Se
non avessi già visto The Flight Attendant,
la presenza di Kaley Cuoco agli scorsi Golden Globe mi avrebbe fatto storcere il naso. Mal sopportata in The
Big Bang Theory, nella serie
thriller è stata promossa da spalla comica a protagonista assoluta.
A sorpresa, mi ha fatto ricredere rivelandosi una mattatrice
straordinaria. Sexy, querula e disperata, in grado di passare dal
registro comico a quello drammatico con un battito di ciglia, è Cassie: una hostess con la testa tra le
nuvole. Inaffidabile, goffa e promiscua, ama la bella vita e gli
uomini belli. Tipica alcolista che fa fatica ad ammetterlo, si
nasconde dietro il cliché della femminista libertina. Ma intanto è
perseguitata da demoni personali, vuoti di memoria, dipendenze.
Caratterizzata con brio e intelligenza, tanto nei rapporti amorosi
quanto in quelli familiari, la protagonista è una mina vagante in
fuga da una scena del crimine: chi ha ucciso il suo ultimo amante, un
sempre affascinante Michiel Huisman? Per paura di essere incriminata, Cassie vola tra New York, Roma e Bangkok.
Quando smetterà di fuggire – rinunciando anche al vizio dell'alcol
–, per affrontare finalmente la realtà? Grazie a una messa in
scena stilosa e a una performance che non passa inosservata, The
Flight Attendant intriga per i
colpi di scena a raffica e per i deliri di Cassie, che in
fantasticherie a occhi aperti immagina perfino di parlare con l'uomo
assassinato. I ritmi restano altissimi, per fortuna, anche quando
risvolti un po' improbabili e le somiglianze eccessive con Killing Eve rischieranno di far calare
l'attenzione. Intrigo internazionale dalle ambientazioni cosmopolite,
ha
una bionda alla Hitchcock per fiore all'occhiello e i pregi che
mancavano alla sopravvalutata The Undoing.
Troppo autoironica per prendersi sul serio, la serie è un guilty
pleasure che tratta i suoi spettatori con i guanti bianchi. La
gentilezza, d'altronde, è compito delle brave hostess. Kaley Cuoco
lavora, e cospira, per il nostro comfort. Buon viaggio. (7,5)
Mentre
tutti parlano e sparlano di Dietro i suoi occhi,
ultimo successo Netflix fatto di atmosfere bollenti e intrecci
torbidi, la sorpresa in materia di thriller erotici arriva
da Israele. Distribuita da Apple, Losing Alice
è una miniserie che affascinerà
gli amanti del cinema di De Palma, Verhoeven, Lyne e Polanski.
Nonostante il suo garbuglio di sotterfugi e sensualità tipicamente
anni Novanta, non risulta mai fuori tempo. Il merito spetta
alle protagoniste femminili, belle in maniera ipnotica, e a una
riflessione metacinematografica che mi ha fatto tornare in mente le
inversioni di ruolo di Sils Maria.
Qual è il confine tra verità e finzione? Ogni sceneggiatura,
perfino la più maledetta, contiene un briciolo di autobiografismo?
Un film, soprattutto, appartiene più al suo autore o al suo regista?
Cineasta in maternità, Alice è la moglie frustrata di un attore
corteggiatissimo che suo malgrado la mette spesso in ombra. In cerca
di un nuovo progetto, in treno si imbatte in Sophie: sceneggiatrice
giovane e sfrontata – una sorta di Lolita – che le propone di trasporre un'irresistibile vicenda
di tradimenti e relazioni sadomasochistiche. Il film, Camera
209, entra presto in produzione.
