Ha un titolo forte e una copertina spudorata, di corpi avvinghiati in preda alla passione di una sveltina. Il nuovo romanzo di Maurizio Fiorino, fotografo e scrittore calabrese, urla carnalità sin dal primo sguardo. Prende le mosse in una macelleria della profonda provincia meridionale. E racconta la carne delle bestie appese ai ganci a sgocciolare. Quella, butterata, di due protagonisti brutti e spigolosi. Quella, spasimata e infine negata, che fa gola e vergogna al tempo stesso. Carne fredda, preservata tra i rumori insostenibili di una cella frigorifera. Carne al sangue. Stopposo e sgradevole, soprattutto se confrontato con l'adorabile protagonista del precedente Ora che sono Nato, Biagio è il figlio del macellaio del paese. Orfano di madre, cresciuto da un papà taciturno e umorale, il protagonista – all'inizio del romanzo bambino, al suo termine uomo – boccheggia in un microcosmo stagnante in cui è sempre estate. I pilastri su cui è fondato: la virilità, il silenzio, l'onore.
Avevo quasi sedici anni e nessuno che mi baciasse gli occhi mentre dormivo.
Confinato nel retrobottega, un po' come il Marcus di Indignazione, Biagio si nutre di sguardi spenti e odori pungenti, di repulsione e attrazione. Indossa vestiti usati, scarpe rotte, e ha una cartomante per balia – Lia, che ritiene che sulla famiglia del protagonista gravi il malocchio – e un travestito, Vittorio, per adulatore. Laggiù ognuno ha un vizio, ognuno ha un dolore inconfessato. Il più delle volte i personaggi contribuiscono a ferirsi vicendevolmente, secondo le regole della sopraffazione. Anche Biagio, dunque, ha un vittima su cui scaricare le proprie frustrazioni: Sara, compagna di scuola e moglie mai realmente amata, che lo distoglie dalla fascinazione verso l'enigmatico Alceo, un giovane pittore che coglie a colpo d'occhio l'essenza del protagonista. Lo dipinge, infatti, come un funambolo sospeso nel vuoto. Rinunciando questa volta ai toni calorosi della commedia all'italiana, Fiorino torna con un romanzo in cui non ci sono né speranza né redenzione. Nerissimo, senza fondo, non somiglia granché agli slanci della sua copertina: al contrario, infatti, è una vicenda trattenuta, inesplosa, che ammonisce sulle conseguenze tragiche della repressione e dell'incomunicabilità.
Sei tu che devi restare. Io esisto qui, non esisto da nessun'altra parte.
Breve, con capitoli di poche pagine, Macello avrebbe potuto sviluppare meglio alcune situazioni, alcuni personaggi. O forse una storia di maggiore respiro avrebbe fornito all'autore soltanto gli strumenti per inserirvi altri dolori. Gelido, il figlio del macellaio è un bestione che avverte senza sentire: da un lato animalesco, dall'altro trattenuto, cova in sé un ribollire di sentimenti confuso e oscuro. Ciò che abita nel suo petto irsuto non troverà voce. Biagio prende a pugni le carcasse di maiale, si esercita alla buona per gli incontri di pugilato, ma nel frattempo sogna le carezze di un padre brigante. Ha appena la terza media, il cuore grande, la vescica piccola e un cuore a soqquadro. In fuga da un vecchio paese sepolto dalle piogge, si trascina stanco da un'esistenza all'altra e si aggiunge, inevitabilmente, alle schiere di fantasmi dell'alluvione. Il mare è lontano, il progresso degli anni Ottanta alle porte. La diffusa rassegnazione lo imprigiona, ma al contempo legittima quasi il suo stare al mondo. La speranza, allora, è una e una soltanto: sempre la stessa. Andarsene. Ma in certi paesi è più semplice scomparire.
Il mio consiglio musicale: Mannarino – Un'estate
Il macello mi fa pensare a un luogo orribile e sicuramente sarà orribile la vita del protagonista. Una lettura dura in cui il silenzio uccide la speranza. Un saluto :)
RispondiEliminaCome sempre, Aquila, cogli nel segno.
EliminaUn abbraccio a te, e perdona se ti leggo in ritardo. :)
Il titolo spacca!
RispondiEliminaDev'essere proprio uno scrittore cannibale. XD
DECISAMENTE!
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