lunedì 26 febbraio 2024

Recensione: Le correzioni, di Jonathan Franzen

| Le correzioni, di Jonathan Franzen. Einaudi, € 15,50, pp. 600 |

Da quando la mia famiglia ha cambiato forma, in seguito a una separazione che ci ha sparpagliati e stravolti — anche se, mi dico, non annientati —, accolgo l'arrivo delle feste comandate con un attacco di panico. Qualcuno, una volta, mi ha detto che i momenti di aggregazione acuiscono la malinconia. Ma ha taciuto la fatica che aggregarsi comporta. Quando lontani, ognuno in una regione diversa, tocca far pace con le vecchie ruggini e con i ritardi di Trenitalia pur di rivedersi. Ho passato l'ultima settimana dell'anno sui treni, inseguendo le tessere sparse di un puzzle di cui a volte mi sfugge il disegno; quando ho pensato di poter finalmente tirare i remi in barca nel mio monolocale a Torino — piccolo, sì, ma mio e basta —, mi sono toccati un altro andirivieni, un'altra corsa. Hanno picchiato alla porta gli ottantotto anni di mia nonna, per ricordarci quanto fragile sia il corpo di un'anziana e quanto sia dura, ben più di un femore, la sua testa: ostinatamente rifiuta case di riposo e badanti, esprimendo il desiderio — quando sarà — di morire a casa sua, circondata da una prole ormai troppo provata, fisicamente e psicologicamente, per pensare all'amore filiale. Ho scelto, insomma, il momento più giusto e più sbagliato per dedicarmi al mio primo Franzen. Non aspettatevi una saga familiare da amare. Le correzioni è una commedia umana prolissa, caustica e brutale, che riserva duecento pagine di digressioni di troppo e una galleria di personaggi antipaticissimi. Ma quanto mi somigliano gli incorreggibili Lambert?

L'ignoranza volontaria era un importante mezzo di sopravvivenza, forse il più importante di tutti.

Alfred, ex ingegnere ferroviario affetto da demenza, difende il suo trono: una poltrona blu a cui non rinuncerebbe né per una cura sperimentale né per l'ospizio. Benché incapace di controllare il proprio sfintere, tiranneggia comunque su Enid: casalinga semplice e remissiva, con un fiuto inespresso per gli affari e una sessualità mai esplorata per via del marito perbenista. Hanno messo al mondo tre figli diversissimi, accomunati però dalla stessa consapevolezza: accudire quei genitori invadenti, giudicanti, repubblicani prima o poi li mangerà vivi. Chip, dopo i fallimenti come insegnante e sceneggiatore, vola in Lituania per conto di un improbabile signore della guerra; Denise, andata a letto col capo e poi con la moglie di lui, vive una crisi esistenziale che soltanto la sua vocazione come chef può sbrogliare; Gary, nevrotico banchiere succube del sesso e del denaro, lotta con la sua popolosa famiglia per andare a trascorrere dai nonni un'ultima festività. Nel mezzo ci sono: una crociera per pochi eletti, gli spasmi del mercato azionario, gli investimenti sbagliati, gli ansiolitici. Sullo sfondo: un'America che più America non si può, sospesa nel tempo — siamo, forse, nei tardi anni Novanta — ma sempre identica a sé stessa, stritolata dal falso politically correct e dalle spietate regole del capitalismo. La neve cade, ma senza purezza. E non è così puro, a ben vedere, nemmeno un nipotino prodigio che legge i classici per l'infanzia e giura di stravedere per i propri cari. Allora quale speranza c'è? Purtroppo o per fortuna ci sono le feste, con lo sporco calciato via sotto il tappeto e i tabù taciuti per quieto vivere. Le si passa tutti a St. Jude, nel Midwest, cittadina che significativamente porta il nome del santo patrono delle cause perse. La matriarca si affaccenda, ostenta entusiasmo e sorrisi, ma i figli passivo-aggressivi siedono intanto con la segreta paura di restare intrappolati lì: la «stagione della gioia e dei miracoli», infatti, è la medesima della coercizione emotiva.

Così sono le persone: stupide.

