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martedì 3 giugno 2025

Per trenta minuti: Dying for Sex | The Studio | Overcompensating | The Four Seasons

Può una miniserie sulla morte scoppiare di vita? È la scommessa, vinta, di Shannon Murphy. Già premiata a Venezia per Babyteeth, la regista torna a declinare la malattia in chiave umoristica trasponendo la storia vera di Molly Kochan: quarant'anni, due tumori, nessun orgasmo, abbandona il marito imbelle pur di realizzare i suoi desideri più inconfessabili. In francese, d'altronde, chiamano l'orgasmo così: petit mort. Dovremmo quindi stupirci se assisteremo al sesso più libero e pazzo dell'anno in Dying for Sex, storia di una malata al quarto stadio, anziché nel patinato Babygirl? Tragici e spregiudicati, gli otto episodi seguono l'odissea della protagonista dalla diagnosi fino all'ultimo respiro, senza mai staccarsi dal viso di una Michelle Williams radiosa come non mai — sarà colpa della radioterapia? In scena: l'assoluta centralità del corpo femminile. Nel piacere. Nel dolore. Vittima di abusi da bambina, continuamente in balia dei medici da adulta, Molly esercita il pieno dominio di sé stessa soltanto nelle vesti di mistress. Tutto è scoperta, perfino i kink più assurdi, ma potrebbero esserci effetti collaterali: rompersi il femore prendendo a calci gli attribuiti del vicino di casa, ad esempio, o finire per innamorarsi di lui. Ma quella diretta da Murphy è soprattutto una grande storia di sorellanza: l'amicizia tra Williams e l'inseparabile Jenny Slate si candida a rimanere la storia d'amore più struggente dell'anno. (8,5)

Immaginate di poter conoscere i meccanismi produttivi di un immaginario studio cinematografico a Los Angeles. Il responsabile, un Seth Rogen strepitoso come non mai, è un sognatore sprovveduto  e pasticcione che vorrebbe conciliare cinema d'autore e film commerciali. È possibile, però, tra acquisizioni, problemi di budget e pressioni crescenti da parte di pubblico e media? Il cinema è cambiato. È in crisi? Se sì, quanto è grave? A metà tra Boris e Call my Agent, Apple produce una delizia metacinematografica sui retroscena più folli del microcosmo hollywoodiano. Se i Continental Studios contano in squadra anche gli iconici Bryan Cranston, Catherine O'Hara e Kathyn Hahn, il resto del cast vanta cameo non da meno: registi (Scorsese, Howard, Polley, Wilde, Snyder) e attori (Kravitz, Franco, Lee, Efron) sulla cresta dell'onda, infatti, si prestano con autoironia a una satira che si prende estremamente sul serio. Senza mai dimenticare i fasti dei Golden Globe e del CinemaCon, The Studio mostra la frustrazione dei piani sequenza, gli inconvenienti della pellicola, i casting al tempo del politicamente corretto, le guerriglie interne e le mancata riconoscenza. Il tutto con dialoghi fluviali e una regia elettrizzante, che somiglia a un'improvvisazione jazz di Damien Chazelle. (8)

Tornate indietro a quindici anni fa. Su MTV andavano in onda Blue Mountain State, Hard Times, Faking It. Eravamo felici e lo sapevamo. Coprodotta da Amazon e A24, la serie scritta e interpretata dal brillante Benito Skinner è un atto d'amore alle commedie universitarie di quegli anni. Qui aggiornate, però, in una versione immancabilmente più gentile, inclusiva, queer. Tante le partecipazione delle icone televisive del passato: James Van Der Beek, Connie Britton, Kyle MacLachlan. Immancabili, ma questa volta con autoironia, gli attori trentenni chiamati a impersonare un gruppo di matricole. Ambientata all'incirca nel 2014, vanta poster di Megan Fox alle pareti e una colonna spudorata dove Britney, Lady Gaga e Charli XCX guidano i protagonisti tra feste, sesso e segreti. Per quanta lieve ed esilarante, la serie ha un titolo che è tutto un programma: sovracompensazione. Chi non ha mai mentito per aderire alle aspettative del prossimo? Tutti, non soltanto il protagonista gay, nascondono non detti e fragilità private. Tutti, perfino i cattivi di turno, sono vittime delle pressioni sociali e degli stereotipi. Riusciranno, tra una risata e l'altra, a liberarsi delle maschere superflue – e dei vestiti? E noi, riusciremo? (7,5)

Dopo l'esageratissima Unbreakable Kimmy Schmidt, Tina Fey torna come sceneggiatrice e interprete di una nuova dramedy approdata su Netflix sotto silenzio – almeno in Italia. Questa volta più amara e misurata che in passato, vicina alle atmosfere del cinema di Woody Allen, raduna tre coppie di amici di mezza età mostrate in quattro diverse stagioni dell'anno e della vita. Nonostante vantino matrimoni longevi, nessuno è al sicuro: la crisi dei cinquant'anni minaccia di mettere in forse vacanze, relazioni, amicizie. Fey patisce l'apatia del marito, Will Forte; Colman Domingo trova soffocanti le moine dell'iperprotettivo Marco Calvani – che rivelazione, quest'ultimo –; e poi c'è Steve Carell, sempre immancabile, sempre più fascinoso, che all'indomani di un anniversario in pompa magna abbandona la moglie Kerri Kenney-Silver per una trentenne. La trama non è tra le più originali: anzi, si ispira all'omonimo film degli anni Ottanta. Tutto è estremamente classico, ma altrettanto ben scritto. Tutti sono privilegiati, annoiati, ciarlieri, come nei migliori romanzi di Peter Cameron, eppure è matematicamente impossibile non volere loro bene. Occhio all'episodio finale, però: dopo tanta leggerezza, un colpo di scena da crepacuore è in agguato. (7)

8 commenti:

  1. The studio è stata una piacevolissima sorpresa. E che sia riuscita quasi a commuovermi sul finale mantenendo intatta la demenzialità... Beh, chapeu!

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    1. La commozione nel mio caso non è arrivata, ma tecnicamente mi ha lasciato a bocca aperta dall'inizio alla fine!

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  2. Mi trovi d'accordo su tutto, tranne su The Studio che non so se vedrò perché non amo Seth Roger, e su Overcompensating che ho skippato perché voglio vederla

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    1. Invece The Studio te la consiglio, perché troveresti il Seth Rogen di Jobs, non quello delle sue prime commedie demenziali.

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  3. Ho amato le prime tre, meno The Four Seasons che però si salva con l'episodio finale.

    Bellissima l'amicizia quasi bromantica tra Michelle Williams e Jenny Slate in Dying for Sex, esaltante The Studio con il suo ritmo pure per me molto alla Damien Chazelle (e vicino anche a Birdman) e molto divertente Overcompensating con le sue atmosfere da MTV di inizio secolo :)

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  4. Mi mancano già i pazzi furiosi di The Studio ma sono qui in dubbio su Overcompensating che sembra una nuova copia di The Sex Lives of College Girls solo ambientata nei nostalgici anni 2000. Insomma, forse troppo per una non così nostalgica come me...

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    1. Overcompensating, però, è molto più parodica e autoironica. Si prende in giro alla grande, ma senza mai prendere in giro lo spettatore. Delicata, pur nella sua demenzialità!

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