Ma Alice si troverà a gestire il marito dongiovanni e Sophie,
entrambi protagonisti, sullo stesso set. Come restare professionali
se la ragazza prodigio sembra flirtare con tutti, moglie e marito
compresi? Come conservare la sanità mentale se, a un certo punto, il
passato misterioso di Sophie diventerà un'ossessione? Elegante,
stratificato e perverso, Losing Alice è
il giallo di un transfert inafferrabile e lussurioso. Ben recitata e
costruita come un gioco perpetuo di simmetrie e anticipazioni, la
serie in otto puntate ha un erotismo spiccato che non scade mai nel
volgare e un difetto non da poco: episodi di troppo. Non esente da
lungaggini superflue, la sceneggiatura si sfilaccia e si
appesantisce in vista del gran finale: per fortuna c'è un epilogo
abbastanza soddisfacente, per quanto rapido, a sciogliere i nodi in sospeso. Se amate il cinema, il thriller
e le location insolite, fate come Alice: perdeteci la testa. (7)
A
dispetto dei pareri poco entusiastici disseminati in rete, mi ci sono imbarcato in una
serata di insofferenza diffusa. Avevo proprio bisogno di una serie così.
Antologica, sei episodi slegati, un'impronta che ricorda il Black Mirror
più sentimentale. Ambientata in un futuro non troppo lontano,
Soulmates – distribuita in Italia da Amazon Prime Video e già
rinnovata per una seconda stagione – è una app avveniristica per
farti incontrare la tua anima gemella. Cosa succederebbe se intanto
fossi già sposato, ma con la persona sbagliata? E se la tua dolce
metà, con l'inganno, cercasse soltanto vendetta? E se fosse un'altra
donna e ti tentasse, dunque, con la proposta indecente di un
triangolo sexy? E se le preferissi un colpo di fulmine dell'ultimo minuto?
E se, purtroppo, fosse già morta? E se, ancora, si rivelasse essere
un efferato serial killer? Il cast, fatto di nomi non troppo
altisonanti, include tra gli altri: gli onnipresenti Sarah Snook e
Kingsley Ben-Adir, la sempre discinta Laia Costa, l'idolo di Stranger
Things Charlie Heaton e Bill Skarsgard, divertente e divertito in
un ruolo a tinte arcobaleno che poco ha a che spartire con l'incubo di
Pennywise. Costituita da sei episodi di quaranta minuti, Soulmates racconta tre
storie d'amore a cavallo tra commedia, dramma e mystery. Alcuni sono
attualissimi – primo e ultimo –, alcuni involontariamente brutti
– terzo e quinto –, altri sufficienti a malapena – secondo e
quinto. Tutt'altro che imperdibile, interessa comunque per la visione
agrodolce delle relazioni sentimentali e per una fantascienza
minimalista, che sa restare sullo sfondo con discrezione. Insomma: per una
serie così, gradevole ma in definitiva dimenticabile, non serviva mica un algoritmo avveniristico. (6,5)
Anche io non ho mai sopportato The Big Bang Theory. Kaley Cuoco però la amavo ai tempi di un'altra sitcom ben più divertente, 8 semplice regole. In ogni caso qui è stata una sorpresa anche per me, con un ruolo serio ma non troppo che per lei è perfetto.
RispondiEliminaLosing Alice sono d'accordo che ha qualche episodio di troppo. Se fosse durata la metà sarebbe stata enorme, così è comunque parecchio valida.
Soulmates tutto sommato l'ho trovata guardabile anche io, anche se l'unico episodio che mi ha convinto davvero è stato l'ultimo. La mia pazienza alla fine è stata ripagata. :)
Tre serie belle, ma non bellissime insomma. Nel prossimo post ne affilerò di migliori!
EliminaMi ero persa questo post e mi ero persa pure Losing Alice, nel far accumulare gli episodi rischiavo di dimenticarla del tutto.
RispondiEliminaIn questi tempi di magra è il momento di rispolverarla, peggio di The Undoing non può andare ;)
Kaley Cuoco è stata un'hostess perfetta per il guilty pleasure perfetto, leggero ma non troppo, pop e patinato. Ne avevo un gran bisogno!
SoulMates non sempre fa centro, è vero, però gli episodi migliori ripagano e soprattutto può avere così tante derive che la seconda stagione la guarderò di sicuro.
Per me Losing Alice di gran lunga superiore a The Undoing: peccato per due, tre episodi di troppo (non pochi)!
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