cinquant'anni minaccia di mettere in forse vacanze, relazioni, amicizie. Fey patisce l'apatia del marito, Will Forte; Colman Domingo trova soffocanti le moine dell'iperprotettivo Marco Calvani – che rivelazione, quest'ultimo –; e poi c'è Steve Carell, sempre immancabile, sempre più fascinoso, che all'indomani di un anniversario in pompa magna abbandona la moglie Kerri Kenney-Silver per una trentenne. La trama non è tra le più originali: anzi, si ispira all'omonimo film degli anni Ottanta. Tutto è estremamente classico, ma altrettanto ben scritto. Tutti sono privilegiati, annoiati, ciarlieri, come nei migliori romanzi di Peter Cameron, eppure è matematicamente impossibile non volere loro bene. Occhio all'episodio finale, però: dopo tanta leggerezza, un colpo di scena da crepacuore è in agguato. (7)
The studio è stata una piacevolissima sorpresa. E che sia riuscita quasi a commuovermi sul finale mantenendo intatta la demenzialità... Beh, chapeu!
RispondiEliminaLa commozione nel mio caso non è arrivata, ma tecnicamente mi ha lasciato a bocca aperta dall'inizio alla fine!
EliminaMi trovi d'accordo su tutto, tranne su The Studio che non so se vedrò perché non amo Seth Roger, e su Overcompensating che ho skippato perché voglio vederla
RispondiEliminaInvece The Studio te la consiglio, perché troveresti il Seth Rogen di Jobs, non quello delle sue prime commedie demenziali.
EliminaHo amato le prime tre, meno The Four Seasons che però si salva con l'episodio finale.
RispondiEliminaBellissima l'amicizia quasi bromantica tra Michelle Williams e Jenny Slate in Dying for Sex, esaltante The Studio con il suo ritmo pure per me molto alla Damien Chazelle (e vicino anche a Birdman) e molto divertente Overcompensating con le sue atmosfere da MTV di inizio secolo :)
Confidiamo nel rinnovo di Overcompensating!
EliminaMi mancano già i pazzi furiosi di The Studio ma sono qui in dubbio su Overcompensating che sembra una nuova copia di The Sex Lives of College Girls solo ambientata nei nostalgici anni 2000. Insomma, forse troppo per una non così nostalgica come me...
RispondiEliminaOvercompensating, però, è molto più parodica e autoironica. Si prende in giro alla grande, ma senza mai prendere in giro lo spettatore. Delicata, pur nella sua demenzialità!
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