Lo so bene anch'io, pronto ad additare il puntale storto, i regali riciclati, i loro maglioni kitsch, la seduta scomoda: con questa lettura non è stato infatti colpo di fulmine. Più farsa che tragedia, fotografata con un filtro grottesco che ne esaspera vizi e stramberie, quella di Franzen è una parodia al vetriolo dei sogni e degli incubi di una generazione che ha creduto, finché ha potuto, nella fiaba della virtù e dei buoni sentimenti. Meglio svegliarsi o continuare a nutrire l'inganno, magari aiutati da una pillola magica che si chiama come il leone di Le cronache di Narnia? Franzen mi ha fatto sbuffare per le loro parole di troppo, ridere delle loro idiosincrasie e infine commuovere, grazie a un'ultima parte tanto brillante quanto spietata in cui i Lambert si sono rivelati un po' infelici a modo mio. Ho letto di loro in attesa delle coincidenze dei Freccia; nel letto in cui dormiva mia madre da bambina; al capezzale di una nonna abbastanza lucida da spendere ancora una parola per l'arrivo dei suoi sessant'anni di matrimonio. Con la voglia di stringermi ai miei familiari e di scappare dall'altra parte. Mentre, tra tristezza e sollievo, le vetrine venivano pian piano spogliate delle loro decorazioni fino a piombare in un anonimato consolante. Le luci delle città non hanno rispetto per i dolori dei figli. Meglio aspettare a denti stretti l'Epifania: che porti via gli strascichi, e la malinconia, di questo nostro canto di Natale stonato.

Il mio voto: ★★★
Il mio consiglio musicale: Elvis Presley – Blue Christmas

7 commenti:

  1. Mamma mia Michele! I tuoi scritti così personali trasudano tutta la malinconia che in qualche modo ti appartiene e che riesce come un dono a farti vedere le cose e a leggere la realtà in maniera lucida e disincantata.
    Restare e/o andare dunque sempre a fare i conti con noi stessi, il dolore o i rimpianti.
    Mi sono ritrovata nella tua recensione, l'ho letto lo scorso anno e a tratti mi sono commossa, a tratti annoiata, un po' forzato, hai detto bene, grottesco.
    Il libro del post precedente mi ha incuriosita e l'ho messo in lista.
    Ciao! 🫶

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    1. Ciao Lory, come stai? Grazie mille per il tuo commento. A volte, siamo molto affini e ho provato esattamente le tue stesse emozioni, spesso inconciliabili tra loro, durante la lettura. Ci riproverò, ma questa volta non è stato amore (riflessioni personali a parte).

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  2. Per una volta tanto, un libro che ho letto prima di te. Miracolo! :)

    Sono passati un po' di anni dalla mia lettura, ma ricordo che per me era invece scattato il colpo di fulmine per i fiumi di parole di Jonathan Franzen. Stranamente, visto che in genere apprezzo di più l'essenzialità. Sarà che in questi Lambert, volenti o nolenti, ci si ritrova. Come hai fatto anche tu, leggendolo nel momento più giusto e più sbagliato ;)

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    1. Un cult che non ti poteva mancare, eh eh! Sai che ne stava realizzando una serie HBO Noah Baumbach, ma poi non è mai andata in porto? In giro, però, ci sono gli scatti del pilot (con Ewan McGregor, Maggie Gyllenhaal e altra bella gente).

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    2. Ne avevo sentito parlare. Peccato non l'abbiano realizzata, aveva già un posto prenotato tra le mie serie top tipo di sempre XD

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  3. Un libro che magari non ti ha convinto, ma che ha fatto venir fuori un post bellissimo. Wow.
    Un abbraccio a distanza fino a quel monolocale torinese che è casa, spero.

    Franzen l'ho conosciuto con Libertà, un colpo di fulmine che mi ha portato ad andare indietro e pian piano sto recuperando quanto ha scritto. Anche se la mole non aiuta.
    Personaggi e famiglie sempre poco accoglienti, ma come li scrive lui, come li rende veri... Le Correzioni lo ricordo con affetto, e come una lezione di scrittura per quanta precisione. Devo darmi una mossa, che ne ho di arretrati!

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    1. Grazie, Lisa. E' casa, è casa. Sì. Finalmente. Speriamo che duri.

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