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Sto pensando di finirla qui, di Iain Reid. Rizzoli, €
18, pp. 253 |
Sto
pensando di finirla qui. La protagonista, per tutto il tempo
priva del nome, lo pensa della sua attuale relazione e della
sua vita, considerata inappagante. Di lei sappiamo pochissimo.
Soltanto che viaggia in macchina – direzione, la fattoria dei
suoceri – e che accanto ha Jake, professore amorevole e
premuroso che frequenta da qualche settimana. Stanno imparando a
conoscersi, ma la protagonista fa fatica. Ad abituarsi al rumore
della deglutizione del partner, alle conversazioni che arrancano,
alla desolazione di quelle strade secondarie. Qual è la percezione
che l’uno ha dell’altra? Cosa pensano, mentre fuori dal
finestrino si susseguono immagini rapide di campi e nuvole? Una tempesta è in arrivo. A metà tra Tom at the farm e Il gioco di Gerald, questo romanzo è lo snervante flusso di coscienza di una
donna in balia delle proprie ansie sociali. Dei ricordi, della
solitudine, del mal di vivere, dei bilanci con cui mette
in discussione sé stessa e la propria relazione.
I racconti
basati su eventi realmente accaduti molto spesso hanno a che fare più
con la finzione che con la realtà. Vale sia per le cose inventate
sia per quelle vere. Si tratta di storie, in entrambi i casi, che
vengono ricordate e raccontate. Le storie sono il modo in cui
impariamo le cose. Sono il modo in cui ci conosciamo a vicenda. Ma la
realtà, quella succede una volta sola.
Sto
pensando di finirla qui. È il pensiero del lettore più impaziente,
davanti a un thriller psicologico che si concede un preambolo lungo
cento pagine per entrare nel vivo della narrazione. Il romanzo di
Iain Reid, presto un film Netflix grazie al talento immaginifico dell'acclamato Charlie Kaufman, è costituito da riflessioni sulla vita di coppia e
da tappe stranissime. Episodi all’apparenza grotteschi, che
scandiscono un trip lisergico e contorto, affascinante nel suo
destabilizzarci continuamente. Il ritorno a casa dei personaggi,
infatti, sarà ritardato da contrattempi terrificanti. Si parte dalla
cena servita in un casolare in stato di semiabbandono – carne
sanguinolenta, verdura in gelatina, e per finire il gioco dei mimi –,
con un duo di genitori sopra le righe a guardia di una porta
ricoperta di graffi: conduce in cantina. Si prosegue con il desiderio impellente di granita al Dairy Queer, anche in pieno inverno. Si finisce con
un tour claustrofobico in una scuola vuota – o almeno si spera che
lo sia –, a metà tra un labirinto e una prigione.
La mia
storia non è come un film dell’orrore, gli dico. Non ti fa fermare
il cuore e non ti gela il sangue nelle vene. Non ci sono mostri o
violenze. Nessun salto dalla sedia. Per me, queste cose non sono
spaventose. Invece, quello che ti disorienta, che capovolge ciò che
da per scontato, che disturba e scompagina la realtà, quello sì che
fa paura.
Sto
pensando di finirla qui. Lo dici alle prese con la seconda metà,
quando fai le ore piccole pur di ultimare la lettura. Pur di venirne a capo. All’inizio scettico, ti scopri terrorizzato da
piccoli dettagli inquietanti e da elementi stridenti, che nel
silenzio della casa addormentata mettono letteralmente i brividi. Lo
stile di Reid, stringato, introduce sottopelle un serpeggiare di
sensazioni difficili da descrivere. Dice bene la copertina, sì:
avrai paura senza sapere perché. Non c’è niente che non
vada, ma allo stesso tempo nulla torna. Perché tutto può cambiare
all’improvviso. Pagina dopo pagina la storia ci svelerà il suo
significato più allegorico e profondo. Ma serve attendere,
assecondare la curiosità, perché i dialoghi suoneranno innaturali
qui e lì e le situazioni in cui i protagonisti si cacciano
appariranno a dir poco surreali. Non tutto viene giustificato alla
luce dell’epilogo. Non tutto lascia a bocca aperta, soprattutto se i film
di genere ormai non hanno grandi segreti per voi. Ma molto gli si
perdona, soprattutto grazie ai ritmi deliranti e ossessivi, da
istantaneo mal di testa, che ricordano uno squillo di telefono nel
cuore della notte. Non stupisce che l’autore di Essere John
Malkovich, Il ladro di orchidee e Anomalisa abbia
visto il potenziale dell’autore, magari da mettere meglio meglio a fuoco
in una trasposizione che già mi figuro diversissima: ancora più folle. Se dovessi immaginare di trarre una storia da un
dipinto di Escher, comunque, sarebbe proprio così.
Il mio
voto: ★★★½Il mio consiglio musicale: Joy Division – Love Will Tear Us Apart
uh mi hai ricordato che ce l'ho e devo leggerlo!!!
RispondiEliminanon dev'essere male :-D
Proprio no!
EliminaFin dal titolo, promette di essere una lettura feel good... :)
RispondiEliminaGrande curiosità per il film di Charlie Kaufman, a questo punto sarà una botta di allegria assurda.
Dura anche più di due ore. Me lo immagino molto diverso, perfino più strano...
EliminaRomanzo stranissimo...ricordo che a fine lettura, dove sono arrivato con non poca fatica,mi son detto: ma che c...o ho appena letto?!? 😰😂
RispondiEliminaAhahahah, capisco bene. Io l'ho letto in un paio di giorni, ma frustrazione e shock sono andati di pari passo!
EliminaDevo dire che non lo conoscevo, ma mi hai incuriosita ☺️
RispondiEliminaUn thriller fuori dalla norma. Nel bene e nel male. Stranissimo.
EliminaUn romanzo ansiogeno, stranissimo e al contempo che tratta di un argomento piuttosto attuale; grazie per la recensione ^^
RispondiEliminaGrazie a te, Francy!
EliminaTutto molto bello, però devi smetterla di farmi venir voglia di leggere libri che stanno a chilometri di distanza dalla mia confort zone e dai miei gusti è_é
RispondiEliminaAhahahah, Sto pensando di finirla qui: così disse Kate, interpellata a proposito della sua frequentazione di Diario di una dipendenza.
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