Per tornare a casa a Torino passo sotto i portici di via Sacchi. Lì, proprio davanti alla stazione di Porta Nuova, incombe l'insegna dell'Hotel Roma. In una di quelle camere, sul finire di agosto, si tolse la vita Cesare Pavese. Passeggiando, ho pensato spesso alla sua morte - malinconia e barbiturici. Ma è leggendolo che ho scoperto la sua vita, insieme all'ottimismo di cui non lo sospettavo capace. La bella estate, primo racconto della trilogia premio Strega e film omonimo di Laura Lucchetti (al cinema dal 24 agosto per Lucky Red, con Yile Vianello e Deva Cassel nel cast), è una piccola storia intrisa di gioia di vivere. Un Pavese inedito, tutto al femminile, che domanda in prestito alle sue protagoniste l'euforia e la smaniosa curiosità tipiche dell'adolescenza. La pallida Ginia ha sedici anni, è sarta, porta avanti la casa: dopo la morte dei genitori, è diventata adulta in fretta. Ma patisce l'assenza di un uomo, ai tempi necessaria per diventare donna. Amalia, al contrario, è bellissima, sfrontata, disinibita: ha la voce arrochita dal fumo, le gambe scoperte, una perfetta padronanza del proprio corpo. Posa nuda per i pittori. Attraverso le vetrine lustre dei caffè storici, Ginia guarda l'altra come se fosse il personaggio di un film. Non serve il biglietto per ammirarla e, talora, anche per biasimarne la dissolutezza. Rivali ma amiche, complementari come le eroine di Elena Ferrante, lungo il sentiero per diventare grandi scopriranno insieme i lati più selvaggi della città. E sentimenti insospettabili.
A quei tempi era sempre festa. Bastava uscire di casa e traversare la strada, per diventare come matte, e tutto era così bello, specialmente di notte, che tornando stanche morte speravano ancora che qualcosa succedesse, che scoppiasse un incendio, che in casa nascesse un bambino, e magari venisse giorno all'improvviso e tutta la gente uscisse in strada e si potesse continuare a camminare camminare fino ai prati e fin dietro le colline.
Non si muovono nella Parigi della Bohème, ma in una Torino mai così affascinante e cosmopolita. Spogliato della sua classica cortina di malinconia, il capoluogo piemontese ha prati su cui fare l'amore e soffitte da cui immortalare i tetti simmetrici del centro. In estate si balla in collina, in inverno ci si scalda al chiuso con vino e castagne. Sorprendentemente lieve, questo Pavese incanta con la sua modernità e racconta il sesso occasionale, l'amore fluido, il corpo in metamorfosi. Era una pila elettrica. Si sarebbe spento un anno dopo. Questo è il suo canto del cigno. La Seconda guerra mondiale, benché vicina, non è mai menzionata. Ai malanni, per fortuna, c'è sempre rimedio. I corpi dei giovani, rosei e gagliardi, sopravvivranno ai rigori dell'inverno. Verrà un'altra estate. Anche nel fango e nella neve, se presti ascolto e, soprattutto, immaginazione, puoi già sentire i grilli annunciarla.
Il mio consiglio musicale: Chiara - Un'estate fa
Uno dei pochi Pavese che mi manca.
RispondiEliminaLa casa in collina, Il diavolo sulle colline e La luna e i falò, non nego che mi hanno fatto sognare, anche quando si tratta di storie ed epoche difficili.
Bellissimi anche i racconti, che ho letto pubblicati qua e là.
Mi sono avvicinato a questo autore, quando ho scoperto che fu mandato in esilio durante l'epoca fascista, in una cittadina sul mare, nella provincia della mia città.
Sai che non sapevo questo dettaglio?
EliminaComunque te lo straconsiglio. E' una ventata di vitalità impensata.
Aspetto di vedere come sarà il film :)
RispondiEliminaVisto qualche giorno fa, piaciuto molto. Una bellissima regia.
EliminaBellissimo il racconto La bella estate, di cui prevedo di vedere il film. Dei tre racconti o romanzi brevi riuniti nell'edizione in foto (ho la stessa, non so se nelle successive sia stata mantenuta la trilogia), ho preferito forse l'ultimo, Tra donne sole, anch'esso al femminile.
RispondiEliminaSo che da quello ha tratto un film l'mmenso Antonioni!
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